....Nel Cristo Dio fatto uomo , troviamo il sostegno per la nostra debolezza e le risorse per raggiungere la perfezione. L'umanità di Cristo ci rimette in piedi , la sua condiscendenza ci prende per mano , la sua divinità ci fa giungere alla méta....


S.Agostino

Cerca nel blog

martedì 23 ottobre 2012

Siri : pochi cardinali hanno tentato di "modificare" il Concilio Vaticano II

L’idea di convocare un Concilio era già
affiorata durante il pontificato di Pio XII.
Perché venne accantonata?
SIRI: Sì, era già affiorata. Ma, nonostante
io fossi molto vicino a
Pio XII, non me ne ha mai parlato.
/…/ Il Concilio venne convocato da Giovanni
XXIII. Chi glielo suggerì, o per lo
meno richiamò alla memoria, fu il cardinal
Ruffini (Arcivescovo di Palermo), il 16
dicembre del 1958, a distanza di quasi due
mesi dalla sua elezione. Il Papa se ne entusiasmò
e ne colse l’idea. /…/ Non so però cosa
successe il 25 gennaio del 1959. Ma l’idea
del Concilio già girava. Pio XII, credo, aveva
anche costituito una piccola commissione
che silenziosamente studiasse la proposta.
Era una cosa che stava lievitando.
Una volta disse che fu nelle prime
riunioni della Commissione per gli Affari
straordinari (o “per le grane” come
lei la definì) e in quelle del Consiglio di
presidenza che il Concilio prese un determinato
iter piuttosto che un altro. Cosa
intendeva precisamente?
SIRI: Quando è iniziato il Concilio ero membro della commissione cardinalizia
per gli Affari straordinari, definita da Papa
Giovanni “la testa del Concilio”. Durò solo
per la prima sessione e fu soppressa da
Paolo VI che diede via all’attività di venti
cardinali: i dodici componenti il Consiglio
di presidenza del Concilio (di cui feci parte
anch’io), i quattro moderatori del Concilio
stesso e i quattro coordinatori. Questi venti
cardinali rappresentavano il nerbo del Concilio,
perché le grandi questioni, i grandi
dibattiti, le grandi risoluzioni furono prese
in questa commissione che si riuniva quasi
tutte le settimane. Chi non conosce i verbali
di questo Consiglio credo che non possa
scrivere la vera storia del Concilio.
In occasione di alcune conferenze che
tenne a Cannes nel ‘69 lei lanciò una pesantissima
accusa: denunciò l’esistenza di
una “controimpostazione” del Concilio...
SIRI: Come ha avuto i testi delle due
conferenze?
Sono stati pubblicati recentemente nel
primo volume delle sue opere
SIRI: Quelle conferenze non avrebbero
dovuto essere divulgate. Erano però tra i
miei dattiloscritti. /…/ Non posso far altro
comunque che confermare quanto dissi.
Un gruppo molto potente - lei disse - si
era organizzato in…
SIRI: Sì. Si riunì, in un modo non
del tutto legittimo, in una certa parte
d’Europa. La prova evidente la ebbi
quando si dovettero eleggere i due terzi
dei membri delle commissioni.
Vuol forse dire che l’elezione dei
membri nelle commissioni fu “guidata”
da tale gruppo?
SIRI: Sì, ne sono certo. È stata orchestrata
da loro, scegliendo in tutto
il mondo quelli che più si conformavano
ad un certo indirizzo e escludendone
gli altri. Io presentai allora una lista alternativa definita “cattolica” perché
i membri dovevano essere eletti in numero
proporzionale al numero dei cattolici esistenti
nei rispettivi paesi. Ma loro la fecero
bocciare.
Sono accuse di non poco conto. Ne parlò
con Giovanni XXIII?
SIRI: Sì, anche lui si rese conto del
pericolo costituito da tale gruppo; in una
lunga udienza mi disse chiaramente che
non era «affatto contento del Concilio».
Quali erano secondo lei i fini specifici di
questo gruppo?
SIRI: Forse avvicinare la Chiesa ai protestanti
e rendere in tal modo più facile il
loro ritorno. Ma può darsi che li stia giustificando
troppo.
Lo definisce un gruppo di “controimpostazione
conciliare”. L’aggettivo “contro”
che valenza ha? Era “contro” l’impostazione
voluta da Giovanni XXIII, “contro”
il Magistero tradizionale della Chiesa
cattolica o, più semplicemente, “contro”
una visione tradizionalista della Chiesa
che in Concilio ebbe i suoi leaders oltre
che in lei nei cardinali Ruffini e Ottaviani?
