....Nel Cristo Dio fatto uomo , troviamo il sostegno per la nostra debolezza e le risorse per raggiungere la perfezione. L'umanità di Cristo ci rimette in piedi , la sua condiscendenza ci prende per mano , la sua divinità ci fa giungere alla méta....


S.Agostino

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venerdì 4 gennaio 2013

“DISCERNIMENTO D’IDONEITA’ AGLI ORDINI SACRI”


                                                                                                                                                                       
Si invita ad una lettura attenta di questa relazione , per notare come la Chiesa debba necessariamente valutare sull'idoneità fisica e psichica del candidato.

“DISCERNIMENTO D’IDONEITA’ AGLI ORDINI SACRI”

RELAZIONE DI S.E. REV.MA
MONS. CELSO MORGA IRUZUBIETA, ARCIVESCOVO
SEGRETARIO DELLA CONGREGAZIONE PER IL CLERO


Nel salutare tutti Voi qui presenti e nel ringraziare per il cordiale invito in modo particolare il Rev. Prof. Eduardo Baura, Direttore del Centro di formazione sacerdotale presso questa Pontificia Università della Santa Croce, vorrei iniziare questo mio intervento sul Discernimento d’idoneità agli ordini sacri con alcune citazioni del beato Papa Giovanni Paolo II dall’Esortazione apostolica post-sinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992): «Ogni vocazione cristiana viene da Dio, è dono di Dio. Essa però non viene mai elargita fuori o indipendentemente dalla Chiesa, ma passa sempre nella Chiesa e mediante la Chiesa (...) luminoso e vivo riflesso del mistero della Trinità santissima» (PDV n. 35b-c).
La Chiesa, «generatrice ed educatrice di vocazioni» (PDV n. 35d), ha il compito di discernere la vocazione e l'idoneità dei candidati al ministero sacerdotale. Infatti, «la chiamata interiore dello Spirito Santo ha bisogno di essere riconosciuta come autentica chiamata dal vescovo» (PDV n. 65d).
Nel promuovere tale discernimento e nell'intera formazione al ministero, la Chiesa è mossa da una duplice attenzione: salvaguardare il bene della propria missione e, allo stesso tempo, quello dei candidati. Come ogni vocazione cristiana, la vocazione al sacerdozio, infatti, unitamente alla dimensione cristologica, ha un'essenziale dimensione ecclesiale: «non solo essa deriva “dalla” Chiesa e dalla sua mediazione, non solo si fa riconoscere e si compie “nella” Chiesa, ma si configura — nel fondamentale servizio a Dio — anche e necessariamente come servizio “alla” Chiesa. La vocazione cristiana, in ogni sua forma, è un dono destinato all'edificazione della Chiesa, alla crescita del Regno di Dio nel mondo» (PDV n. 35e).
Quindi, il bene della Chiesa e quello del candidato non sono tra loro contrapposti, bensì convergenti. I responsabili della formazione sono impegnati ad armonizzarli tra loro, considerandoli sempre simultaneamente nella loro dinamica interdipendenza: è, questo, un aspetto essenziale della grande responsabilità del loro servizio alla Chiesa e alle persone (cfr. PDV nn. 66-67).
Il ministero sacerdotale, inteso e vissuto come conformazione a Cristo Sposo, Buon Pastore, richiede doti nonché virtù morali e teologali, sostenute da equilibrio umano e psichico, particolarmente affettivo, così da permettere al soggetto di essere adeguatamente predisposto a una donazione di sé veramente libera nella relazione con i fedeli in una vita celibataria (cfr. PDV nn. 43-44; Codex Iuris Canonici, cann. 1029 e 1041, § 1).
Can. 1029 - Siano promossi agli ordini soltanto quelli che, per prudente giudizio del Vescovo proprio o del Superiore maggiore competente, tenuto conto di tutte le circostanze, hanno fede integra, sono mossi da retta intenzione, posseggono la scienza debita, godono buona stima, sono di integri costumi e di provate virtù e sono dotati di tutte quelle altre qualità fisiche e psichiche congruenti con l'ordine che deve essere ricevuto.
