....Nel Cristo Dio fatto uomo , troviamo il sostegno per la nostra debolezza e le risorse per raggiungere la perfezione. L'umanità di Cristo ci rimette in piedi , la sua condiscendenza ci prende per mano , la sua divinità ci fa giungere alla méta....


S.Agostino

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venerdì 17 maggio 2013

Storia ed informazioni su i pronunciamenti magisteriali circa le ordinazioni femminili

La posizione cattolica circa la prerogativa maschile del sacerdozio ministeriale

“Chi possiede la sposa è lo sposo; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo”. (Gv 3, 29)


Presentazione

Solo negli ultimi venticinque anni, le chiese cristiane si sono poste il problema di una riflessione teologica sulla prerogativa maschile del sacerdozio ministeriale. Il dibattito ha portato a due posizioni giustapposte, quella cattolica e ortodossa da un lato e quella delle chiese della Riforma dall’altro.
Queste ultime hanno affermato con chiarezza la inesistenza di motivazioni fondamentali che sostengano questa tesi, il che ha portato come inevitabile conseguenza quella della ordinazione presbiterale ed episcopale di alcune donne.
    Al di là del differente valore sacramentale attribuito dalle varie confessioni cristiane al sacerdozio stesso, restano comunque da approfondire le motivazioni teologiche dell’una e dell’altra parte.
    In questo mio studio cercherò di enucleare quelle della parte cattolica, sulla base di alcuni documenti pubblicati in merito. A questi farò innanzitutto riferimento.
    Soprattutto, due sono quelli più rilevanti: il documento della Sacra Congregazione per la dottrina della fede (approvato e voluto da Paolo VI) Inter insignores e quello di Giovanni Paolo II Ordinatio sacerdotalis.
    Mi servirò inoltre dell’approfondimento di alcuni studi che, in maniera diretta o indiretta, hanno affrontato il tema.
Nel rilevare in essi i punti maggiormente salienti circa la teologia cattolica del sacerdozio, avrò comunque presente la posizione protestante (soprattutto anglicana) ed ortodossa a riguardo.
    A motivo della natura necessariamente ridotta di tale mio lavoro, non pretendo di essere esaustivo o di affrontare con la dovuta profondità il discorso. Spero solo di essere in grado di evidenziare gli elementi principali presenti nelle sufficientemente chiare dichiarazioni magisteriali.
    In conclusione desidero, senza alcuna presunzione, fare una mia riflessione su quanto avrò approfondito.
   

Abbreviazioni e sigle

AAS    Acta Apostolicae Sedis. Commentarium officiale, Città del Vaticano, 1909-1998.

Commenti    Congregazione per la dottrina della fede, Dall’“Inter insignores” all’“Ordinatio sacerdotalis”. Documenti e commenti, “Documenti e studi” 6, LEV, Città del Vaticano 1996.

Concilium    Concilium. Rivista internazionale di teologia, 35(1999)3.

InI    Sacra Congregazione per la dottrina della fede, Inter insignores. Circa quaestionem admissionis mulierum ad sacerdotium ministeriale, Roma 28 ottobre 1976, in EV5, 3272-3283.

Donna    Militello Cettina (ed.), Donna e ministero. Un dibattito ecumenico, Edizioni Dehoniane, Roma 1991.

EO    Enchiridion Oecumenicum. Documenti del dialogo teologico interconfessionale, voll. 1-4, EDB, Bologna 1931-1994.

OS    Giovanni Paolo II, Ordinatio sacerdotalis. De sacerdotali ordinazione viris tantum servanda, Città del vaticano 22 maggio 1994 in EV14, 1340-1348.

EV    Enchiridion Vaticanum. Documenti ufficiali della S. Sede, voll. 1-15, EDB, Bologna 1966-1999.


