....Nel Cristo Dio fatto uomo , troviamo il sostegno per la nostra debolezza e le risorse per raggiungere la perfezione. L'umanità di Cristo ci rimette in piedi , la sua condiscendenza ci prende per mano , la sua divinità ci fa giungere alla méta....


S.Agostino

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mercoledì 7 novembre 2012

Erronee e false citazioni di s.Agostino



Uno dei più noti cavalli di battaglia del movimento anticristiano/anticlericale è senza dubbio l’esposizione di un florilegio di citazioni attribuite ai Padri e Dottori della Chiesa, che per l’assurdità e la ripulsa suscitata dai loro contenuti, dovrebbero immediatamente render manifesta la vacuità e l’inciviltà della religione cristiana, con tutti i suoi duemila anni di storia. Chiunque legga queste frasi dovrebbe porsi la domanda: se la religione cristiana non è allora altro che una tale accozzaglia di sciocchezze, come ha fatto a resistere e diffondersi per oltre duemila anni, ed essere ancora oggi accettata da tanta gente? Purtroppo nella maggior parte dei casi, questo interrogativo non emerge, accontentandosi di credere che la religione sia una cosa da ignoranti e incivili.
Chi invece decide di andare a verificare sui testi dei rispettivi autori, scopre che queste attribuzioni sono falsificazioni, in pochi casi inventate di sana pianta e molto spesso frasi estrapolate da veri testi ed opportunamente alterate, così da poter mettere in bocca ai vari autori ciò che si vuole loro far dire. Un accanimento particolare è rivolto verso Sant’Agostino, proprio per la sua importanza nella Chiesa. Di seguito mostriamo, testi alla mano, cosa veramente abbia scritto il Dottore della Chiesa limitandoci ad una raccolta di testi che possa fungere da utile fonte primaria (al lettore interessato spetta l’eventuale approfondimento). Ne approfitteremo anche per mostrare come si falsa l’immagine di Sant’Agostino nemico della donna e della sessualità.





 

 
1) «Se si dimostrasse che la Terra è rotonda, tutto il cattolicesimo cadrebbe in errore»
Citazione completamente inventata, non si trova in nessuna delle opere di Agostino. Chiunque può verificarlo, esiste infatti il sito
www.augustinus.it che riporta la sua Opera Omnia, sia nell’originale latino che nella traduzione italiana. Nel sito è presente un motore di ricerca che permette di cercare dei termini all’interno di tutti i testi, e chiunque può verificare che quelle frasi (anche cercando delle varianti, per esempio solo “terra tonda”, “terra sferica” ecc.) non sono presenti in nessuna opera.
Inutile ricordare che Agostino, nel suo “Genesi ad litteram”, mostrava di considerare chiaramente la Terra come pianeta sferico, come chiunque nel Medioevo:
«Dato infatti che l’acqua ricopriva ancora tutta la terra, nulla impediva che su una faccia di questa massa sferica d’acqua producesse il giorno la presenza della luce e che nell’altra faccia l’assenza della luce producesse la notte che, a cominciar dalla sera, succedesse sulla faccia dalla quale la luce s’allontanava verso l’altra faccia» (Libro I, 12.25)

 
2) «Le donne dovrebbero essere segregate, perché sono la causa delle involontarie erezioni degli uomini santi»
Citazione completamente inventata, vale lo stesso discorso fatto per la precedente. Verificare l’inesistenza di questa frase sul motore di ricerca dell‘Opera Omnia
www.augustinus.it

 
3) «La donna è un essere inferiore, che non fu creato da Dio a Sua immagine. Secondo l’ordine naturale, le donne devono servire gli uomini»
Si tratta di una citazione estrapolata dal contesto e modificata a dovere, così da poter attribuire a Sant’Agostino una concezione della donna inaccettabile per chiunque. In realtà, andando a leggere il testo originale, si scopre subito come l’autore avesse tutt’altre idee, e tranquillamente dicesse che la donna, in quanto essere umano, è immagine di Dio esattamente come il maschio. Il testo originale, che riportiamo qui sotto, è tratto da De Trinitate XII 7, nel quale sono omesse, per non confondere le idee, le parti in cui si parla specificamente della Trinità (il testo completo è comunque