Can. 1041 - Sono irregolari a ricevere gli ordini: §1 chi è affetto da qualche forma di pazzia o da altra infermità psichica, per la quale, consultati i periti, viene giudicato inabile a svolgere nel modo appropriato il ministero;
Tale normativa, essendo per la Chiesa cattolica sparsa nel mondo intero, presuppone una diversità di caratteri, di provenienze culturali ecc. Parliamo della Chiesa universale e, quindi, di culture ed estrazioni sociali molto diverse, anche se a causa della globalizzazione tutto sembra uniformarsi. Nonostante tale complessità mi urge sin dall’inizio rilevare che il Signore – se i formatori sono attenti e loro stessi centrati sulla propria vocazione – offre sempre segnali sufficienti per giudicare - non con assoluta sicurezza, che non esiste in questo ambito, ma con sufficiente certezza morale  (“prudente giudizio”) - sulla vocazione del candidato affidato alle loro cure.
Dopo tale precisazione. bisogna tener presente il principio stabilito, con tutta la tradizione ecclesiale, dal Decreto conciliare Optatam totius n.2, e cioè, che la vocazione al sacerdozio non precede la libera scelta del superiore ecclesiastico. Per questo, il can. 1030, CIC, stabilisce una norma sorprendente e, cioè, che il vescovo proprio o il superiore competente può interdire l’accesso al presbiterato incluso ai diaconi, anche per una causa canonica occulta, salvo il ricorso a norma di diritto. Questo principio è di un’enorme responsabilità per i formatori e, in ultima istanza, per il vescovo o equiparati, ma anche una esigenza molto forte per la sincerità piena del candidato. In caso di dubbio, è meglio seguire la via “tutior”, la via più sicura che, in questo caso, è procrastinare l’ordinazione, cercando il bene della Chiesa e la felicità del propria candidato. I canoni attinenti al tema sono fondamentalmente i cc. 1029; 1031; 1034; 1036; 1037; per gli impedimenti, 1041 (che al termine tratteremo).
Risulta facile giudicare circa l’idoneità alla luce degli eventi accaduti; ma la difficoltà estrema consiste nel giudicare correttamente tale idoneità prima dell’ordinazione, quando ancora la persona non ha vissuto o sperimentato il ministero sacerdotale.
Un aspetto importantissimo dell’idoneità per il presbiterato nella Chiesa latina, come dopo specificheremo con le parole della PDV, è il giudicare la retta, e dottrinalmente ineccepibile, ricezione del carisma della continenza perpetua e perfetta per il Regno dei cieli che fondamenta la legge del celibato (can.277 §1, CIC): un dono particolare di Dio per aderire più facilmente a Cristo con cuore indiviso e dedicarsi più liberamente al servizio di Dio e degli uomini. La Chiesa è decisa a preservare immutata la disciplina del celibato sacerdotale quale bene prezioso per l’intera Chiesa e per il nesso esistente tra celibato sacerdotale ed Eucaristia (Esort. ap. Sacramentum Caritatis, n.24).
Il dono del sacro celibato è forza per un ministero sacerdotale fecondo – tante figure sacerdotali, anche del nostro tempo, lo dimostrano (San Josemaria Escrivà; il beato Giovanni Paolo II) – ma, allo stesso tempo, è un tesoro “in vasi di argilla” e, quindi, da custodire con la grazia di Dio e cercando di evitare situazioni di scandalo. (cfr. l’episodio biblico di Gedeone dove il Signore fa toccare con mano che non è la forza militare e numerica dei combattenti quella che darà la vittoria, ma il Suo aiuto – Jc 7).
Nella lunga esperienza a servizio della Santa Sede, osservando le defezioni del Clero posso attestare che se si abbassa l’esigenza di una vita interiore autentica (l’orazione, la S.Messa, l’Ufficio divino, la confessione e la direzione spirituale, la devozione a Maria…) il processo è quasi infallibile: compensazioni affettive, innamoramenti vari, relazioni sessuali, nascita di prole, matrimonio civile, richiesta di dispensa.
Quindi i formatori alla luce delle diverse dimensioni della formazione sacerdotale — umana, spirituale, intellettuale, pastorale —, prima di soffermarsi su quella spirituale, «elemento di massima importanza nell'educazione sacerdotale» (PDV n. 45c) - in quanto essa, «per ogni presbitero (...) costituisce il cuore che unifica e vivifica il suo essere prete e il suo fare il prete» -, considerino che la dimensione umana è il fondamento dell'intera formazione. Essa elenca una serie di virtù umane e di capacità relazionali che sono richieste al sacerdote affinché la sua personalità sia «ponte e non ostacolo per gli altri nell'incontro con Gesù Cristo Redentore dell'uomo» (PDV n. 43). Esse vanno dall'equilibrio generale della personalità alla capacità di portare il peso delle responsabilità pastorali, dalla conoscenza profonda dell'animo umano al senso della giustizia e della lealtà (ib.).