Introduzione
    Il 22 maggio 1994, Giovanni Paolo II emana la lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis, con la quale egli intende confermare in maniera definitiva la dottrina secondo la quale la Chiesa non ha la facoltà di concedere l’ordinazione sacerdotale alle donne, già autorevolmente espressa dalla Sacra Congregazione per la dottrina della fede con la dichiarazione Inter insignores, pubblicata il 15 ottobre 1976 per disposizione e con l’approvazione di Paolo VI. A sua volta, il documento Inter insignores si pone a conclusione di un lungo carteggio epistolare tra Paolo VI e l’arcivescovo di Canterbury. Dunque, il pronunciamento di Giovanni Paolo II non è un freno posto all’inizio di un dibattito, come a prima vista potrebbe sembrare, ma la conclusione definitiva ed autoritaria dello stesso, in virtù dell’esigenza di chiarire una volta per sempre la posizione della Chiesa cattolica riguardo l’argomento.
    Tuttavia, non basta un pronunciamento del genere, per quanto autoritario possa essere, a fornire “il pieno e incondizionato assenso dei fedeli”: occorre approfondire le motivazioni teologiche che lo hanno generato.
    È quanto tenterò di fare in questo lavoro, secondo quanto emerge  dal documento Inter Insignores e dai pronunciamenti direttamente collegati ad esso.
 
Capitolo primo. 

Un po’ di storia.


    Per comprendere l’iter che ha portato alla stesura del documento, partiamo proprio dalle lettere scambiate sull’argomento tra Paolo VI e l’arcivescovo di Canterbury, Donald Coggan. Nel luglio 1975, Coggan scrisse al Papa, informandolo che un po’ alla volta si diffondeva nella Chiesa anglicana la convinzione che non esistessero obiezioni, a livello di principi, circa la possibilità della ordinazione sacerdotale alle donne. Quattro mesi più tardi, il Papa rispondeva che la Chiesa cattolica riteneva inammissibile l’ordinazione sacerdotale femminile per “ragioni veramente fondamentali”, tra le quali: il sesso maschile degli apostoli, la prassi costante della Chiesa, il magistero vivente che ha ritenuto l’esclusione delle donne da questo ufficio conforme al piano di Dio sulla Chiesa.
    L’anno successivo, Coggan scrisse che l’unità si sarebbe manifestata entro una diversità di tradizioni legittime e Paolo VI rispose definendo l’ordinazione delle donne una grave minaccia alla riconciliazione, anche perché di fatto in America del Nord già avvenivano le prime ordinazioni femminili.
    Nell’ottobre 1976 fu pubblicata la Inter insignores, con la quale viene dato alla Chiesa cattolica un orientamento autorevole e, direi, già definitivo circa la questione.
    Tuttavia, il dibattito continuò. Le chiese della Riforma procedettero alla ordinazione presbiterale ed episcopale delle donne ed anche in campo cattolico ci fu chi si mostrava consenziente ad una simile prassi. Ecco perché Giovanni Paolo II si sentì in dovere di chiudere definitivamente il dibattito in maniera esplicita con la lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis.
E, come se non bastasse, il 28 ottobre 1995, la Congregazione per la dottrina della fede scioglie ogni altro dubbio residuo con la Risposta al dubbio circa la dottrina della lettera apostolica “Ordinatio sacerdotalis”: “Il sommo pontefice ha affermato esplicitamente ciò che si deve tenere sempre, ovunque e da tutti i fedeli, in quanto appartenente al deposito della fede”.