scaricabile qui). Agostino scrive:
«Dunque non dobbiamo intendere che l’uomo è stato creato ad immagine della Trinità suprema, cioè ad immagine di Dio, nel senso che questa immagine si riscontri in una trinità di persone umane: tanto più che l’Apostolo dice che l’uomo (vir, maschio) è immagine di Dio e per questo gli proibisce di velarsi il capo, mentre ordina alla donna di farlo. Dice infatti: “L’uomo non deve velarsi il capo, perché è l’immagine e la gloria di Dio. La donna invece è la gloria dell’uomo”. Che dire di questo? [...]. Ma vediamo bene come l’affermazione dell’Apostolo secondo cui non la donna, ma l’uomo è immagine di Dio, non sia contraria a ciò che è detto nel Genesi: “Dio fece l’uomo, lo ha fatto ad immagine di Dio; lo ha fatto maschio e femmina e li ha benedetti”. Secondo il Genesi è la natura umana in quanto tale che è stata fatta ad immagine di Dio, natura che si compone dei due sessi e quindi non esclude la donna, quando si tratta di intendere l’immagine di Dio. Infatti, dopo aver detto che Dio ha fatto l’uomo ad immagine di Dio, aggiunge: “Lo fece maschio e femmina”, o distinguendo diversamente: “li fece maschio e femmina”. Come può dunque l’Apostolo dire che l’uomo (vir) è immagine di Dio e per questo non deve velarsi il capo, ma che la donna non lo è per cui deve velarsi il capo? Il motivo è, ritengo, quello che ho già indicato, quando ho trattato della natura dello spirito umano: la donna è con suo marito immagine di Dio, cosicché l’unità di quella sostanza umana forma una sola immagine; ma quando è considerata come aiuto, proprietà che è esclusivamente sua, non è immagine di Dio; al contrario l’uomo, in ciò che non appartiene che a lui, è immagine di Dio, immagine così piena ed intera, come quando la donna gli è congiunta a formare una sola cosa con lui [...]. Chi dunque potrebbe pretendere di escludere le donne da questa partecipazione, dato che esse sono nostre coeredi della grazia e visto che l’Apostolo dice in un altro passo: “Voi siete infatti tutti figli di Dio per mezzo della fede in Cristo Gesù, perché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più né Giudeo, né Greco, né schiavo né libero, né maschio né femmina, perché siete tutti uno solo in Gesù Cristo?”. Si dovrà dunque pensare che le donne che credono hanno perduto il loro sesso? No, ma poiché si rinnovano ad immagine di Dio, là dove non entra il sesso, perciò, ivi stesso ove il sesso non entra, l’uomo è stato fatto ad immagine di Dio, cioè nella sua anima spirituale. Perché allora l’uomo non deve velare il suo capo perché è immagine e gloria di Dio, mentre la donna deve velarlo, perché è gloria dell’uomo, come se la donna non si rinnovasse nella sua anima spirituale, che si rinnova nella conoscenza di Dio secondo l’immagine di Colui che l’ha creata? Perché, essendo la donna differente dall’uomo per il suo sesso, poté giustamente raffigurarsi nel velo del suo capo quella parte della ragione che si abbassa a dirigere le attività temporali. L’immagine di Dio non risiede se non nella parte dello spirito dell’uomo che si unisce alle ragioni eterne, per contemplarle ed ispirarsene, parte che, come è manifesto, possiedono non solo gli uomini, ma anche le donne(De Trinitate XII 7)
Abbiamo qui sopra sottolineato un passo che mette bene in evidenza la pari dignità di uomo e donna, smentendo così ancora una volta quanti ignorantemente sostengono che la dottrina cristiana sarebbe misogina. Nel seguente passo si ricorda l’importanza della fedeltà, cui sia l’uomo che la donna sono chiamati allo stesso modo:
«Ci si domanda anche per solito se si deve parlare di matrimonio, quando un uomo e una donna, entrambi liberi da altri legami coniugali, si uniscono non per procreare figlioli, ma solo per soddisfare la reciproca intemperanza, ponendo però tra di loro la condizione che nessuno dei due abbia rapporti con altra persona. In un caso del genere forse parlare di matrimonio non sarebbe fuor di proposito, purché essi osservino vicendevolmente questa condizione fino alla morte di uno dei due e purché, anche non essendosi uniti a questo scopo, tuttavia non abbiano escluso la prole, come avviene invece quando la nascita di figli non è desiderata o addirittura è evitata con qualche pratica riprovevole. Ma se mancano i due elementi della fedeltà e della prole, o anche uno solo di essi, non vedo in qual maniera potremo chiamare matrimonio simili unioni. In effetti, se un uomo si unisce temporaneamente con una compagna, finché non ne trovi da sposare un’altra all’altezza della sua condizione sociale ed economica, nell’intenzione è un adultero, e non con quella che intende trovare, ma con questa con la quale vive maritalmente, pur non essendo unito a lei da matrimonio. Perciò anche la donna che conosce ed accetta questa situazione mantiene un rapporto senz’altro impudico con colui al quale non è congiunta dal patto coniugale» (“Sulla dignità del matrimonio”, 5.5)
In un altro passaggio Agostino ribadisce chiaramente la pari dignità dei coniugi nel matrimonio:
«A ciò si aggiunge che mentre essi si rendono a vicenda il debito coniugale, anche quando esigono questo dovere in maniera piuttosto eccessiva e sregolata, sono tenuti comunque alla reciproca fedeltà. E a questa fedeltà l’Apostolo attribuisce un diritto tanto grande da chiamarla potestà, quando dice: “Non è la moglie che ha potestà sul proprio corpo, ma il marito; allo stesso modo non è il marito che ha potestà sul proprio corpo, ma la moglie”. La violazione di questa fedeltà si dice adulterio, quando, o per impulso della propria libidine, o per accondiscendenza a quella altrui, si hanno rapporti con un’altra persona contrariamente al patto coniugale. Così si infrange la fedeltà, che anche nelle cose più basse e materiali è un grande bene dello spirito, e perciò è certo che essa dev’essere anteposta perfino alla conservazione fisica, sulla quale si fonda la nostra vita temporale» (“Sulla dignità del matrimonio”, 4.4)

 
4) «Non c’è nulla che io debba fuggire più del talamo coniugale, niente getta più scompiglio nella mente dell’uomo delle lusinghe della donna, e di quel contatto dei corpi senza il quale la sposa non si lascia possedere».
Questo genere di citazioni viene utilizzato anche da persone indicate come autorità intellettuali, come nel caso di Eva Cantarella, giurista e docente di diritto romano e greco, la quale scrive questa citazione in un suo articolo
per il “Corriere della Sera”, aggiungendo che «è con Agostino, forse, che il cristianesimo raggiunge l’apice della misoginia. La conversione è vista da Agostino come liberazione dal desiderio, dalle tentazioni della carne, e lo stato di grazia può essere raggiunto solo esorcizzando la donna». La citazione è vera, ma del tutto decontestualizzata, è tratta dai “Soliloquia”, opera giovanile di un Agostino da poco convertito. Occorre ricordare che Agostino aveva condotto da giovane una vita dissoluta, e che il suo percorso di conversione si articolò in cinque tappe: la lettura dell’“Hortensius” di Cicerone; l’adesione al Manicheismo; la fase scettica; lo studio della filosofia neoplatonica; infine l’incontro con Sant’Ambrogio a Milano. L’“Hortensius” è un’opera di Cicerone ormai andata perduta, e la maggior parte dei frammenti di essa conosciuti sono proprio nelle opere di Agostino. In quel testo Cicerone spiegava la virtù della moderazione, ovvero del desiderio razionalmente ordinato, come condizione necessaria per raggiungere la vita beata. Il saggio, che dedica la sua vita alla ricerca della sapienza, deve evitare i vizi ed assecondare i suoi desideri solo secondo ragione.
Nel “De Trinitate”, XIV 9. 12, Agostino riporta un passo dell’“Hortensius” e dal suo commento (punto 9) emerge chiaramente che emerge chiaramente l’ideale della saggezza e della virtù che Agostino perseguì per tutta la vita, e che già era delineato nei giovanili Soliloquia. Se andiamo infatti a leggere il contesto da cui è tratta la citazione 4) scopriamo proprio che in esso viene esposta la virtù della moderazione che il saggio deve acquisire; ideale della moderazione che del resto sappiamo essere tipico di tutta la tradizione filosofica greca.