Alcune di queste qualità meritano particolare attenzione: il senso positivo e stabile della propria identità virile e la capacità di relazionarsi in modo maturo con altre persone o gruppi di persone; un solido senso di appartenenza, fondamento della futura comunione con il presbiterio e di una responsabile collaborazione al ministero del vescovo (PDV n. 17); la libertà di entusiasmarsi per grandi ideali e la coerenza nel realizzarli nell'azione d'ogni giorno; il coraggio di prendere decisioni e di restarvi fedeli; la conoscenza di sé, delle proprie doti e limiti integrandoli in una visione positiva di sé di fronte a Dio; la capacità di correggersi; il gusto per la bellezza intesa come «splendore di verità» e l'arte di riconoscerla; la fiducia che nasce dalla stima per l'altro e che porta all'accoglienza; la capacità del candidato di integrare, secondo la visione cristiana, la propria sessualità, anche in considerazione dell'obbligo del celibato (cfr. Sacerdotalis cælibatus , nn. 63-64).
Tali disposizioni interiori devono essere plasmate nel cammino di formazione del futuro presbitero, il quale, uomo di Dio e della Chiesa, è chiamato a edificare la comunità ecclesiale. Egli, innamorato dell'Eterno, è proteso all'autentica e integrale valorizzazione dell'uomo e a vivere sempre più la ricchezza della propria affettività nel dono di sé al Dio uno e trino e ai fratelli, particolarmente a quelli che soffrono.
Si tratta, ovviamente, di obiettivi che si possono raggiungere soltanto attraverso la diuturna corrispondenza del candidato all'opera della grazia in lui e che sono acquisiti con un graduale, lungo e non sempre lineare cammino di formazione.
Consapevole del mirabile e impegnativo intreccio delle dinamiche umane e spirituali nella vocazione, il candidato non può che trarre vantaggio da un attento e responsabile discernimento vocazionale, teso a individuare cammini personalizzati di formazione e a superare con gradualità eventuali carenze sul piano spirituale e umano. È dovere della Chiesa fornire ai candidati un'efficace integrazione delle dimensioni umana e morale, alla luce della dimensione spirituale a cui esse si aprono e in cui si completano (PDV n. 45a).
Ogni formatore (e qui lo vogliamo intendere in senso ampio: ossia animatore/educatore, rettore e vescovo anche) dovrebbe essere buon conoscitore della persona umana, dei suoi ritmi di crescita, delle sue potenzialità e debolezze e del suo modo di vivere il rapporto con Dio. I formatori hanno bisogno di adeguata preparazione per operare un discernimento che permetta, nel pieno rispetto della dottrina della Chiesa circa la vocazione sacerdotale, sia di decidere in modo ragionevolmente sicuro in ordine all'ammissione in seminario o alla casa di formazione del clero religioso, ovvero alla dimissione da essi per motivi di non idoneità, sia di accompagnare il candidato verso l'acquisizione di quelle virtù morali e teologali necessarie per vivere in coerenza e libertà interiore la donazione totale della propria vita per essere «servitore della Chiesa comunione» (PDV n. 16e).
Il prezioso documento Orientamenti educativi per la formazione al celibato sacerdotale (11 aprile 1974), della Congregazione per l'Educazione Cattolica, riconosce che «gli errori di discernimento delle vocazioni non sono rari, e troppe inettitudini psichiche, più o meno patologiche, si rendono manifeste soltanto dopo l'ordinazione sacerdotale. Il discernerle in tempo permetterà di evitare tanti drammi» (n. 38). Ciò esige che ogni formatore abbia la sensibilità e la preparazione psicologica adeguate (PDV n. 66c) per essere in grado, per quanto possibile, di percepire le reali motivazioni del candidato, di discernere gli ostacoli nell'integrazione tra maturità umana e cristiana e le eventuali psicopatologie. Egli deve ponderare accuratamente e con molta prudenza la storia del candidato. Da sola, però, essa non può costituire il criterio decisivo, sufficiente per giudicare l'ammissione o la dimissione dalla formazione. Il formatore deve saper valutare sia la persona nella sua globalità e progressività di sviluppo — con i suoi punti di forza e i suoi punti deboli — sia la consapevolezza che essa ha dei suoi problemi, sia la sua capacità di controllare responsabilmente e liberamente il proprio comportamento. Per questo, voi qui presenti formatori opportunamente vi state preparando, anche con questo corso specifico, alla più profonda comprensione della persona umana e delle esigenze della sua formazione al ministero ordinato.
