....Nel Cristo Dio fatto uomo , troviamo il sostegno per la nostra debolezza e le risorse per raggiungere la perfezione. L'umanità di Cristo ci rimette in piedi , la sua condiscendenza ci prende per mano , la sua divinità ci fa giungere alla méta....


S.Agostino

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mercoledì 19 settembre 2012

Per Don Palombella , Perosi Mozart o Palestrina non hanno "pertinenza rituale" con il rito romano



In una città italiana qualche tempo fa un giovane andò dal suo parroco chiedendo, a seguito del motu proprio “Summorum Pontificum” di papa Benedetto XVI (7 luglio 2007), la possibilità di poter partecipare alla celebrazione eucaristica secondo il rito tridentino. Il parroco, con fare irritato rispose: “Ecco un altro pazzo che vuole la messa tridentina”. Al di là della risposta poco felice del parroco ed anche delle rispettabili motivazioni che possono spingere alla richiesta di una certa tipologia di celebrazione, davanti a diversificate richieste e sensibilità, mi sembra quanto mai attuale il riflettere seriamente circa il rapporto musica-liturgia nel confronto tra il rito tridentino e la riforma liturgica del Concilio Vaticano II.
In sostanza la domanda nevralgica potrebbe essere: “Cosa è davvero cambiato nella comprensione del segno musica nella liturgia dopo la riforma liturgica del Concilio Vaticano II?”.
Superficialmente potremmo rispondere che non è cambiato nulla, o che è cambiato radicalmente tutto al punto da dover dimenticare per sempre il passato. E nelle diverse sensibilità possiamo trovare in fondo anche convincenti motivazioni che avallano le opposte posizioni.
A me sembra che un cambio ci sia stato. Con la riforma liturgica del Concilio Vaticano II la musica non si pone più come un elemento “ornamentale” del rito ma è costitutiva della stessa azione liturgica. Infatti i testi che noi cantiamo sono parte stessa del celebrare e non vanno “recitati” mentre il coro canta (cosi come avveniva nella precedente modalità celebrativa). In sostanza ciò che canto è la celebrazione stessa, attraverso il canto “celebro”.
Questo semplice dato liturgico che ci consegna il Concilio Vaticano II è di estrema importanza in quanto recupera una comprensione unitaria della realtà. Nell’intento del “pristina norma patrum” che ha mosso il Concilio Vaticano II nel suo cammino, si è riusciti ad approdare e recuperare quelle fonti della liturgia esenti da tutte le diatribe – tipicamente occidentali – che caratterizzarono la vicenda luterana e più profondamente il rapporto tra aristotelismo, platonismo e nominalismo.
Da queste vicende la cultura occidentale ne uscì di fatto con l’implicita perdita della comprensione unitaria della realtà e cioè con lo smarrimento della considerazione integrale delle proprietà trascendentali dell’essere (unum, verum, bonum, res, aliquid), proprietà che furono la grande conquista della scolastica medioevale. La comprensione della liturgia che si ebbe dalla riforma liturgica tridentina risentì in qualche modo di questa perdita, non tanto nella dignità e splendore della liturgia stessa, quanto nell’intrinseca unitarietà dei segni che la costituiscono. In sostanza, l’idea di fondo è che la realtà può esistere senza sue intrinseche particolarità e successivamente può essere “ornata” e cioè resa bella, armonica, unitaria, solenne…
Ecco perché la liturgia tridentina può esistere anche senza musica (la famosa “messa bassa”) e se la musica c’è, questa semplicemente “orna”, aggiunge solennità. Ma è un qualcosa in più che potrebbe anche non esserci, infatti ciò che era “valido”, per il diritto liturgico del tempo, non era ciò che si cantava ma solo ciò che si “recitava”.
Il Concilio Vaticano II, nel recupero delle sorgenti della liturgia, riposiziona il segno musica come parte stessa del celebrare, superando in fondo la comprensione di funzione “ancillare” della musica rispetto alla liturgia. La musica è la stessa liturgia nel senso che il mistero rivelato non si può esaurire con il solo parlare.
Sulla base di tutto questo credo allora corretto domandarsi in che senso e come ogni riforma liturgica è inclusiva delle precedenti, e più profondamente: “Come si colloca un repertorio musicale pensato per la liturgia precedente al Concilio Vaticano II nell’attuale liturgia, e come deve essere il gesto compositivo per la liturgia oggi?”.
La centralità dell’azione liturgica posta dal Concilio Vaticano II (con la conseguente istanza partecipativa, non riducibile però – come spesso accade – alla sola partecipazione esterna) credo ci debba interpellare in un serio discernimento circa la “pertinenza rituale” di un repertorio, ed insieme orientare decisamente verso modalità compositive adeguate ed intrinseche al rito e non più ad esso estrinseche od “ornamentali”.
In sostanza il discernimento circa la presenza di un repertorio musicale del passato nell’attuale liturgia – repertorio che ha tutto il diritto di cittadinanza – non dovrebbe essere in relazione solo a criteri “estetici” ma soprattutto in forza di una sua “pertinenza rituale”. Ciò non esclude che talvolta in occasioni speciali e in determinate situazioni storico-culturali, una messa di Palestrina o di Mozart o di Perosi possa trovare spazio nell’attuale liturgia nel segno di una feconda e doverosa continuità, ma questo gesto compositivo oggi non ha più “pertinenza rituale” e rischia di porsi nell’attuale liturgia come una giustapposizione non armonica.
Affermare ciò non significa dire che il repertorio musicale del passato deve essere confinato esclusivamente nell’attività concertistica e che assolutamente non trova più posto nell’attuale liturgia. Le affermazioni fatte sono il tentativo di una riflessione critica circa l’attuazione concreta della riforma liturgica del Concilio Vaticano II in relazione al segno musica – e quindi al gesto compositivo – e alla sua “pertinenza rituale”, esattamente come la riforma liturgica tridentina chiese alla musica – e dunque ad ogni compositore del tempo – l’intelligibilità, la comprensione del testo liturgico.
Non è facile la riflessione libera su queste tematiche perché con facilità si è immediatamente classificati come coloro che sono a favore o contro il gregoriano, Palestrina, la messa tridentina, il Concilio Vaticano II… Credo però che sia doveroso uscire da “stagni” che, per quanto belli, ordinati, puliti, non ci conducono da nessuna parte e soprattutto ci bloccano in una situazione che in fondo è solo autoreferenziale, dove i nostri limiti e le nostre piccole comprensioni rischiano di diventare l’unico orizzonte della vita.
(Editoriale di “Armonia di voci”, n. 4, ottobre-novembre-dicembre 2010).



Che dire.....che Palestrina non sia di gradimento a Don Palombella è ovvio! Per rendersene conto è sufficiente ascoltare l'esecuzione del Credo della Missa Papae Marcelli