Riportiamo allora, nel dialogo tra la Ragione e Agostino, la parte riguardante il rapporto con la donna (l’intero testo,  Soliloquia I 9.16 – 10.17, lo si può leggere qui) dal quale si vede chiaramente come sia insostenibile una lettura femminista che pretenderebbe mostrarci un Agostino misogino:
«-Ragione: “Non desideri le ricchezze?”.
-Agostino: “No e da tempo. Difatti ora io ho trentatré anni e sono decorsi già quattordici anni dacché ho cessato di desiderarle. E da esse non ho richiesto altro, se eventualmente furono disponibili, che il vitto necessario e l’onesta utilità. Bastò un solo libro di Cicerone a persuadermi che le ricchezze non si devono in alcuna maniera desiderare, ma se si hanno devono essere amministrate con molta saggezza e cautela”.
-Ragione: “E gli onori?”.
-Agostino: “Confesso che ho cessato di desiderarli ora e proprio in questi ultimi giorni”.
-Ragione:E prender moglie? Non ti avvince talvolta il pensiero di una donna bella, pudica, di buoni costumi, istruita o che possa per lo meno essere da te facilmente istruita? Porterebbe inoltre, giacché disprezzi le ricchezze, quel tanto di dote che non la renda in alcun modo di peso alle tue occupazioni liberali, specialmente se speri o sei certo che da lei non avrai alcuna molestia?”.
-Agostino: “Per quanto tu la voglia far apparire con bei colori e ornarla di tutte le doti, ho stabilito che niente più debba fuggire che l’uso della donna. Sento che nulla priva maggiormente della propria sicurezza un’anima virile che le carezze della donna e quel contatto dei corpi senza di cui non si può dire di aver moglie. Pertanto se spetta ai doveri del saggio, motivo che ancora non ho appurato, aver figli ed educarli, chiunque usa il matrimonio soltanto a questo scopo, mi pare che sia da ammirare ma in nessuna maniera da proporsi come esempio. Mi pare che fare una simile esperienza comporta più rischio che possibilità d’esito felice. Pertanto ritengo che per la serenità della mia anima giustamente e vantaggiosamente mi sono imposto di non desiderare, non cercare e non prender moglie“.
-Ragione: “Io adesso non ti sto chiedendo che cosa ti sei imposto, ma se sei ancora combattuto ovvero se hai superato perfino il desiderio. Si tratta infine della guarigione dei tuoi occhi”.
-Agostino:Non cerco affatto certe soddisfazioni e non le desidero, che anzi le ricordo con orrore e con disprezzo. Che vuoi di più? E questo è un bene che cresce per me di giorno in giorno; infatti quanto più aumenta la speranza di vedere la Bellezza di cui sono fortemente acceso, tanto più verso di lei si volgono l’amore e il desiderio”. 
-Ragione: “E quale preoccupazione hai per la bontà del cibo?”. 
-Agostino: “Non mi attirano le vivande che ho stabilito di non gustare, ma confesso che durante il pasto prendo diletto da quelle che non ho escluso. Esse tuttavia, viste o assaggiate, possono essere sottratte senza turbamento dello spirito. E quando mancano del tutto, il desiderio non è poi tanto forte da introdursi come ostacolo ai miei pensieri. Ma smettila di rivolgermi domande sul cibo e le bevande, ovvero sui bagni e sugli altri diletti del corpo. Da essi chiedo soltanto quanto può esser di vantaggio alla conservazione della salute».  (Soliloquia I 9.16 – 10.17)
Si vede quindi come Agostino non insista in alcun modo sulla donna o sulla sessualità, ma ci esponga in generale l’ideale della moderazione cui deve tendere l’uomo saggio.

 
5) «Poiché non avete altro modo di avere dei figli acconsentite all’opera della carne solo con dolore, poiché è una punizione di quell’Adamo da cui discendiamo».