Capitolo secondo

La teologia di Inter insignores



    Vediamo ora di analizzare più direttamente il documento in questione, per comprendere quali siano le motivazioni teologiche che hanno portato la Chiesa cattolica a questa presa di posizione.
    L’Introduzione mette in evidenza quello che è il posto della donna nella società moderna e nella Chiesa, evidenziando un sempre più accentuato ingresso della donna nella vita pubblica, e cita la Pacem in terris di Giovanni XXIII. Anche il Concilio Vaticano II, nella Gaudium et spes, evidenzia come prima causa delle discriminazioni relative ai diritti fondamentali della persona quella basata sulla differenza di sesso, da valutarsi invece come l’occasione per la costruzione di un mondo più armonico in cui ognuno, con la sua peculiarità, apporta le ricchezze che gli sono proprie.
    Nella vita della Chiesa, sono state diverse le figure di santità femminile che hanno svolto un ruolo decisivo per il procedere della storia, tanto che alcune di esse, per la loro saggezza evangelica,  sono state dichiarate dottori. Innumerevoli le consacrate, le missionarie e le spose cristiane. E tante sono le donne che prendono parte attiva oggi nella riflessione e nell’azione pastorale della Chiesa.
    Il documento sembra quasi voler evidenziare fin dall’inizio che qualsiasi presa di posizione non si fonda su una volontà discriminatoria o su un maschilismo imperante nella gerarchia ecclesiastica, come la Chiesa veniva allora accusata, ma su solide motivazioni teologiche che non possono cedere né di fronte ad alcune posizioni di avanguardia dello stesso ambito cattolico, né di fronte ad accomodanti desideri di facile ecumenismo. La posizione della Congregazione per la dottrina della fede è chiara fin dall’inizio: “La Chiesa non si considera autorizzata ad ammettere le donne all’ordinazione sacerdotale, e crede opportuno di spiegare questa posizione”, cosa che viene fatta nei capitoli seguenti.

    Il primo capitolo è dedicato al fatto della Tradizione: mai la Chiesa ha concesso la ordinazione presbiterale ed episcopale alle donne. Al di là dell’influsso di pregiudizi propri del loro tempo, i Padri sono stati concordi su questo anche quando alcune sette eretiche iniziavano a permetterlo e la motivazione fondamentale era che la Chiesa intendeva restare fedele al tipo di ministero voluto da Gesù e scrupolosamente conservato dagli apostoli.
    La medesima convinzione anima la teologia medievale, anche se con motivazioni oggi difficilmente comprensibili.
    La tradizione in materia è stata, comunque, talmente stabile che il magistero non ha mai ritenuto di dovere intervenire in proposito.
    Il secondo capitolo approfondisce allora quello che è stato l’atteggiamento di Gesù. In più passi del Vangelo appare chiaramente un modo di fare difforme dalle usanze del suo tempo, anche a riguardo dei rapporti con le donne. Non avrebbe quindi avuto difficoltà, ritenendolo giusto e adeguato, ad affidare il ministero apostolico anche ad alcune donne, prima fra tutti sua Madre, la cui natura già aveva preservata per grazia dal peccato originale, cosa mai fatta per alcuna altra creatura. Eppure, benché Maria superasse in dignità ed eccellenza tutti gli apostoli, a questi e non a lei Gesù volle affidare le chiavi del Regno dei cieli.

    Il terzo capitolo affronta proprio la prassi degli apostoli: Maria continua ad occupare un posto privilegiato nella cerchia di quanti si riuniscono nel cenacolo dopo l’ascensione (cfr. At 1, 14), eppure non è lei che viene designata ad entrare nel collegio dei dodici, ma le sorti si gettano tra due discepoli dei quali i Vangeli neppure fanno menzione. Nel giorno di Pentecoste, lo Spirito Santo scese su tutti coloro che erano riuniti, eppure l’annuncio del compimento delle profezie in Gesù fu annunziato da “Pietro e gli undici” (At 2, 14).
    L’annuncio del Vangelo fino ai confini del mondo indusse i cristiani a rompere con molte pratiche giudaiche fino allora ritenute ineludibili. Inoltre, nel mondo ellenistico parecchi culti di divinità pagane erano affidati a sacerdotesse, anche grazie a una concezione della donna ben diversa e meno opprimente rispetto alla mentalità giudaica. Eppure, nonostante spesso Paolo menzioni l’attività svolta in favore del Vangelo di alcune donne, la Chiesa primitiva non si è mai posta il problema di conferire l’ordinazione alle donne.

