....Nel Cristo Dio fatto uomo , troviamo il sostegno per la nostra debolezza e le risorse per raggiungere la perfezione. L'umanità di Cristo ci rimette in piedi , la sua condiscendenza ci prende per mano , la sua divinità ci fa giungere alla méta....


S.Agostino

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venerdì 7 giugno 2013

Padre Arrupe , i Gesuiti e i Papi

Credo che tutti gli ordini religiosi maschili e femminili implicati in questa bella vicenda
del Vaticano II, della sua attuazione e della sua non attuazione, siano una cartina di tornasole delle
difficoltà che oggi abbiamo e anche della gioia che abbiamo sperimentato.
Cosa ha fatto la Compagnia di Gesù al Vaticano II?
La Compagnia di Gesù arriva al Vaticano II ai tempi di Giovanni XXIII con le attese i disagi e le
speranze di tutta la chiesa. I tempi difficili che seguono gli anni della guerra per alcuni versi vedono
un fiorire di vita religiosa, per altri annunciano che tempi nuovi richiedono risposte nuove anche di
tipo religioso. Domina nella mentalità comune dei gesuiti, una sorta di odio viscerale per il
comunismo ateo, che induce ad un serrare le fila attorno a posizioni interclassiste della vecchia Dc e
ad una religiosità tradizionale. Si fa strada però anche la sofferenza per lo scollamento sempre più
marcato dei poveri, i cui problemi sembrano essere sottovalutati dalla Chiesa, come pure la
percezione che una teologia astratta non interessi più i giovani e non affronti le attese della povera
gente. Chi attende il nuovo insomma è nella compagnia di Gesù e chi aspetta il ritorno ad una
posizione più rigida è sempre nella Compagnia di Gesù.
Quando il Concilio si apre, vari gesuiti a titolo diverso vi sono presenti e anche questi schierati in
due diverse linee di pensiero. Accanto a padre Tromp della Gregoriana, che sosteneva strenuamente
gli schemi preparati dalla Commissione preparatoria di stampo notoriamente tradizionale, c'erano
uomini come Henri De Lubac, Jean Daniélou, Karl Rahner rappresentanti insomma del
rinnovamento teologico (pensate alla nuova teologia) che aveva fatto scattare le perplessità
dell' Humani generis di Pio XII. L'esito del Vaticano II fu vissuto dalla Compagnia di Gesù come era
prevedibile: accolto con sollievo e speranza da una parte consistente di gesuiti, respinto a titolo
diverso da un'altra parte anch'essa consistente.
Dopo il Vaticano II si registra una vera emorragia dell'Ordine. Esso perde in breve tempo circa
10mila membri. Escono dall'Ordine quelli che sono delusi dal Concilio perché ha detto troppo poco
e anche escono quelli secondo i quali il Concilio avrebbe detto troppo ed avrebbe avviato la rovina
di una chiesa in cui non si riconoscevano più.
Dietro questa apparenza di facciata esiste sempre un Ordine che vuole recepire i venti dello Spirito
e che nel 1965 convoca la 31ma Congregazione generale con un doppio scopo: predisporre dal
punto di vista interiore ed operativo la recezione del Concilio, eleggere il nuovo padre generale, il
cosiddetto papa nero. Da tutti si sente il bisogno di un cambiamento pur nel solco della tradizione
gesuitica. Qualcuno parla di un nuovo inizio, si giungerà al concetto di rifondazione. Gli anni '60
erano molto diversi da quelli in cui la Compagnia era nata, ma per alcuni versi simili per la novità e
la gravità delle sfide che l'Ordine doveva affrontare per realizzare le sue finalità. “In tutto amare e
aiutare le anime” come diceva Ignazio. In questa congregazione viene eletto padre generale Pedro
Arrupe.
Interrogarsi sui gesuiti del Vaticano II significa imbarcarsi in una ricerca di vastità eccezionale che
ruota a mio parere attorno a tre punti chiave: la persona di padre Pedro Arrupe, generale dei Gesuiti,
la Congregazione generale 32ma e le implicazioni della Compagnia nelle vicende dell'America
Latina.
Si tratta di una storia lacerante che gronda lacrime e sangue in senso proprio. E sembra avere come
controparte nientedimeno che il papato e in particolare Giovanni Paolo II. Difficile per un non
gesuita rendersi conto del dramma: essere sospettati da colui che regge quella chiesa al cui servizio
ogni gesuita si sente consacrato. In altri termini le contraddizioni che lacerano la chiesa - c'è chi
considera una nuova Pentecoste il Concilio e chi lo considera uno sbaglio dello Spirito che porterà
solo mali nella fede - si riflettono nella vita dell'ordine, che vuole vivere in obbedienza la papa, ma
che è nato per l'annunzio e la costruzione del Regno di Dio.
Vediamo questi tre punti.

