....Nel Cristo Dio fatto uomo , troviamo il sostegno per la nostra debolezza e le risorse per raggiungere la perfezione. L'umanità di Cristo ci rimette in piedi , la sua condiscendenza ci prende per mano , la sua divinità ci fa giungere alla méta....


S.Agostino

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mercoledì 23 ottobre 2013

Omelia di Mons.Moraglia su liturgia e musica sacra

Incontro nazionale Scholae Cantorum
(Padova, Basilica del Santo -13 ottobre 2013)
Omelia di mons. Francesco Moraglia, Patriarca di Venezia
e Presidente della Conferenza Episcopale del Triveneto



Ringrazio per l’opportunità di celebrare questa liturgia eucaristica solenne in occasione del
Convegno Nazionale delle Scholae Cantorum.
Musica sacra e liturgia si richiamano in modo non casuale ed episodico ma, piuttosto,
intimo, forte e strutturale; le unisce un legame reale e smarrirlo vorrebbe dire perdere di vista una
comprensione viva della liturgia.
Come sappiamo, la liturgia non è la conclusione di un’operazione condotta a tavolino da
pochi specialisti che dettano le loro conclusioni all'intera comunità ecclesiale. La liturgia, piuttosto,
è opera di tutta la Chiesa, tanto da manifestarne la fede; liturgia e Chiesa vanno, quindi, di pari
passo e -seppur in modi differenti -si appartengono.
Già nel quinto secolo Prospero d’Aquitania affermava: “Lex orandi, lex credendi ”, ossia la
regola del pregare è la regola del credere. E potremo dire la stessa cosa anche nel modo seguente:
“Legem credendi lex statuat supplicandi” (cfr. Epistulae, 217 (V secolo): PL 45, 1031).

Nel Catechismo della Chiesa Cattolica, al n. 1124, troviamo la spiegazione di tale
affermazione. In esso, infatti, leggiamo: “La fede della Chiesa precede la fede del credente, che è
invitato ad aderirvi. Quando la Chiesa celebra i sacramenti, confessa la fede ricevuta dagli
Apostoli. Da qui l'antico adagio: «Lex orandi, lex credendi» (oppure «Legem credendi lex statuat
supplicandi», secondo Prospero di Aquitania nel quinto secolo). La legge della preghiera è la legge
della fede, la Chiesa crede come prega. La liturgia è un elemento costitutivo della santa e vivente
Tradizione.” (CCC n. 1124).

La Liturgia -come insegna il Concilio Vaticano II, nella costituzione dogmatica sulla divina
rivelazione -è elemento costitutivo della vivente Tradizione. Si tratta non di qualcosa di accessorio
ma di costitutivo: “La Chiesa, nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette
a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede” (DV n. 8).

Urge, in tal modo, sottolineare nuovamente come la liturgia, che si sviluppa nel tempo,
riguardi tutta la Chiesa e non solo un ambito circoscritto a pochi specialisti.
Così è essenziale che ogni discepolo del Signore entri con la mente e il cuore nella vivente
“voce” della Chiesa che prega attraverso il “noi” orante della Sposa di Cristo.
A questo punto si può sottolineare come canto e musica siano parti integranti della liturgia.
Ora si tratta di mettere a fuoco quale legame unisca liturgia e musica sacra, liturgia e canto sacro.

Il desiderio è muoversi in una direzione che consenta una risposta vera e, insieme, costituisca l’approfondimento di una pastorale che sia a servizio del mistero di Dio celebrato senza
cedimenti innanzi allo spirito del mondo.
E’ opportuno qui richiamare il capitolo VI della costituzione Sacrosanctum Concilium dove
al n. 112, intitolato “Dignità della musica sacra”, leggiamo: “La tradizione musicale della Chiesa
costituisce un patrimonio d'inestimabile valore, che eccelle tra le altre espressioni dell'arte,
specialmente per il fatto che il canto sacro, unito alle parole, è parte necessaria ed integrante della
liturgia solenne. Il canto sacro è stato lodato sia dalla sacra Scrittura, sia dai Padri, sia dai romani
Pontefici; costoro recentemente, a cominciare da S. Pio X, hanno sottolineato con insistenza il
compito ministeriale della musica sacra nel culto divino. Perciò la musica sacra sarà tanto più
santa quanto più strettamente sarà unita all'azione liturgica, sia dando alla preghiera
un'espressione più soave e favorendo l'unanimità, sia arricchendo di maggior solennità i riti sacri.
La Chiesa poi approva e ammette nel culto divino tutte le forme della vera arte, purché dotate delle
qualità necessarie” (Sacrosanctum Concilium, n.112).