    Il documento ribadisce allora il valore permanente dell’atteggiamento di Gesù e degli apostoli, dal quale non ci si può allontanare. Ma quali sono gli argomenti di quanti sostengono l’opportunità di una diversa prassi nella Chiesa? Inter insignores non ricusa di richiamarli.
    Il più cogente è quello dell’influsso della cultura e dell’ambiente, al quale neppure Gesù e gli apostoli avrebbero saputo sottrarsi. Ma l’argomentazione non regge. Sia perché Gesù ha dato prova più volte della sua volontà di scostarsi dal modo di fare e dalla mentalità del tempo, ad esempio per quello che riguarda la sacralità del sabato. E a maggior ragione gli apostoli, una volta venuti a contatto col mondo ellenistico, dove pure esistevano diffusamente figure sacerdotali femminili, non avrebbero avuto difficoltà a introdurre nella Chiesa questa figura, dopo avere avuto addirittura il coraggio di eliminare la pratica della circoncisione.

    Né può essere considerata come un’espressione meramente culturale l’ingiunzione fatta da Paolo alle donne di non insegnare nell’assemblea cristiana (1 Cor 14, 34-35; 1 Tm 2, 12), pur riconoscendo loro il diritto di profetizzare in tali adunanze (1 Cor 11,7).
    Un’altra posizione è quella di quanti riconoscono l’esistenza di una evoluzione nella pratica dei sacramenti. A costoro occorre ricordare che i sacramenti non hanno una natura puramente convenzionale, ma poiché sono fondati in Cristo, devono necessariamente rimanere inalterati nella loro sostanza. Ed è la Chiesa a stabilire, per la voce del suo magistero, quanto può cambiare e quanto è invece immutabile, in piena fedeltà al modo di agire di Cristo. In conclusione:
“Questa pratica della Chiesa riveste, dunque, un carattere normativo: nel fatto di non conferire l’ordinazione sacerdotale se non ad uomini è implicita una tradizione continua nel tempo, universale in oriente e in occidente, ben attenta nel reprimere tempestivamente gli abusi. Una tale norma, che si appoggia sull’esempio di Cristo, è seguita perché viene considerata conforme al disegno di Dio per la sua Chiesa”.

    Gli ultimi due capitoli sono posti nel documento, quasi come una conclusione, a ricordare quelli che sono i punti fondamentali del sacerdozio ministeriale alla luce di Cristo e della Chiesa.
    Il vescovo o il presbitero non agiscono infatti solo a proprio nome, nell’esercizio del proprio ministero, ma è Cristo stesso che agisce per mezzo di loro. Particolarmente, tale conformazione raggiunge la sua espressione più piena nella celebrazione dell’Eucarestia, nella quale il sacerdote agisce in persona Christi. Il sacerdote è dunque un segno che i fedeli devono saper riconoscere immediatamente. Risulterebbe alquanto artificioso riconoscere questo segno quando a presiedere l’azione sacramentale fosse una donna. L’Aquinate ricorda che: “i segni sacramentali rappresentano ciò che significano per una naturale somiglianza”.

    Il fatto che l’incarnazione del Cristo sia avvenuta secondo il sesso maschile non vuole certo dire una superiorità dell’uomo sulla donna. E inoltre l’alleanza dell’umanità con Dio è vista nell’Antico Testamento, specialmente nei profeti, come un mistero nuziale. Nella passione redentrice si realizza tale mistero in cui il Cristo è lo sposo e la Chiesa la sua sposa. Questo linguaggio simbolico della Scrittura raggiunge l’uomo e la donna nella loro profonda identità. L’importanza di questo simbolismo per l’economia della rivelazione è tale che Cristo, nell’esercizio del suo ministero di salvezza e in particolar modo nella celebrazione Eucaristica, non può che essere rappresentato da un uomo. Non per una superiorità nell’ordine dei valori, ma per una diversità di fatto sul piano delle funzioni.