Pedro Arrupe
La sua azione di governo si può dividere in due parti: la prima dal 1965 al 1971, la seconda dal
1972 al 1991, anno della morte.
Il primo periodo è tutto dedicato all'ammodernamento dell'Ordine deciso e designato dalla
Congregazione generale 31ma, secondo le direttive spirituali apostoliche ecclesiali del Vaticano II.
Paolo VI rimprovera Padre Arrupe di essere debole nel governo, più incline alla benignità che al
rigore, di usare più l'acceleratore che il freno, di rischiare in modo eccessivo nelle sue decisioni, di
fidarsi troppo di coloro che avrebbe dovuto guidare e correggere. Lui rispondeva a quanti gli
rimproveravano una crisi di fiducia tra il papa e la Compagnia, che preferiva correre il rischio di
sbagliarsi a quello di restare immobile nella paura, che preferiva apparire permissivo per evitare il
rischio di creare un clima di diffidenza e di terrore.
Il secondo periodo è segnato dalla sua fedeltà alle decisioni della Congregazione generale 32ma e
da una rottura nei fatti mai sanata, neppure con l'elezione ad arcivescovo di Milano del Cardinal
Martini, tra il Generale della Compagnia e Giovanni Paolo II. Anche quando Arrupe fu eletto
segretario della confederazione mondiale degli ordini religiosi il papa si rifiutò di riceverlo. Il
dolore per questa incomprensione contribuirà alla malattia e poi alla morte di padre Arrupe.

La Congregazione Generale 32ma
La Congregazione generale 32ma inizia nel 1974. Dopo anni di preparazione era un evento
straordinario voluto dallo stesso Arrupe per una verifica del cammino fatto e per una condivisione
che l'Ordine incontrava nei suoi rapporti con la Santa Sede, testualmente “per la necessità di creare,
di concretizzare, di precisare ancora di più il servizio che la Compagnia deve prestare alla chiesa in
un mondo che cambia così rapidamente e per rispondere alle sfide che detto mondo ci presenta”. Da
premettere che nel 1968 si era tenuta a Medellin l'assemblea del Celam, Conferenza episcopale
latino americana, che aveva guardato con fede la situazione di degrado e di oppressione in cui si
trovava tanta gente della popolazione mondiale, in particolare quella del continente latino-
americano. Si era deciso di prendere sul serio l'opzione conciliare per i poveri, di stare dalla loro
parte e rivedere i rapporti con governi chiaramente oppressivi anche se cattolici.
Quando la congregazione generale preparando il celebre decreto quarto (a voi non dice niente
mentre a noi gesuiti dice moltissimo) fa sua questa opzione di Medellin e sceglie come priorità delle
priorità apostoliche l'annunzio della fede e la promozione della giustizia, le due cose messe insieme,
il Generale avverte che questa scelta porterà una ondata di nuove incomprensioni sulla Compagnia e
creerà nuovi martiri. Oggi diremmo che fu facile profeta. Preferiamo affermare che Arrupe era un
conoscitore del suo tempo e della vita della chiesa. È impressionante: dal 1973 e il 2006 muoiono
48 gesuiti in missione per morte violenta. I più celebri: Padre Ellacuria e i compagni dell'Università
del Centroamerica in Salvador, padre Rutilio Grande, tutti collegati con l'assassinio di mons.
Romero. Un discorso a parte meriterebbe la storia dei gesuiti che nella presentazione della fede, in
ottemperanza ai decreti del Vaticano II come Gaudium et spes, Unitatis Redintegratio, Dignitatis
humanae, hanno tentato un rinnovamento della teologia, un dialogo con le altre religioni e si sono
prodigati per l'ecumenismo. Cosa sia successo a loro lo sapete tutti. Ricordiamo i casi di Jon
Sobrino, di Jacques Dupuis.