In quanto frutto di un particolare dono di Dio, la vocazione al sacerdozio e il suo discernimento esulano dalle strette competenze della psicologia. Tuttavia, per una valutazione più sicura della situazione psichica del candidato, delle sue attitudini umane a rispondere alla chiamata divina, e per un ulteriore aiuto nella sua crescita umana, in alcuni casi può essere utile il ricorso a esperti nelle scienze psicologiche. Essi possono offrire ai formatori non solo un parere circa la diagnosi e l'eventuale terapia di disturbi psichici, ma anche un contributo nel sostegno allo sviluppo delle qualità umane e relazionali richieste dall'esercizio del ministero (Optatam totius, n. 11), suggerendo utili itinerari da seguire per favorire una risposta vocazionale più libera. Anche la formazione al sacerdozio deve fare i conti sia con le molteplici manifestazioni di quello squilibrio che è radicato nel cuore dell'uomo (cfr. Gaudium et spes, n. 10) — e che ha una sua particolare manifestazione nelle contraddizioni tra l'ideale di oblatività, cui coscientemente il candidato aspira, e la sua vita concreta — sia con le difficoltà proprie di un progressivo sviluppo delle virtù umane e relazionali. L'aiuto del padre spirituale e del confessore è fondamentale e imprescindibile per superarle con la grazia di Dio. In alcuni casi, tuttavia, lo sviluppo di queste qualità umane e relazionali può essere ostacolato da particolari ferite del passato non ancora risolte. Infatti, coloro che oggi chiedono di entrare in seminario riflettono, in modo più o meno accentuato, il disagio di un'emergente mentalità caratterizzata da consumismo, da instabilità nelle relazioni familiari e sociali, da relativismo morale, da visioni errate della sessualità, da precarietà delle scelte, da una sistematica opera di negazione dei valori, soprattutto da parte dei mass-media. Tra i candidati si possono trovare alcuni che provengono da particolari esperienze — umane, familiari, professionali, intellettuali, affettive — che in vario modo hanno lasciato ferite non ancora guarite e che provocano disturbi, sconosciuti nella loro reale portata allo stesso candidato e spesso da lui attribuiti erroneamente a cause esterne a sé, senza avere, quindi, la possibilità di affrontarli adeguatamente. È evidente che tutto ciò può condizionare la capacità di progredire nel cammino formativo verso il sacerdozio. In casi eccezionali che presentano particolari difficoltà, il ricorso a esperti nelle scienze psicologiche, sia prima dell'ammissione al seminario sia durante il cammino formativo, può aiutare il candidato nel superamento di quelle ferite, in vista di una sempre più stabile e profonda interiorizzazione dello stile di vita di Gesù Buon Pastore, Capo e Sposo della Chiesa (PDV n. 29d). È utile che il rettore e gli altri formatori possano contare sulla collaborazione di esperti nelle scienze psicologiche, che comunque non possono fare parte dell'équipe dei formatori. Essi dovranno aver acquisito competenza specifica in campo vocazionale e, alla professionalità, unire la sapienza dello Spirito.
Precisata tale urgente ed attuale necessità, è oltremodo opportuno, fin dal momento in cui il candidato si presenta per essere accolto in seminario, che il formatore possa conoscerne accuratamente la personalità, le attitudini, le disposizioni, le risorse, le potenzialità e i diversi eventuali tipi di ferite, valutandone la natura e l'intensità. Non bisogna dimenticare la possibile tendenza di alcuni candidati a minimizzare o a negare le proprie debolezze: essi non parlano ai formatori di alcune loro gravi difficoltà, temendo di poter non essere capiti e di non essere accettati. Coltivano così attese poco realistiche nei confronti del proprio futuro. Al contrario, vi sono candidati che tendono a enfatizzare le loro difficoltà, considerandole ostacolo insormontabile per il cammino vocazionale.
Il discernimento tempestivo degli eventuali problemi che ostacolassero il cammino vocazionale — quali l'eccessiva dipendenza affettiva, l'aggressività sproporzionata, l'insufficiente capacità di essere fedele agli impegni assunti e di stabilire rapporti sereni di apertura, fiducia e collaborazione fraterna e con l'autorità, l'identità sessuale confusa o non ancora ben definita — non può che essere di grande beneficio per la persona, per le istituzioni vocazionali e per la Chiesa.
Nella valutazione della possibilità di vivere, in fedeltà e gioia, il carisma del celibato, quale dono totale della propria vita a immagine di Cristo Capo e Pastore della Chiesa, si tenga presente che non basta accertarsi della capacità di astenersi dall'esercizio della genitalità, ma è necessario anche valutare l'orientamento sessuale. La castità per il Regno, infatti, è molto di più della semplice mancanza di relazioni sessuali.