    Inoltre, nella glorificazione celeste, non viene annullata affatto la distinzione tra uomo e donna, in quanto questa determina radicalmente la propria identità personale ed è frutto di una volontà primordiale di Dio (cfr. Gn 1, 27-28).
    E se è vero che il sacerdote rappresenta pure la Chiesa, tuttavia se lo fa è perché, innanzitutto, egli rappresenta il Cristo che ne è Capo e Sposo.

    Queste constatazioni portano il documento, dopo una riflessione cristologica, ad approfondire il ruolo ecclesiologico del sacerdote. La funzione pastorale e governativa della Chiesa non è paragonabile a quella delle altre società civili, perché frutto della scelta di Dio che infonde il suo Spirito su quanti pone a guida del suo gregge tramite l’imposizione delle mani e il sacramento dell’ordine. Il sacerdozio non è un diritto, ma una vocazione di servizio. Non si può quindi recriminarlo per le donne solo in virtù di una par condicio ecclesiale. Ed è la Chiesa ad essere deputata nel discernimento di chi sia degno di un tale dono.
    Nella Chiesa i compiti devono essere ben definiti e distinti. Ma questo non fonda una superiorità degli uni sugli altri. I più grandi nel regno dei cieli non sono i ministri, ma i santi.
    È opportuno quindi che le donne cristiane prendano coscienza della peculiarità ed importanza del loro ruolo e dell’apporto determinante che esse possono offrire per l’umanizzazione della società e per la riscoperta del vero volto della Chiesa.

Capitolo terzo

Il valore di Ordinatio sacerdotalis


    Con la lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis, il Sommo Pontefice intende ribadire in maniera definitiva la dottrina per la quale la Chiesa non può arrogarsi il diritto di conferire l’ordinazione sacerdotale alle donne. Egli lo fa richiamandosi a quanto già precedentemente affermato da Inter insignores e alle motivazioni teologiche ivi espresse. Nella lettera vengono pure ricordati altri documenti magisteriali che pure affermano la stessa dottrina: Mulieris dignitatem 26, Christifideles laici 51 e il Catechismo della Chiesa Cattolica 1157. Eppure, nonostante questi solenni insegnamenti, il Papa rileva come da più parti anche nella Chiesa cattolica si ritengano i suddetti pronunciamenti come puramente disciplinari e, come tali, soggetti a cambiamento. Ecco quindi la ragione profonda di un intervento che attinge direttamente alla facoltà propria del Papa di insegnare in maniera infallibile verità di fede e di morale.

    Non si tratta quindi di una nuova formulazione dogmatica, ma di una dottrina insegnata dal magistero ordinario pontificio in maniera definitiva.
È Cristo stesso che ha stabilito le cose in questo modo dando alla Chiesa una ben delineata antropologia teologica. E questo lo ha fatto con la stessa libertà di azione con la quale ha messo in rilievo alla gente del suo tempo la dignità e la vocazione della donna. Neppure Maria sua madre, l’onnipotente per grazia, è stata esclusa da questa logica divina.
    La volontà di Cristo di concedere la dignità sacerdotale a soli uomini non rientra dunque in un disegno di egemonia maschilista, ma in una differenziazione dei ruoli all’interno della Chiesa, dove “il solo carisma che si deve desiderare è la carità”.

    Nel suo commento alla lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis, il card. Ratzinger compie quasi una sintesi delle motivazioni teologiche che stanno alla base della rinnovata negazione del sacerdozio alle donne, confermata dal Papa in questo suo pronunciamento. Potremmo così schematizzarle:

⦁    Un’interpretazione puramente storicistica della Scrittura ha portato a considerare l’istituzione del sacerdozio non all’interno della volontà di Cristo per la sua Chiesa, ma come un processo storico dai molteplici sviluppi, sostituendo il concetto di istituzione a quello di funzionalità.