La musica sacra, peraltro, non determina la validità della celebrazione liturgica che si
esprime in maniera pienamente valida anche secondo la modalità recitativa, ossia senza canto e
musica.
E’ quanto afferma il già citato n. 112 della Sacrosanctum Concilium dove, come abbiamo
visto, tra l’altro si dice: “…il canto sacro, unito alle parole, è parte necessaria ed integrante della
liturgia solenne… -e poi continua rilevando -… il compito ministeriale della musica sacra nel
culto divino... dando alla preghiera un’espressione più soave e favorendo l’unanimità ” (Ibidem, n.
112).
In tal modo va sottolineato come la musica sacra non sia necessariamente “dovuta” in ogni
azione liturgica e, tuttavia, non possa essere sottratta dall’azione complessiva della liturgia poiché,
se musica e canto fossero totalmente omessi, allora verrebbe meno una parte integrativa del culto a
Dio.
Infatti, i salmi e le preghiere dell’Antico Testamento sono canti di cui si è servito lo stesso
Gesù e la Chiesa, facendoli suoi, attraverso di essi assume il canto e la musica come qualcosa con
cui -nella sua umanità o creaturalità -l’uomo si apre alla preghiera. Va quindi annotato come,
attraverso la musica, la stessa creazione entra nella preghiera. La storia della salvezza poi fa la sua
parte.
La musica sacra è, così, per un verso, nella sua essenza atto liturgico e, per un altro, rimane
saldamente atto musicale; musica e liturgia hanno quindi, fra loro, un rapporto vero, reale, intimo,
non episodico o casuale.
Non si possono, in tal modo, considerare musica e canto sacro come realtà a se stanti che
non abbiano oggettivamente a che fare con la sacralità della liturgia; musica e canto sacro non
rispondono soltanto a canoni estetici.
A sua volta, la liturgia non può rimanere chiusa in sé, incapace di comunicare con la musica
e il canto. Per un verso, come già visto, la dinamica intrinseca della musica e del canto
appartengono alla realtà della creazione e quindi hanno a che fare con l’uomo e le sue differenti
modalità espressive; per un altro verso, la liturgia della Chiesa assume dall’Antico Testamento i
salmi che sono, essenzialmente, canti.
Tra musica, canto e liturgia non si dà una relazione casuale o estrinseca ma interiore, propria
e reale. Secondo tale logica, il musicista e il cantore non sono solo dei raffinati conoscitori dell’arte
musicale e canora che, in modo del tutto casuale ed episodico, si esprimono in un edificio sacro; al
contrario, tra liturgia e musica si dà un rapporto “forte”, “obiettivo” e “intrinseco”.
Infine, risulta illuminante quanto scrive Joseph Ratzinger-Benedetto XVI circa la musica
sacra intrinsecamente considerata come atto liturgico e insieme atto musicale.
Ecco le sue parole: “…anche la musica [sacra], per poter sussistere nella sua vera essenza,
non reclamerebbe l’art pour l’art pura, bensì nell’atto di adorazione collettiva non solo
ammetterebbe un’inserzione ancillare, ma piuttosto sarebbe aperta a questo fine per sua natura” (J.
Ratzinger-Benedetto XVI, Lodate Dio con arte, Marcianum Press, Venezia 2010, p.159)
In tal modo, la musica e il canto sacro comportano una reale apertura alla dimensione
liturgico-pastorale senza venir meno o disattendere le qualificazioni proprie delle realtà musicale e
canora di cui richiedono le competenze.
Infine, pregare servendosi del canto e della musica significa andare oltre il puro parlato,
quando la sola parola non appare più sufficiente e l’anima avverte l’esigenza di altre modalità
espressive; allora si tentano nuove strade per esprimere ciò che non si ha la forza di manifestare con
le sole parole e ci si apre perciò al canto.

Sant’Agostino, col suo genio, descrive tutto questo nel commento al salmo 32 quando dice:
“Cantare con arte a Dio consiste proprio in questo: Cantare nel giubilo. Che cosa significa cantare
nel giubilo? Comprendere e non saper spiegare a parole ciò che si canta col cuore. Coloro infatti
che cantano sia durante la mietitura, sia durante la vendemmia, sia durante qualche lavoro intenso,
prima avvertono il piacere, suscitato dalle parole dei canti, ma, in seguito, quando l'emozione
cresce, sentono che non possono più esprimerla in parole e allora si sfogano in sola modulazione di
note. Questo canto lo chiamiamo "giubilo". Il giubilo è quella melodia, con la quale il cuore
effonde quanto non gli riesce di esprimere a parole. E verso chi è più giusto elevare questo canto di
giubilo, se non verso l'ineffabile Dio? Infatti è ineffabile colui che tu non puoi esprimere. E se non
lo puoi esprimere, e d'altra parte non puoi tacerlo, che cosa ti rimane se non "giubilare"? Allora il
cuore si aprirà alla gioia, senza servirsi di parole, e la grandezza straordinaria della gioia non
conoscerà i limiti delle sillabe. Cantate a lui con arte nel giubilo (cfr. Salmo 32, 3)”
(Sant’Agostino, disc. 1,7; CCC 38, 253-254).
Una volta di più cogliamo, attraverso la testimonianza di Agostino di Ippona che è uno dei
massimi geni dell’umanità, il legame intrinseco fra il canto -e il giubilo ne è il vertice -e quanto
l’uomo avverte d’ineffabile nel suo intimo. E Dio è per eccellenza l’Ineffabile. Così la preghiera
che si apre al canto -o giubilo -è la modalità meno incongrua con cui cercare di rapportarsi al Dio
ineffabile e tre volte santo.

Ringrazio, infine, della bella opportunità che oggi ci danno le Scholae Cantorum,
nell’occasione del loro Convegno nazionale, per una celebrazione in cui la fede si esprime nella sua
forma più solenne e gioiosa.