Il cammino formativo dovrà essere interrotto nel caso in cui il candidato, nonostante il suo impegno, il sostegno eventuale di un terapeuta, continuasse a manifestare incapacità ad affrontare realisticamente, sia pure con la gradualità di ogni crescita umana, le proprie gravi immaturità (forti dipendenze affettive, notevole mancanza di libertà nelle relazioni, eccessiva rigidità di carattere, mancanza di lealtà, identità sessuale incerta, tendenze omosessuali fortemente radicate, e così via).
Lo stesso deve valere anche nel caso in cui risultasse evidente la difficoltà a vivere la castità nel celibato, vissuto come un obbligo così pesante da compromettere l'equilibrio affettivo e relazionale.
A volte tale apparente durezza nel dimettere un candidato, non vuole altro che manifestare il fatto che spetta alla Chiesa scegliere le persone che ritiene adatte al ministero pastorale ed è suo diritto e dovere verificare la presenza delle qualità richieste in coloro che essa ammette al ministero sacro (Codex Iuris Canonici, cann. 1025, 1051 e 1052). Il canone 1051 § 1 del Codice di Diritto Canonico prevede che per lo scrutinio delle qualità richieste in vista dell'ordinazione si provveda, tra l'altro, all'indagine sullo stato di salute fisica e psichica del candidato (Codex Iuris Canonici, cann. 1029, 1031 § 1 e 1041). Il canone 1052 stabilisce che il vescovo, per poter procedere all'ordinazione, deve avere la certezza morale sull'idoneità del candidato, «provata con argomenti positivi» (§ 1) e che, nel caso di un dubbio fondato, non deve procedere all'ordinazione (cfr. § 3). Da ciò deriva che la Chiesa ha il diritto di verificare l'idoneità dei futuri presbiteri. Infatti, è proprio del vescovo o del superiore competente non solo sottoporre a esame l'idoneità del candidato, ma anche riconoscerla. Il candidato al presbiterato non può imporre le proprie personali condizioni, ma deve accettare con umiltà e gratitudine le norme e le condizioni che la Chiesa stessa, per la sua parte di responsabilità, pone (PDV n. 35g). Per cui, in casi di dubbio circa l'idoneità, l'ammissione al seminario o alla casa di formazione sarà possibile, talvolta, soltanto dopo una attenta valutazione onnicomprensiva della personalità. Il diritto e il dovere dell'istituzione formativa di acquisire le conoscenze necessarie per un giudizio prudenzialmente certo sull'idoneità del candidato non possono ledere il diritto alla buona fama di cui la persona gode, né il diritto a difendere la propria intimità, come prescritto dal canone 220 del Codice di Diritto Canonico. Ciò significa che si potrà procedere solo dopo esplicito, informato e libero consenso del candidato. I formatori assicurino un'atmosfera di fiducia, così che il candidato possa aprirsi e partecipare con convinzione all'opera di discernimento e di accompagnamento, offrendo «la sua personale convinta e cordiale collaborazione» (PDV n. 69b). A lui è richiesta un'apertura sincera e fiduciosa con i propri formatori. Solo facendosi sinceramente conoscere da loro può essere aiutato in quel cammino spirituale che egli stesso cerca entrando in seminario. Importanti, e spesso determinanti per superare eventuali incomprensioni, saranno sia il clima educativo tra alunni e formatori — contrassegnato da apertura e trasparenza — sia le motivazioni e le modalità con cui i formatori presenteranno al candidato eventuali suggerimenti per migliorare, cercando di evitare di dare l'impressione che tale suggerimento significhi preludio di un'inevitabile dimissione dal seminario o dalla casa di formazione.
Al padre spirituale spetta un compito non lieve nel discernimento della vocazione, sia pure nell'ambito della coscienza. Fermo restando che la direzione spirituale non può in alcun modo essere scambiata per o sostituita da forme di analisi o di aiuto psicoanalitico e che la vita spirituale di per sé favorisce una crescita nelle virtù umane, il padre spirituale è chiamato a procedere con saggezza nel discernimento e nell'accompagnamento spirituale. Potrà essere utile che i direttori spirituali dei seminari possano attingere sapienza dal Sussidio per Confessori e Direttori spirituali che la Congregazione per il Clero, di cui sono Segretario, ha l’anno scorso pubblicato come frutto dell’Anno sacerdotale.