L'america latina, nostra croce e nostra delizia.
La situazione dell'America Latina è stata da sempre la croce e la delizia della Compagnia. Si può
dire che essere stati dalla parte degli indios nel secolo XVIII contribuì a provocare la sua
soppressione (1773-1814) ed essere stati dalla parte degli oppressi soprattutto nella stessa regione
provocò il suo commissariamento da parte di Giovanni Paolo II, dal 1983, anno delle dimissioni di
padre Arrupe, al 2008, anno della elezione di Adolfo Nicolas, dopo la gestione anomala di padre
Dezza e del generalato sui generis di padre Kolvenbach. Si innestano qui le vicende della teologia
della liberazione, che stando dalla parte dei poveri era insieme obiettivo strategico dei presidenti
Usa (c'è il documento di Santa Fé), che si proponevano di distruggerla, ed anche oggetto di
preoccupazione da parte del Vaticano che vedeva in essa un attentato alla stessa fede e un cedimento
al marxismo. In realtà l'America Latina con la sua situazione esplosiva di ingiustizia e di povertà
estrema costringeva la chiesa a rivedere il suo rapporto col potere, e ad essere povera e dei poveri.
Altre erano le mire di Giovanni Paolo II, che fin dai primi mesi del suo pontificato, segnato ancora
dalla sua esperienza di polacco cresciuto sotto il regime comunista, perseguiva una politica
ecclesiastica di appoggio ai governi sedicenti cristiani, ben più oppressivi e assassini, nell'illusione
che contro l'uomo potessero operare solo gli atei marxisti.
Resta basilare il patto Regan Giovanni Paolo II che implicava la lotta alle comunità di base e alla
teologia della liberazione in America Latina e aiuti a Solidarnosc in Europa per la caduta del
marxismo.

La situazione attuale
Oggi la Compagnia di Gesù è in crisi, come tanti ordini religiosi, come la vita religiosa in se stessa,
crisi numerica prima di tutto. Ma forse questa è la conseguenza di una crisi più profonda. L'Ordine
non ha saputo rifondarsi, tirando dalla sua bisaccia nova et vetera.
L'attuale riorganizzazione inraggruppamenti più larghi di province religiose e regioni non segue di pari passo un discernimento sulla missione dei gesuiti oggi in obbedienza al Vaticano II e alla situazione di globalizzazione
neoliberistica in cui versa il mondo.