⦁    La trasparenza simbolica della corporeità, per la quale gli apostoli sono icona vivente e operante del Signore, e che è ovvia nel pensiero sacramentale, viene sostituita dall’equivalenza funzionale dei sessi.

⦁    Una concezione unilaterale di infallibilità come unica forma di decisione vincolante nella Chiesa è divenuta pretesto per relativizzare i vari documenti e dichiarare ancora aperta la questione.

⦁    Il fondamento dottrinale della verità in oggetto si riscontra solo nella volontà e nell’esempio di Gesù. E la sua scelta è allo stesso tempo dono del Padre che chiama.

⦁    La sessualità è da vedersi come espressione essenziale dell’essere uomo o donna e non come uno strumento di cui ci si serve. La differenziazione complementare dei ruoli dell’uomo e della donna è quindi costitutiva della loro stessa profonda identità.

⦁    Anche se molte chiese della Riforma accusano la Chiesa cattolica di non tenere in considerazione
quella che è l’opinione della maggioranza, occorre ricordare che in materia di fede e di morale non si dà gerarchia contro democrazia, ma obbedienza contro autocrazia. E tanto più questo è valido per quel che riguarda l’interpretazione della Scrittura.

Secondo il prelato, due sono i risvolti pratici che immediatamente emergono in seguito alla promulgazione del documento.

La questione della discriminazione della donna.
 Il Papa evidenzia chiaramente come il dono-servizio del sacerdozio non è per un maggiore prestigio personale, ma per il bene della Chiesa. Il fatto che Maria stessa non abbia ricevuto alcuna ordinazione sacerdotale, vuol dire che la non ammissione delle donne al sacerdozio non può significare una loro minore dignità, né una discriminazione nei loro riguardi. Il sacerdozio è un sacramento e non una modalità sociale organizzativa. Occorre però, senz’altro, sforzarsi per migliorare il ruolo delle donne nella missione evangelizzatrice e nella vita delle comunità cristiane.

La questione ecumenica. Il documento esprime l’obbedienza della Chiesa alla parola biblica vissuta nella Tradizione. La posizione cattolica si pone poi in comunione con quello che è il pensiero della Chiesa ortodossa. Circa le comunità della Riforma, invece, non si introduce alcun elemento nuovo, dato che la divergenza nella comprensione del valore sacramentale del sacerdozio si è posta fin dall’inizio della rottura. Ordinatio sacerdotalis non pone quindi un ulteriore ostacolo al dialogo ecumenico ma anzi offre l’occasione per approfondire problemi di fondo quali il rapporto fra Tradizione e Scrittura, la struttura sacramentale della Chiesa e il carattere sacramentale del ministero sacerdotale. Non si è creato un nuovo contrasto, ma si è rinnovata una sfida.
Conclusione
    I documenti analizzati offrono senz’altro delle motivazioni serie  e profonde sul valore della prerogativa maschile dell’ordinazione sacerdotale. L’opportuna insistenza sulla visione del sacerdozio come compito di servizio e non di potere, consente di valorizzare il ministero sacerdotale non come un’occasione per progredire nella scala sociale, ma quale realmente esso è: una vocazione al servizio della Chiesa che perpetua l’azione di Cristo per il suo corpo. Appellarsi alla pari dignità dei sessi è allora superfluo: mai essa è stata negata. Tuttavia, più che di parità è giusto parlare di complementarità, armonia dove ognuno ha i suoi compiti specifici e distinti. Non si può, ad esempio, pretendere che un uomo porti avanti una gestazione solo per le “pari opportunità”: ogni essere umano ha dei limiti che ne costituiscono al tempo stesso la peculiarità e grandezza. E la prima limitazione è la distinzione tra uomo e donna.