Dopo di ciò ritengo conveniente soffermarmi a questo punto ancora sul can. 1029, CIC, che come abbiamo già sopra considerato, in generale stabilisce l’identità che la Chiesa desidera per i suoi presbiteri. Nella formulazione però tale norma canonica avverte di «tener conto di tutte le circostanze (omnibus perpensis)». Sembra questo un inciso senza importanza, ma vorrei con voi soffermarmi su queste “circostanze” alla luce dell’esperienza nel lavoro ordinario della Congregazione per il Clero. In particolari credo si possano distinguere tra queste circostanze dei fattori esterni e fattori interni alla persona:
A) Fattori esterni alla persona che devono essere ben ponderati dai formatori e, in ultima istanza, dal Vescovo:
1) Ambiente sociale che ha circondato e circonda il candidato: paese natale, parrocchia, amici e conoscenti; oggi è frequente lo spostamento delle vocazioni da paese a paese, da regione a regione e facilmente tale aspetto si dimentica.
Il pericolo dell’aspettativa; è tutto pronto per l’ordinazione. Non si vuole deludere le aspettative (buone e sante), ma si deve considerare che possono influenzare fortemente l’animo di un adulto-giovane (non dimentichiamo che parliamo oggi di uomini con 25-30 anni). Questa situazione è maggiormente propria dei paesi emergenti, recentemente evangelizzati e con una fede entusiasta e contagiosa;
2) Ambiente familiare: Soprattutto le famiglie di modeste o molto povere condizioni economiche, dove i genitori e i fratelli possono vedere un membro della famiglia sacerdote come un riscatto sociale ed economico; penso alle vocazioni nei paesi in via di sviluppo. Non dico che un fedele che proviene da una famiglia povera non possa avere la vocazione; anzi sappiamo che il Signore predilige i poveri anche in quest’ambito della grazia della vocazione. Parliamo di fattori che devono essere ben valutati dai formatori.
D’altro canto, può sembrare sorprendente – pero in non pochi casi è cosi – che possono influenzare la vocazione famiglie in crisi: Un ambiente familiare poco sereno o violento, per esempio a causa dell’alcolismo o delle assunzioni di droghe da parte di qualche suo membro, o a causa di separazioni e divorzi, dove il padre o la madre si sono “risposati”… può essere un fattore influente perché il candidato cerchi un ambiente in alternativa sereno, che spesso trova in parrocchia e dopo in seminario. Queste famiglie in crisi creano un profondo bisogno di sicurezza e di protezione. Si cerca inconsciamente una situazione strutturale protettiva per la propria esistenza, per il futuro. Viviamo in una società che adora la sicurezza, le “assicurazioni”, profondamente “individualista”, dove ognuno cerca queste sicurezze per il futuro incerto. Alcuni cercano quest’ambiente sicuro nell’istituzione ecclesiastica. Sono situazioni che in seguito sono comprese e definite come messa in atto di una compensazione di ciò che non si è avuto nell’infanzia e nella fanciullezza.
Ancora, famiglie dove altri membri hanno già seguito la via del sacerdozio o della vita religiosa. Altri fratelli in seminario; uno zio sacerdote o vescovo ecc. Certamente che è una cosa positiva (nella mia stessa famiglia succede così e nelle famiglie di tanti sacerdoti e membri d’istituti religiosi). Questo particolare deve essere valutato bene dai formatori perché il sacerdozio cristiano non è ereditario, giacché la vocazione è sempre una chiamata personale. 
3) Ambiente all’interno della struttura educativa (seminario o casa di formazione) dove il candidato si sente trascurato; non ha fiducia dei superiori, neppure con il direttore spirituale, al quale non si apre. Si tratta di situazioni che dovranno essere valutate bene. Alle volte hanno cause oggettive; altre volte, sono dovute a caratteri chiusi o difficili. Non è motivo per un’esclusione a priori, ma è motivo per una valutazione attenta e serena e anche con l’aiuto di un buon professionista in psicologia, che abbia e viva la fede cattolica.
