....Nel Cristo Dio fatto uomo , troviamo il sostegno per la nostra debolezza e le risorse per raggiungere la perfezione. L'umanità di Cristo ci rimette in piedi , la sua condiscendenza ci prende per mano , la sua divinità ci fa giungere alla méta....


S.Agostino

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giovedì 28 marzo 2013

Mons.Moraglia medita sulla croce , citando Papa Francesco


“Quando camminiamo senza la croce, quando edifichiamo senza la croce, quando confessiamo un
Cristo senza Croce, non siamo discepoli del Signore. Siamo mondani, ma non discepoli del Signore”.
Ho voluto riprendere queste parole del Papa Francesco perché ci riportano al cuore del Vangelo.
San Paolo ci ricorda che siamo stati battezzati nella sua morte, cioè siamo sepolti insieme con
Cristo. La croce è, allora, esplicitare il nostro battesimo. La croce per il cristiano è una risorsa,
anche quando avremo pochi istanti di vita, anche quando sapremo che non arriveremo a domani.

La croce, cioè il Risorto, ci permette di non disperare.

 La croce per il cristiano è una risorsa, è un valore nuovo alla vita.

La Via Crucis di questa sera era costruita sulla testimonianza di tre cristiani che hanno saputo
rilanciare la croce nella loro vita. Noi abbiamo bisogno di vedere persone che si lasciano afferrare
dalla croce e che danno un senso nuovo alla loro vita a partire dalla croce. La croce è l’ora di Gesù,
la croce è il cuore del Vangelo: gli esperti ci dicono, infatti, che i Vangeli nascono inizialmente
come racconti della Passione del Signore; poi hanno delle aggiunte, hanno delle esplicitazioni, ma i
vangeli hanno un cuore, hanno una radice. È la croce gloriosa di Cristo.
Noi dobbiamo pensare cristianamente la croce. E la croce pensata cristianamente è il Risorto. Ma il
Risorto appare sempre portando nella sua carne gloriosa i segni dei chiodi, i segni delle ferite. La
croce come sapienza del vivere della Chiesa: la Chiesa e il mondo hanno bisogno di persone che
rilanciano nella loro vita la croce di Cristo.

Abbiamo ascoltato le testimonianze di Shahbaz Bhatti, di père Christian de Chergé e di Annalena
Tonelli: mi richiamavano la spiritualità di Francesco d’Assisi che va ai poveri perché ha incontrato
Cristo. Francesco sarà santo non perché va ai poveri, ma perché incontrando Cristo va ai poveri
secondo quella povertà che non è una scelta sociologica, ma è apertura ad un amore che chiede di
accorgersi innanzitutto delle persone che non sono amate.


Dobbiamo cercare di andare alla scuola del Vangelo e cioè alla scuola del Crocifisso, alla scuola del
Risorto. C’è un cammino di educazione alla croce: io accolgo veramente la vita come un dono
quando la so donare, non prima. E allora devo cercare degli spazi di gratuità e di dono, nella mia
vita, per poter dire che la sto accogliendo come un dono.
La scuola della croce, educarsi alla croce, è aprirsi al perdono. Fare il primo passo. E ci si educa al
perdono quando non si è solo attenti ai nostri diritti, quando si riesce ad avere un cuore largo pur
sapendo di aver ragione, quando si rinuncia volontariamente a qualcosa a cui potrei non
rinunciare... Questa è la logica della croce.

La croce non è una disgrazia e non dobbiamo pensare alla croce come ad una iattura: “Peccato che
sia finita così, mi sarei immaginato un Cristo vincitore delle vittorie umane...”. Ma questo è Giuda
Iscariota che, ad un certo punto, non sa più che farsene di Gesù, a cominciare da quando Gesù -
secondo la cronologia di Giovanni un anno prima della morte - annuncia loro l’eucaristia.

L’eucaristia è il grande luogo della croce: il convivio sacrificale, il sacrificio conviviale. L’eucaristia,
non dimentichiamolo la domenica è sempre un fatto di sangue, perché l’eucaristia è il corpo dato
ed è il sangue effuso.

“Io vorrei - riprendo ancora Papa Francesco - che tutti, dopo questi giorni di grazia, abbiamo il
coraggio, proprio il coraggio, di camminare in presenza del Signore, con la croce del Signore, di
edificare la Chiesa sul sangue del Signore, che è versato sulla croce, e di confessare l’unica gloria,
Cristo crocifisso. E così la Chiesa andrà avanti…”. Fino alla fine della storia dell’umanità ci sono e ci
saranno uomini crocifissi: crocifissi dalle malattie, crocifissi dalla povertà, crocifissi dalla
maldicenza, dalla calunnia, dall’ingiustizia... Cerchiamo di essere quella parte dell’umanità che non
lascia soli questi crocifissi. Bisogna che la croce diventi un sapere di vita, diventi un modo di
pensare, diventi uno stile per le nostre comunità e per ciascuno di noi.

La Settimana Santa - con la sua ricchezza di segni, di parola di Dio, di silenzi, di gesti liturgici, di
adorazione - sia un cammino di comprensione verso la croce gloriosa, verso il Risorto.