    È giusto fare appello alla Tradizione e alla prassi divino-apostolica: Cristo è il fondamento della Chiesa e nel suo agire salvifico si realizza l’amore creatore e salvatore del Padre.
    C’è però un elemento che a mio avviso occorrerebbe evidenziare maggiormente ed è il valore iconico-simbolico che ha il sacerdote. Un valore proprio – certo - di ogni cristiano, in virtù del sacerdozio comune dei battezzati. Ma anche specifico di chi è chiamato da Dio ad essere segno efficace del suo amore per l’uomo.
    L’icona dice una certa “consustanzialità” col suo prototipo, una certa presenza (intenzionale e non sostanziale) dell’originale nella sua immagine. L’icona è materia riempita di grazia, perché rappresenta Colui che è fonte della grazia. L’icona è strettamente legata alla liturgia perché permette il passaggio dalla realtà finita a quella infinita. Ecco perché essa è pure segno-simbolo.
    Il simbolo è un segno la cui particolarità sta nel modo di significare la realtà, che è quella di “significare riconoscendosi”. Il simbolo, in quanto segno esperienziale,  fa conoscere ciò che è indicato, ma si spinge oltre, mette cioè in contatto con la stessa cosa significata. Esso evoca una realtà di un ordine altro, ad esso ci si accosta per lasciarsi coinvolgere nell’esperienza di vita che esso suscita e non per spiegarlo. Il simbolo non è oggetto di discussione; esso si celebra poiché solo nell’azione si rivela ed opera. Il sacerdote è segno-simbolo di Cristo, col quale la sua stessa persona mette in contatto, in particolar modo quando celebra i sacramenti, quando cioè le due persone “si uniscono” e il simbolo funziona perché posto nella condizione di operare secondo la sua natura.
    Cristo è nato uomo, ci ha amati con cuore di uomo, ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo. Il suo essere maschio è elemento ineludibile della sua natura e personalità umana.
    Credo che considerare l’uomo maschio naturalmente deputato ad esserne segno sia solo consequenziale.
    La vera liberazione della donna si avrà solo riconoscendone la dignità profonda e l’apporto insostituibile che le è proprio per la costruzione del Regno di Dio.  L’appropriazione indebita di quanto non le compete la snaturerebbe, vanificando ogni suo sforzo.
 
Bibliografia
   
Fonti

a.    Magistero cattolico

Concilio Ecumenico Vaticano II, Lumen gentium. Constitutio dogmatica de Ecclesia, 21 novembre 1964, in EV 1, 284-445.

-, Presbyterorum ordinis. Decretum de Presbyterorum ministerio et vita, 7 dicembre 1965, in EV 1, 1243-1318.

Giovanni Paolo II, Ordinatio sacerdotalis. De sacerdotali ordinazione viris tantum servanda, 22 maggio 1994, in EV 14, 1340-1348.

-, Pastores dabo vobis. Esort. Apostol.  post-sinod. de sacerdotum formatione, 25 marzo 1992, in EV 13, 1154-1553.

Paolo VI, We write in answer, 30 novembre 1975, in EV S1, 596.

-, As the tenth anniversary, 23 marzo 1976, in EV S1, 598.

Sacra Congregazione per il Clero, Dives ecclesiae. Directorium pro presbyterorum ministerio et vita, 31 marzo 1994, in EV 14, 750-917.

Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, Inter insignores. Circa quaestionem admissionis mulierum ad sacerdotium ministeriale, Roma 28 ottobre 1976, in EV 5, 3272-3283.

-, Utrum doctrina. De doctrina tradita in Epist. Ap. “Ordinatio sacerdotalis”, Roma 28 ottobre 1995, in EV 14, 3271.

Sacra Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, Function de la femme dans l’évangélization, 19 novembre 1975, in EV 5, 1569-1572.

b.     Pronunciamenti di varie Chiese cristiane

Coggan Donald, Lettera dell’arcivescovo di Canterbury a Paolo VI, 9 luglio 1975, in EV S1, pp. 588-589.