SIRI: Contro l’impostazione voluta da
Giovanni XXIII. Certo. Contro il Magistero tradizionale della Chiesa. Sicuro. Si
formò tra noi un gruppo? Loro erano una
corrente, la quale provocò necessariamente
una controcorrente.
Il teologo Schillebeeckx ha affermato
in un’intervista al settimanale spagnolo
Vida Nueva che l’orientamento di cui lei
fece parte era minoritario, ma riuscì ad
influenzare il Concilio perché molto agguerrito,
e soprattutto perché assecondato
da Paolo VI.
SIRI: Una minoranza la nostra? Ma
il Concilio erano i 2500 Padri che vi hanno
partecipato e che votavano. E votavano
bene. Di questi, solo 500 presero la parola
almeno una volta. Tutti gli altri, ed erano i
quattro quinti, erano lì, attenti, e giudicavano.
Ed erano loro la maggioranza. La maggioranza
silenziosa, ma che faceva il Concilio.
E i documenti del Concilio furono
tutti approvati quasi all’unanimità. Non si
comprende il Concilio se non si comprende
questo. Schillebeeckx faceva parte del Concilio
come “esperto” dell’episcopato olandese.
Io ero alla tribuna della presidenza e gli
esperti erano nella tribuna alla mia destra.
Li vedevo bene. Anzi, non li vedevo affatto:
non c’erano quasi mai. Erano sempre in
giro per Roma a tenere conferenze, dibattiti,
assemblee. A parlare di tutto. A tentare
di influenzare maldestramente i Padri
conciliari.
Alla ripresa dei lavori dopo la morte di
Giovanni XXIII, ci fu subito «una delle
maggiori e sorde lotte che abbiano caratterizzato
il Vaticano II», come lei la definì.
Fu il dibattito sul “De Ecclesia” che
culminerà nella “Lumen Gentium”, il cui
nucleo era la collegialità episcopale.
SIRI: Risuscitando gli errori di Basilea
e le opposizioni al Vaticano I, si tentò di
sminuire, o forse anche negare, il Primato
del Papa. Lo strumento di cui ci si servì
per tale scopo fu l’idea della collegialità
episcopale. La collegialità è sempre esistita,
ma l’intento era di condurla ad un piano di completa parità col Primato di Pietro se
non addirittura ad essere un limite per il
Primato stesso.
Me ne accorsi in una delle sedute della
Commissione preparatoria centrale del
Concilio, quando un Padre pronunciò
l’espressione «cogubernatio Ecclesiae». Lui
stesso deve essersi accorto di aver detto troppo,
perché subito l’attenuò con un termine
meno impegnativo. Era un concetto errato.
Come già si sapeva, e come poi ha precisato
il Vaticano II, il Collegio Episcopale e il
Papa sono due soggetti del potere supremo,
ma il Collegio, per essere ed agire come tale,
deve essere col Papa e sotto il Papa, mentre
il Papa stesso ha un potere personale che
non ha alcun bisogno, per essere tale, del
Collegio Episcopale. Fu proprio questo il
particolare su cui si è serrata la lotta. E la
lotta fu dura. È proprio il Primato del Romano
Pontefice a garantire tutto: senza di
quello sarebbe la distruzione. Se vogliamo
stabilire una gradazione tra i problemi e le
crisi suscitate nel post-concilio, ritengo
che questo abbia il primo posto. Mi ricordo
che una volta mi recai da Pio XII e notai
sulla sua scrivania, perfettamente sgombra,
due testi: uno era sulla collegialità. Mi chiese
che cosa ne pensassi: «Santità - risposi -
lo getti via. Io l’ho letto e non c’è niente di
buono».
Si trattava forse del libro di padre Congar,
“Vera e falsa riforma della Chiesa”?
SIRI: Preferisco non rispondere. In Concilio,
comunque, quando vidi la ferocia
dell’attacco al Primato di Pietro, preparai
un intervento. Allora ero ammalato, soffrivo
di labirintite, non riuscivo contemporaneamente
a leggere e a parlare.
Appena cominciavo sopraggiungeva una
crisi e mi accasciavo al suolo. Era un lunedì.
Il termine del dibattito era previsto per
mercoledì mattina. Mi rivolsi ai “quattro cavalieri
dell’Apocalisse”, i quattro moderatori
che sedevano proprio sotto di noi, e mi feci
iscrivere a parlare per ultimo: chi parla per
ultimo ha “più ragione”. Preparai un testo di
10-15 righe. Mi rivolsi al Card. Ruffini, che
sedeva alla mia sinistra, dicendogli: «Mercoledì
prenderò la parola, non riuscirò a terminare