Dal Corriere della Sera

Ha dovuto versar spesso lacrime padre Pedro Arrupe, il 28 "papa nero" dei Gesuiti morto 3 anni fa, testimone diretto della tragedia di Hiroshima e protagonista della storia postconciliare della Chiesa. Ma quelle forse piu' amare le ha versate a causa dei suoi contrasti con gli ultimi tre papi. Lo rivela il padre Pedro Miguel Lamet, un gesuita spagnolo che gli ha dedicato uno studio definendolo "un' esplosione nella Chiesa". E stato Paolo VI l' artefice del piu' gran turbamento del preposito generale, basco come Sant' Ignazio, che pur sapeva sorridere in ogni circostanza e che amava sfogliare "Dio e' allegro", un libro di barzellette scritto da un confratello. Era il dicembre ' 75. Papa Montini voleva mettere fine ad una tensione fra l' Ordine e le autorita' vaticane che durava da tempo. Padre Arrupe era considerato troppo "aperto", a volte "filocomunista". Aveva inviato alla Compagnia 3 "istruzioni" preparatorie della congregazione generale in contrasto con le direttive di Paolo VI che aveva messo in guardia il governo dell' Ordine ignaziano da "esperimenti e novita' ". E mentre era in corso il vertice della Compagnia, padre Arrupe viene convocato in Vaticano. "Accompagnato da uno dei suoi assistenti . rivela padre Lamet . si reca a colloquio col Papa. Ma i monsignori di anticamera lo fanno entrare da solo. Paolo VI, a quanto sembra, fu estremamente severo. Lo accompagnava il Sostituto, il cardinale Giovanni Benelli. Il Papa si limito' a dire a padre Arrupe: "Si sieda e scriva quello che monsignor Benelli le detta". Arrupe obbedi' . Evidentemente il contenuto dello scritto era tassativo. I Gesuiti dovevano obbedire e rinunciare ad affrontare il tema dei gradi (tema che avrebbe modificato sostanzialmente l' organizzazione tradizionale dell' Ordine). Quando usci' , Arrupe aveva gli occhi pieni di lacrime". Furono lacrime per un discorso postumo, invece, quelle versate a causa di Giovanni Paolo I. La biografia di padre Lamet le lascia immaginare. Si trattava di un richiamo all' ordine molto duro che invitava, tra l' altro, i Gesuiti a "non immischiarsi nella soluzione di problemi economici e laici". Per conoscerne il testo, Arrupe fu costretto ad attendere una decisione collettiva dei cardinali giunti a Roma per il conclave. A far piangere un' ultima volta padre Arrupe e' stato Giovanni Paolo II. Era il 6 ottobre del 1981. Arrupe, colpito da una trombosi due mesi prima, aveva iniziato a Borgo Santo Spirito intense sedute di fisioterapia. "Il fratello portinaio . scrive padre Lamet . riceve una chiamata telefonica della Segreteria di Stato: annunciava che il cardinale Casaroli, latore di un messaggio del Papa, si sarebbe presentato alle 12 nella stanza di padre Arrupe. Monsignor Casaroli prego' il vicario generale, padre Vincent O' Keefe, di uscire. La visita duro' pochi minuti. Senza dire una parola, il cardinale ando' via. Quando O' Keefe torno' nella stanza, vide la lettera del Papa appoggiata su un tavolino. Il generale stava piangendo". Con quella lettera Wojtyla interrompeva d' autorita' il processo costituzionale dell' Ordine e nominava l' ottantennne padre Paolo Dezza "delegato personale, con pieni poteri, per occuparsi del governo della Compagnia in mio nome e per mio incarico".



Da "30 Giorni"