Alle volte queste incomprensioni fra formatori e seminaristi possono venire per una linea “teologica” o “pastorale” diversa. Il seminario deve essere aperto a tutti i movimenti, linee di vita spirituale ecc. approvate dalla Chiesa. Sotto la parola “programmi pastorali” o qualcosa di simile si possono nascondere “ideologie” pastorali come criterio quasi “decisivo” per valutare l’idoneità del candidato o per far violenza morale sui candidati. Ci sono sensibilità e caratteri più portati alla vita di preghiera, d’intimità con Dio senza escludere il servizio del prossimo; altri più portati al servizio del prossimo senza escludere l’intimità con Dio. C’è in quest’ambito ancora un grande cammino da percorrere mediante una lettura ed attuazione del Concilio Ecumenico Vaticano II in sintonia con il Magistero e secondo una ermeneutica della continuità con la tradizione e non della rottura. Le lotte che si sonno vissute nella Chiesa in questi anni non si possono riversare sulla formazione sacerdotale, ambito che esige un ambiente sereno e di piena comunione con il Magistero della Chiesa.
B) Fattori interni alla persona:
I) arrivare al sacerdozio a causa di una conversione repentina (incontro con una personalità carismatica forte o movimenti cappeggiati da “veggenti”) e, speso, dopo una vita sregolata (droghe, sesso, alcool). Queste “personalità”, in questo nostro tempo d’insicurezza e mancanza di riferimenti chiari, possono influire gravemente sulle persone (“se non fai così, la tua vita sarà rovinata, incompiuta, minacciando anche con la rovina eterna”). Bisogna aver conto anche dei paesi o zone del mondo cattolico dove si è passati in un secolo o pochi decenni da “religioni tradizionali”, animiste o culto agli ante nati, alla fede cristiana cattolica, con una gerarchia ben strutturata. In tanti posti dell’Africa o del Sudest asiatico la maggioranza delle diocesi sono state create nel  ottocento o agli inizi del novecento; e sono Diocesi con molte vocazioni;
II) malattie psicologiche; problemi gravi di salute;
III) “curriculum” degli studi non riuscito o disinganno amoroso;
IV) periodo formativo molto frammentato (diversi posti; incluso diversi paesi). Nessuno ha seguito davvero il percorso formativo del seminarista. Questo si da soprattutto fra i religiosi.
V) persone di carattere molto estroverso, generose, simpatiche, molto impegnate nella pastorale, “leader”, molto sicure di se stesse, però dopo alcuni anni si comincia a sentire insoddisfazione. La sicurezza in se stessi comincia a scricchiolare. L’attività frenetica ha dimenticato la preghiera e la necessità della grazia. Si comincia a cercare la compensazione in donne forse anch’esse con difficoltà matrimoniali, che cercano l’appoggio nel sacerdote. La donna rimane incinta e il sacerdote – onesto – decide di lasciare il sacro ministero. Dopo arrivano il matrimonio civile e la domanda di dispensa al Santo Padre. Altri decidono di lottare affinché la Chiesa cambi. Altri passano ad altre confessioni cristiane (America del Nord, America latina) che accettino la loro situazione e li integrino nelle loro comunità.
VI) Persone con gravi difficoltà nel campo della sessualità (pratica della masturbazione non superata; relazioni amorose nascoste…). Non si possono risolvere questi problemi attribuendoli soltanto a tentazioni diaboliche e costringendo in pratica a rimanere nel seminario o nella casa di formazione religiosa.
VII) E’ molto indicativo per valutare la mancanza di vocazione la contestazione della dottrina cattolica sulla vera identità del sacerdozio cattolico e sulla dottrina morale, soprattutto nell’ambito morale della sessualità. E’ di solito sintomo chiaro di crisi personale in quell’ambito e quindi di crisi vocazionale.
VIII) Personalità “normali” (apparentemente), però con seri problemi caratteriali (fasi alterne di umore, periodi prolungati di chiusura, atteggiamenti reattivi e ipercritici, ma soprattutto rigidità nei rapporti con gli altri, individualismo esacerbato, unilateralità nel modo di valutare i fatti, forti e incontrollate reazioni emotive). In sostanza, personalità non equilibrata ed armonica, profondamente egocentrica, segnata da particolare ansia per apparire, essere accettata e in vista dell’attenzione generale. In definitiva, “discrasia” tra ciò che si vive a livello vocazionale e ciò che si sente nel profondo della propria persona: disagio interiore che porta a scontentezza frequente e prolungata de fronte alle esigenze della vocazione e alla vita in comune e non è manifestata ai formatori.
IX) Persone che affidano la vocazione alla sorte o a eventi esterni ai quali considerano come la voce e la volontà di Dio.
I primi anni sono particolarmente delicati e di questo i formatori ne devono essere coscienti. Tante vite sacerdotali si perdono in questo primo periodo, soprattutto a motivo di destinazioni inappropriate (parrocchie isolate con poco lavoro pastorale, cambiamenti estremi, soprattutto fra i religiosi). Questo crea problemi di depressione e mancanza di senso per la propria vita; stati d’animo che si ripercuotono sul fisico. Devono essere pure motivo d’attenzione i pellegrinaggi, o viaggi e vacanze esotiche poco consone ad uno stile di vita clericale.
