....Nel Cristo Dio fatto uomo , troviamo il sostegno per la nostra debolezza e le risorse per raggiungere la perfezione. L'umanità di Cristo ci rimette in piedi , la sua condiscendenza ci prende per mano , la sua divinità ci fa giungere alla méta....


S.Agostino

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domenica 23 dicembre 2012

Utili informazioni sulla talare

“L’abito ecclesiastico “normale” è soltanto la “talare”. Così ha deciso la CEI nel marzo 1966. È semplicemente permesso l’uso del “clergyman” con forti restrizioni: no per l’esercizio del ministero, per la amministrazione dei Sacramenti e dei Sacramentali, per la celebrazione della santa Messa, per la predicazione e per la scuola di religione. Questa disposizione della CEI è completata dalle indicazioni
che il decreto citato dà circa il clergyman: nero o grigio ferro con il colletto detto romano. Questo colletto, che esclude maglioni, camicie ed altro, diventa l’elemento più qualificante dell’abito “tollerato”. Alle disposizioni della CEI, il cui Decreto era stato autorizzato dalla Santa Sede, sono tenuti i Religiosi di qualunque genere. Infine, data l’origine del citato Decreto, non esiste autorità anche diocesana che
possa sopprimerne o mutarne le norme, alterarne in qualunque maniera il disposto o concedere che il tutto sia supplito da una minuscola crocetta all’occhiello, del tutto incapace di fare individuare facilmente il Ministro del culto cattolico: di fatto si sta assistendo alla più grande decadenza dell’abito ecclesiastico”. Il canone 284 del Codice di Diritto Canonico, sull’uso dell’abito ecclesiastico, recita: “I ministri ordinati indossino un abito ecclesiastico decoroso secondo le norme emanate dalla Conferenza Episcopale ...”.

GLI ANGELI E L’ABITO
ECCLESIASTICO
L’abito religioso è il “segno” esteriore della vita angelica che il religioso e la religiosa vivono
sulla terra; non più secondo la carne, ma secondo lo spirito. “La tonaca… - diceva S. Francesco d’Assisi – porta in sé il sigillo della santità”. I Santi e i maestri della vita monastica “sono uomini nell’interpretare il
loro abito come simbolo della vita angelica da essi condotta” , dice il Leclerq. L’abito lungo, ampio, semplice, che avvolge tutta la persona, dalla testa (con il velo o il cappuccio) ai piedi, dà l’idea e l’impressione di  un abito degli abitanti del cielo, e sembra  trasmettere quella leggerezza del corpo spiritualizzato,  quasi quell’essere “spirito” degli Angeli. La grande mistica tedesca, Santa Ildegarda, scriveva che l’abito monastico  conferisce ai monaci e alle monache “qualcosa  della luce angelica e, come ali, serve
ad elevarli”. La vestizione dell’abito religioso, quindi, fa apparire il consacrato simile  agli Angeli e richiama fortemente alla vita totale a Dio, dell’appartenenza esclusiva a Lui. Asceticamente, la consapevolezza della
presenza e dell’aiuto dell’Angelo custode serve molto efficacemente al raccoglimento,  alla modestia e soprattutto alla soprannaturalizzazione  dell’atto per sé materiale di indossare l’abito. E chi è fedele in questo non può non provare, di solito, la gioia dell’essere  rivestito di angelicità:” Sento tanta fede nell’abito religioso – diceva e scriveva Santa Veronica Giuliani – che il solo baciarlo apporta contentezza”. Così come è salutare
ricordare gli esempi edificanti di tanti frati, i quali, fin dai primi tempi del Francescanesimo,   portavano sempre l’abito indosso, con amore e decoro. “Chi portava l’abito religioso – poteva scrivere il B. Tommaso da Celano – rifulgeva per esempi di santità”.

IL MAGISTERO
Il Codice di Diritto Canonico vigente(1983), quasi ricalcando quanto stabilito nel Codice del 1917, al canone 284 così recita:  “I chierici portino un abito ecclesiastico decoroso secondo le norme emanate dalla
Conferenza Episcopale e secondo le legittime consuetudini locali. In questo senso, la Conferenza Episcopale Italiana, con delibera n° 12 del 23 dicembre 1983 ha stabilito che: “Salve le prescrizioni per le celebrazioni
liturgiche, il clero in pubblico deve indossare l’abito talare o il clergyman. Per quanto riguarda i religiosi, lo stesso obbligo è stabilito dal canone 669: § 1 I religiosi portino  l’abito dell’istituto fatto a norma del diritto
proprio, quale segno della loro consacrazione e testimonianza di povertà. § 2 I religiosi chierici di un istituto che non ha abito proprio adottino l’abito clericale a norma del canone 284”. La Congregazione per il
Clero, in data 31 gennaio 1994, ha emanato  il Direttorio per il ministero e la vita dei  presbiteri, il quale, al n° 66, così recita: “In  una società secolarizzata e tendenzialmente materialista, dove anche i segni esterni delle realtà sacre e soprannaturali tendono a scomparire, è particolarmente sentita la necessità che il presbitero - uomo di Dio, dispensatore dei suoi misteri - sia riconoscibile agli occhi della comunità, anche per l’abito  che porta, come segno inequivocabile della  sua dedizione e della sua identità di detentore
di un ministero pubblico. Il presbitero  dev’essere riconoscibile anzitutto per il suo comportamento, ma anche per il suo vestire in modo da rendere immediatamente percepibile ad ogni fedele, anzi ad ogni uomo, la sua identità e la sua appartenenza a Dio e alla Chiesa. Per questa ragione, il chierico deve portare “un abito ecclesiastico decoroso, secondo le norme emanate dalla Conferenza episcopale e secondo le legittime consuetudini locali”. Ciò significa che tale abito, quando non è quello talare, deve essere diverso dalla maniera di vestire dei laici, e conforme alla dignità e alla sacralità del ministero. La foggia e il colore debbono essere stabiliti dalla Conferenza dei Vescovi, sempre in armonia con le disposizioni del diritto  universale. Per la loro incoerenza con lo spirito di tale disciplina, le prassi contrarie non si possono considerare legittime consuetudini e devono essere rimosse dalla competente autorità. Fatte salve situazioni del tutto eccezionali, il non uso dell’abito ecclesiastico da parte del chierico può manifestare un debole senso della propria identità
di pastore interamente dedicato al servizio della Chiesa”. Il 22 ottobre del 1994, il Pontificio Consiglio per l’Interpretazione dei Testi Legislativi, ha emanata una precisazione circa il valore vincolante del n° 66 che abbiamo riportato prima, nella quale, fra l’altro, si afferma che: “7. In ossequio al prescritto del can. 32, queste disposizioni dell’art. 66 del “ Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri ” obbligano tutti quelli
che sono tenuti alla norma universale del can. 284, vale a dire i Vescovi e i presbiteri, non invece i diaconi permanenti (cfr. can.288). I Vescovi diocesani costituiscono, inoltre, l’autorità competente per sollecitare
l’obbedienza alla predetta disciplina e per rimuovere le eventuali prassi contrarie all’uso dell’abito ecclesiastico (cfr.can. 392, § 2). Alle Conferenze episcopali  corrisponde di facilitare ai singoli Vescovi
diocesani l’adempimento di questo loro dovere (Vedi: Communicationes, 27 [1995]192-194)”.