-, Lettera dell’arcivescovo di Canterbury a Paolo VI, 10 febbraio 1976, in EV S1, pp. 592-593.

Comitato Anglicano – Cattolico Romano, Consultazione di Versailles, 27 febbraio – 3 marzo 1978, in EO 1, 261-269.

Commissione Dottrinale Mista Anglicana – Ortodossa, Dichiarazione di Atene, 18 luglio 1978, in EO 1, 420-434.

Commissione Fede e Costituzione del Consiglio Ecumenico delle Chiese, Battesimo, eucarestia, ministero. Documento conclusivo della ricerca teologica della commissione sui tre temi,  Lima 1982, in EO 1, 3032-3181 (soprattutto: 3134-3135).

Commissione Internazionale Anglicana-Riformata, Il regno di Dio e la nostra unità, gennaio 1984, in EO 1, 2660-2859.

Commissione Mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa Cattolica Romana e la Chiesa Ortodossa, Il sacramento dell’ordine nella struttura sacramentale della Chiesa, 26 giugno 1988, in EO 3, 1812-1866.

Conferenza teologica fra Anglicani e Vecchio-cattolici, Dichiarazione congiunta sull’ordinazione delle donne, 18-22 aprile 1997, in EO 1, 574-580.

Consulta Anglicana – Cattolica Romana negli USA, Dichiarazione congiunta sull’unità cristiana e sull’ordinazione delle donne, 7 novembre 1975, in EO 2, 2083-2093.

-, Dichiarazione sull’ordinazione delle donne, 22-24 gennaio 1976, in EO 2, 2356-2361.

Giovanni Paolo II – Robert Runcie, After worshipping together. Common declaration of the pope Jhon Poul II and the archibishop of Canterbury, 2 ottobre 1989, in EV 11, 2648-2656.

Giovanni Paolo II – George Leonard, Once again. Common declaration of the pope Jhon Poul II and the archibishop of Canterbury, 5 dicembre 1996, in EV 15, 1471-1475.

Gruppo di lavoro fra Anglicani e Cattolici in Canada,  Dichiarazione congiunta sull’esperienza dei ministeri alle donne, 11 aprile 1991, in EO 4, 67-148.

Rappresentanti del Consiglio Consultivo Ecumenico dei Discepoli di Cristo – Rappresentanti dell’Alleanza Nazionale delle Chiese Riformate, Verso una più stretta koinonia, 1987, in EO 3, 2446-2495.

Studi

Barazzetti Enrico, Il problema del sacerdozio femminile alla luce dell’analogia fidei. Contributo a chiarire le ragioni per le quali l’ordinazione sacerdotale è da riservarsi soltanto agli uomini, in “Sacra Doctrina” 41(1996)2, 5-51.

Congregazione per la Dottrina della Fede, Dall’“Inter insignores” all’“Ordinatio sacerdotalis”. Documenti e commenti, “Documenti e studi” 6, LEV, Città del Vaticano 1996.

Militello Cettina (ed.), Donna e ministero. Un dibattito ecumenico, Edizioni Dehoniane, Roma 1991.

Ratzinger Joseph, La lettera apostolica “Ordinatio sacerdotalis” in “La Civiltà Cattolica” 145(1994) 3, 61-70.

Rolla Armando, Il sacerdozio alle donne? Riflessioni sulla dichiarazione Inter insignores, in “Asprenas” 24(1997)1, 67-96.

Sullivan Francis, Capire e interpretare il magistero. Una fedeltà creativa, EDB, Bologna 1997.

Tanner Mary, Ordinazione delle donne, in Cerreti Giovanni–Filippi Alfio–Sartori Luigi, Dizionario del movimento ecumenico, EDB, Bologna 1994, 803-806.

Vanzan Piersandro, L’ordinazione sacerdotale delle donne. Riflessioni in margine a un recente carteggio tra la Chiesa cattolica e la Comunione anglicana, in “La Civiltà Cattolica” 137(1986)3, 149-154.