Tutto quanto detto fino ad ora è valido pure per la citazione 5), anch’essa strumentalmente decontestualizzata dalla Cantarella a sostegno delle sue tesi. La citazione 5) è tratta dal Discorso 51 e nel contesto Agostino parla sia del desiderio di cibo che della sessualità, dimostrando così di non avere alcuna particolare ossessione per le donne, contrariamente a quanto vorrebbe far credere la studiosa. Nel nutrirsi e nell’attività sessuale non c’è niente di sbagliato, perché esse sono attività naturali e necessarie all’uomo. Il male nasce piuttosto dalla concupiscenza associata ad esse e che è conseguenza del peccato originale. Ecco il testo:
«Due sono le azioni fisiche in virtù delle quali sussiste il genere umano; azioni alle quali le persone sagge e sante si abbassano spinte dal dovere, mentre gli stolti vi si gettano spinti dalla concupiscenza. Una cosa è infatti abbassarsi a un’azione per dovere, un’altra cosa è cadervi per passione. Quali sono queste due azioni, grazie alle quali sussiste il genere umano? Riguardo a noi stessi la prima azione è quella relativa al prendere il cibo (che non può prendersi senza un certo piacere carnale), cioè il mangiare e il bere; se quest’azione non la si facesse si morirebbe. Con questo solo sostegno del mangiare e del bere si conserva il genere umano secondo le leggi della propria natura; ma con esso gli uomini si sostentano solo per quanto riguarda la loro persona; alla loro discendenza invece non provvedono col mangiare e col bere, ma col prendere moglie. Perché infatti sussista il genere umano è necessario anzitutto che gli uomini vivano, ma poiché non possono certamente vivere sempre nonostante tutte le cure che si vogliano avere per il corpo, è logico avere la precauzione che, a coloro che muoiono, succedano altri che nascono. Di fatto, al dire della Scrittura, il genere umano è simile alle foglie che rivestono un albero, ma un albero sempreverde come l’ulivo o l’alloro o un altro di tal genere; siffatti alberi non sono mai privi della loro chioma, eppure non hanno sempre le medesime foglie. In effetti, come dice ancora la Scrittura, il sempreverde ne fa spuntare alcune ma ne fa cadere altre, poiché quelle che nascono man mano succedono a quelle che cadono; l’albero infatti fa sempre cadere le foglie, ma ne rimane tuttavia sempre rivestito. Allo stesso modo anche il genere umano ogni giorno, per il sopraggiungere di coloro che nascono, non avverte la diminuzione derivante da coloro che muoiono e in tal modo, nella misura che gli è consentita, il genere umano sussiste in tutte le sue specie; e come sugli alberi si vedono sempre le foglie, così la terra si vede sempre piena d’uomini. Se invece gli uomini morissero soltanto, e non ne succedessero altri, come alcuni alberi perdono tutte le loro foglie, così la terra rimarrebbe spopolata del tutto. [...]
[...]Poiché dunque questi due sostegni, di cui abbiamo parlato a sufficienza, son necessari alla conservazione del genere umano, l’uomo sapiente, prudente e fedele si abbassa ad entrambi spinto dal dovere, non vi cade spinto dalla sensualità. Quanti si precipitano con voracità a mangiare e a bere, riponendo in ciò tutta la loro vita, come fosse la ragione stessa per cui si vive! Essi infatti, pur mangiando per vivere, credono di vivere per mangiare. Costoro sono biasimati da ogni persona sapiente e soprattutto dalla divina Scrittura come mangioni, ubriaconi, ghiottoni, poiché il loro Dio è il ventre. Ciò che li spinge a mettersi a tavola è solo l’appetito carnale e non il bisogno di rifocillarsi. Costoro perciò si precipitano sui cibi e sulle bevande. Coloro invece che vi si abbassano solo per il dovere di vivere, non vivono per mangiare ma mangiano per vivere. Se pertanto a tali persone prudenti e temperanti fosse data la possibilità di vivere senza mangiare e bere, con quanta gioia accoglierebbero questo beneficio, per non essere costretti neppure ad abbassarsi a cose a cui non hanno mai avuto l’abitudine di precipitarsi! In tal modo sarebbero sempre elevati verso il Signore e le loro elevazioni non sarebbero abbassate dalla necessità di ristorare il