Tra i grandi sommovimenti del dopoguerra vi fu anche la bufera interna della Compagnia. Correnti profonde di rinnovamento ecclesiale movimentarono la Chiesa in molte regioni del mondo. Impulsi contrapposti si incrociarono, nel tentativo di arginare sia le correnti dissacranti del comunismo internazionale, sia l’aridità spirituale di una società capitalista sempre più disumana.
Truppe scelte per le battaglie di Dio, i gesuiti risentirono più di altri della congiuntura. Si imponeva loro di adottare innovazioni effettive, ma senza compromettere le linee maestre della tradizione.
Se nell’America Latina si scatenarono entro la Chiesa i cosiddetti movimenti di liberazione, simboleggiati congiuntamente dal Vangelo e dal fucile, un po’ dovunque fermenti molto intensi scossero le situazioni mettendo in crisi specialmente i soggetti più deboli e provocando dolorose fuoriuscite.
Caratteristica della Compagnia è la fedeltà indiscussa al Papa. Forte era ancora l’eco del caso Billot, con la conclusione della rinuncia alla porpora del gesuita francese simpatizzante per l’Action Française contro l’avviso della Santa Sede. Questa volta non erano però così isolati, ma la richiesta molto diffusa, specie nei padri più giovani, di ridiscutere anche i punti fermi essenziali della preparazione e dell’apostolato nella Compagnia.L’elezione a generale del padre Arrupe dette vita ad una svolta. Formato nell’esperienza giapponese già atipica ma assolutamente unica per le vicende tragiche dell’olocausto nucleare, questo gesuita poteva pilotare la Compagnia verso un forte rinnovamento, ma nella continuità dei punti fermi voluti dal fondatore. Doveva combattere su due fronti: l’inquieta spinta dei giovani e i continui, duri richiami da parte vaticana.
Ho già accennato altrove a colloqui con il padre Arrupe nella mia abitazione, dalla quale si vede dall’altra parte del fiume la statua del Cristo sovrastante la curia generalizia. L’occasione immediata delle riservate visite erano alcuni problemi particolari della Compagnia da affrontare senza la rigidità dei rapporti formali Chiesa-Stato. Ma forse non dispiaceva al padre di potersi sfogare senza rischi di indiscrezioni e con una intuita comprensione del suo dramma.
Più tardi sempre in casa mia ebbi modo di conoscere da vicino una delle crisi personali che tanto angosciavano il padre generale. Ad un gruppo di ragazzi, amici dei miei figli, era aggregato uno meno giovane di loro, vestito sempre in jeans e maglioncino. Seppi che era un importante gesuita brasiliano ed ero incoscientemente lieto di sapere che vi fosse un assistente ecclesiastico nella comitiva. Un giorno i miei figli mi dissero che il “padre” aveva detto loro che la Chiesa non era più quella affascinante di un tempo; e lui per così dire abbandonava la veste, perché non gliela avevo mai vista indossare. Forse feci male, ma commentai rievocando quel che diceva Pio XI dinanzi alle crisi dei sacerdoti: «Come si chiama la signora?». I ragazzi si scandalizzarono, ma, mogi mogi, pochi mesi dopo mi dissero che il padre si sposava.
Sarebbe stolto attribuire la grande crisi che fronteggiò padre Arrupe con un problema di ragazze. Vi era un turbamento diffuso, culturale e sociale, verso il quale occorreva comprensione e rispetto. Non era possibile fustigare uomini che con fedeltà e sacrificio si erano formati e avevano lavorato per molti anni al servizio di Dio. Occorreva prudenza, moderazione, fiducia Questa, dal mio piccolo angolo personale, l’esperienza vissuta dal padre Arrupe, dinanzi alla tomba del quale, nella chiesa del Gesù, mi fermo qualche volta a riflettere e a pregare.
Tra le giornate più sofferte della sua vita vi fu quella nella quale dovette dar lettura del severo richiamo che, pur nel suo brevissimo pontificato, Giovanni Paolo I aveva indirizzato all’Ordine perché i padri «non si sostituissero ai laici trascurando il proprio dovere specifico dell’evangelizzazione».
Il 7 agosto 1981, al rientro da un viaggio in Estremo Oriente, padre Arrupe, colpito da un ictus cerebrale, designava vicario generale l’americano padre O’Keefe, un libero pensatore del momento (pessima una sua intervista ad un giornale olandese). Ma intervenne il Papa con la nomina del padre Dezza (più tardi cardinale) a delegato speciale, incaricato di predisporre la congregazione generale, convocata per il 2 settembre 1981. Il giorno successivo venivano accettate le dimissioni del padre Arrupe ed eletto al suo posto il padre Peter-Hans Kolvenbach, tuttora alla testa della Compagnia.
Certamente sono stati anni di grande bufera quelli sofferti in diciotto anni a borgo Santo Spirito dal padre Arrupe che morì nel 1991. Ma anche il suo successore non ha avuto vita sempre facile con il Vaticano.