perché cadrò prima. Non curarti di me,
ho già il mio segretario che mi sorreggerà,
ma prendi i fogli e finisci tu il discorso».
Il giorno seguente, il martedì mattina, entrò
in aula il Segretario generale del Concilio,
Pericle Felici: lesse un discorso a nome del
Papa. Era l’intervento che avrei voluto
fare io. Dissi al Card. Ruffini:
«Oggi ho visto l’intervento dello Spirito
Santo sul Concilio».
Nella discussione sul “De Episcopis”
il suo amico cardinal Ottaviani
contestò non solo la funzione
indicativa della votazione del 30
ottobre 1963 sulla collegialità, ma
anche la sua legittimità, mettendo
in pratica sotto accusa i moderatori
stessi.
SIRI: È difficile dare una valutazione
sui moderatori. Molto difficile.
Solo Agagianian raccoglieva l’approvazione e l’assenso di tutti. Ottaviani
era un vero difensore della fede, ma
aveva una caratteristica (non lo chiamo un
difetto): si scaldava. E questo irritava gli altri.
Un giorno Alfrink, presidente di turno,
gli tolse addirittura la parola.
E il Concilio applaudì.
SIRI: No, non si può dire che applaudì.
Ci fu qua e là... ma non fu un applauso
dell’Assemblea. Il gesto di Alfrink non fu
approvato della grande maggioranza, e recò
una certa pena. Ottaviani era allora a capo
del Sant’Uffizio: non se la presero con la
persona ma con l’ufficio. Ottaviani quando
si metteva in moto sembrava un ippopotamo.
Una persona cara, eravamo tanto
amici, un uomo di Dio. È stato parecchi
anni cieco, eppure sempre sereno.
L’opposizione alla Curia non era dunque
così diffusa.
SIRI: Sono di quelle cose di cui si parla
per passare il tempo mentre si prende il
caffé. /…/ Io dissi al cardinal Ottaviani: «Se
capita un’altra volta che le facciano l’affronto
di toglierle la parola, dica: “Sentite, state
zitti voi, altrimenti io vado dal Papa a chiedere
che mi dia la facoltà di sciogliere i segreti,
perché so tutti i vostri affari”. Vedrà
che finisce tutto».
A due anni dall’ inizio dei lavori conciliari,
ci fu la discussione della “Dichiarazione
sulla libertà religiosa”; la Chiesa non
rivendicava solo il diritto di praticare la
propria religione, ma anche che chiunque
potesse osservare il suo culto verso Dio in
modo pubblico e privato.
SIRI: Il “De Libertate Religiosa” si limitava
a questo aspetto: lo stato non può
intervenire per piegare a suo piacimento
la coscienza religiosa. Fu una cosa generale.
/…/
Fu in seguito a quel documento che
nacque la contestazione del vescovo Lefebvre...
SIRI: La genesi del documento fu la volontà
di fare un’indiretta condanna del comunismo,
attraverso la solenne proibizione
dei mezzi coercitivi «da parte di singoli individui,
di gruppi sociali e di qualsivoglia
volontà umana» nei rapporti tra gli uomini
e l’attività religiosa. Lo spiegai a Lefebvre,
tanto che lo convinsi ad accettare tutto
il Concilio, poi dissi al Papa: «Lo riceva e prepariamo un comunicato di tre righe in
cui si dia notizia dell’udienza e si dica che
Lefebvre ha regolato le sue pendenze con
la Chiesa». Ma poi le cose andarono per le
lunghe e sorsero altri problemi. /…/
In questo post-concilio uno degli aspetti
più interessanti è il fiorire di nuovi movimenti
ecclesiali. Cosa ne pensa?
SIRI: Tutta la piazza è piena di erba,
erbacce, fiori ed alberi belli. Più volte ho
sollecitato la Cei a mettere un po’ d’ordine ma finora non ha approvato nessun decreto
a riguardo. Con la Fuci sono in lite da 54
anni. Ero loro assistente e mi hanno mandato
via. E vedo che ancora non hanno abbandonato
il loro concetto intellettualistico
della fede. Ma i due movimenti più importanti
in Italia sono i Focolari e Comunione
e Liberazione.
Sono ottimi. A dire il vero quand’ero
presidente della Cei venne intentato un
processo al movimento dei Focolari. Su 20
votanti, diciotto non erano convinti dell’impostazione
dei Focolari, e votarono Deleatur.
Solo due erano a favore. Ma dei due
che votarono non deleatur uno era il cardinal
Pastore. L’altro, Montini" (a cura di Stefano
Maria Pace e Paolo Biondi - Rivista "30
Giorni", n° 6, Giugno 1989, pp. 70-75).