Avviandomi alla conclusione vorrei ancora dire due brevi considerazioni più tecniche
Una prima sulla documentazione richiesta per l’ammissione agli ordini sacri, documenti che deve possedere chi concede le lettere dimissorie oppure il vescovo che conferisce l’ordinazione iure proprio. Ci lasciamo guidare dal Codice di Diritto canonico:
can. 1024: parla di ricezione ad validitatem della sacra ordinazione soltanto per un battezzato di sesso maschile; quindi irrinunciabile l’attestazione del battesimo ricevuto, mentre il can. 1033 fa riferimento ad liceitatem anche al sacramento della confermazione.
Can. 1026: parla della debita libertà di colui che deve essere ordinato; quindi necessaria è una domanda indirizzata all’Ordinario diocesano sulla libertà ed anche sull’assunzione degli impegni che tale ordinazione comporta (senso di responsabilità!).
Can. 1031: fa riferimento all’età per la promozione al presbiterato (25 anni); quindi si abbia la necessaria documentazione anche anagrafica sul candidato.
Can. 1032 delinea il curriculum studiorum di chi si prepara al sacerdozio, comprendente minimo un biennio di studi filosofici ed un quadriennio di studi teologici, anche se è sufficiente aver concluso il terzo anno di teologia per essere ammesso al diaconato; quindi è necessaria un’attestazione scritta dell’Ente canonico che ne ha seguito la formazione intellettuale.
Cann. 1050-1051, 1° confermano quanto già detto ed aggiungono sull’importanza dello scrutinio “vi sia l'attestato del rettore del seminario o della casa di formazione, sulle qualità richieste per ricevere l'ordine, vale a dire la sua retta dottrina, la pietà genuina, i buoni costumi, l'attitudine ad esercitare il ministero; ed inoltre, dopo una diligente indagine, un documento sul suo stato di salute sia fisica sia psichica”.
Una seconda riflessione mi sia concessa sulle persone dimesse o che liberamente hanno lasciato seminari o case di formazione. È contrario alle norme della Chiesa ammettere al seminario o alla casa di formazione persone già uscite o, a maggior ragione, dimesse da altri seminari o da case di formazione, senza assumere prima le dovute informazioni dai loro rispettivi vescovi o superiori maggiori, soprattutto circa le cause della dimissione o dell'uscita (Codex Iuris Canonici, can. 241, § 3). È preciso dovere dei precedenti formatori fornire informazioni esatte ai nuovi formatori. Si presti particolare attenzione al fatto che spesso i candidati lasciano l'istituzione educativa di spontanea volontà per prevenire una dimissione forzata. Nel caso di passaggio ad altro seminario o casa di formazione, il candidato deve informare i nuovi formatori del cammino globale precedentemente effettuato. In caso di perizie psicologiche fatte in precedenza, si ricordi che solo con il libero consenso scritto del candidato, i nuovi formatori potranno avere accesso alle comunicazioni dell'esperto che aveva effettuato la consultazione.
Nel caso si ritenga di poter accogliere in seminario un candidato che, dopo la precedente dimissione, si sia sottoposto a trattamento psicologico, si verifichi prima, per quanto è possibile, con accuratezza la sua condizione psichica, assumendo, tra l'altro, dopo aver ottenuto il suo libero consenso scritto, le dovute informazioni presso l'esperto che lo ha accompagnato.
Nel caso in cui un candidato chiede il passaggio a un altro seminario o casa di formazione dopo essere ricorso a un esperto in psicologia, senza voler accettare che la perizia sia a disposizione dei nuovi formatori, si tenga presente che l'idoneità del candidato deve essere provata con argomenti positivi, a norma del citato canone 1052, e quindi deve essere escluso ogni ragionevole dubbio.
Tutti coloro che, a vario titolo, sono coinvolti nella formazione offrano la loro convinta collaborazione, nel rispetto delle specifiche competenze di ciascuno, affinché il discernimento e l'accompagnamento vocazionale dei candidati siano adatti a «portare al sacerdozio solo coloro che sono stati chiamati e di portarli adeguatamente formati, ossia con una risposta cosciente e libera di adesione e di coinvolgimento di tutta la loro persona a Gesù Cristo che chiama all'intimità di vita con lui e alla condivisione della sua missione di salvezza» (PDV n. 42c).