deperimento del corpo. In qual modo pensate che il santo Elia ricevesse un piccolo orcio d’acqua e una focaccia di pane, che doveva bastargli come alimento per quaranta giorni? Lo prese certo con gran gioia, perché mangiava e beveva solo per il dovere di conservarsi in vita e non perché schiavo dell’ingordigia. Prova, se ti è possibile, a offrire un tal beneficio a un individuo che, simile ad un animale nella stalla, pone tutta la sua delizia e la sua felicità nella buona tavola! Egli avrà in orrore il tuo beneficio, lo respingerà lontano da sé, lo reputerà un castigo. Così pure avverrà per quanto riguarda l’amplesso coniugale; i sensuali cercano le proprie mogli solo per questo e perciò a mala pena si accontentano delle proprie. Volesse poi il cielo che, se non son capaci o non vogliono sopprimere la sensualità, non la lasciassero progredire oltre i limiti prescritti dal debito coniugale e oltre i limiti concessi alla debolezza umana! Se a un tale individuo tu chiedessi davvero: “Perché prendi moglie?”, forse, spinto dalla vergogna, ti risponderebbe: “Per aver figli”. Se però uno, al quale egli fosse disposto a prestar fede senza alcuna esitazione, gli dicesse: “Dio è in grado di darti dei figli e te li darà anche se non ti unirai nella carne a tua moglie”, allora verrebbe messo per davvero alle strette e ammetterebbe che non è per aver figli che cerca la moglie. Confessi dunque la propria debolezza; prenda pure ciò che, come pretesto, diceva di prendere per dovere.
Così i santi Patriarchi, uomini di Dio, cercavano d’aver figli e desideravano di ottenerli. A quest’unico scopo si univano in matrimonio con le donne e si accoppiavano con esse, per l’unico fine di procreare figli. Fu questo il motivo per cui fu permesso loro d’aver più mogli. Se a Dio piacesse una libidine senza freni, a quel tempo avrebbe anche permesso che una sola donna avesse più mariti, come a un sol uomo era permesso d’aver più mogli. Perché dunque tutte le donne caste non avevano più di un marito, mentre un sol uomo poteva avere più mogli? Solo perché un solo uomo abbia più mogli per avere un gran numero di figli, mentre una sola donna non potrà dare alla luce un numero tanto maggiore di figli quanto maggiore sarà il numero dei suoi mariti. Ecco perché, fratelli, se i nostri Patriarchi si univano in matrimonio e si accoppiavano con le donne al solo scopo di procreare dei figli, avrebbero provato una gran gioia se avessero potuto averli senza l’atto carnale poiché per averli non vi si gettavano spinti dalla sensualità, ma vi si abbassavano spinti dal dovere. Giuseppe dunque non era forse padre perché aveva avuto il figlio senza la concupiscenza carnale? Tutt’altro! La castità cristiana non pensi affatto ciò che non pensava neppure quella giudaica! Amate le vostre mogli, ma amatele castamente. Desiderate l’atto carnale solo nei limiti necessari per procreare figli. E poiché non potete averne in altra maniera, abbassatevi a quell’atto con dolore. Si tratta di un castigo meritato da Adamo, dal quale noi abbiamo origine. Non dobbiamo vantarci d’un nostro castigo. È un castigo inflitto a colui che meritò di generare per la morte, poiché a causa del peccato divenne mortale. Dio non eliminò tale castigo perché l’uomo si ricordasse da dove è richiamato e dove è chiamato e cercasse l’amplesso ove non è alcuna corruzione. (Discorso 51)
Inoltre nello stesso discorso, Agostino si dimostra consapevole (e ciò non sorprende se si tiene conto della vita dissoluta che egli condusse da giovane) di come sia difficile vivere nella continenza, e di come tutto quanto detto sia un’ideale cui tendere; ideale cui tutti sono certamente chiamati, ma con indulgenza verso la debolezza dell’uomo.
«Dovete dunque, fratelli miei, comprendere da quanto detto quale giudizio la Scrittura formuli di quei nostri padri, i quali erano uniti in matrimonio solo allo scopo d’aver prole dalle loro mogli. Difatti essi che, in ragione dei tempi e dell’usanza del loro popolo, avevano anche più mogli, le tenevano in modo talmente casto, che non consentivano alla concupiscenza carnale se non per procreare, tenendole davvero in onore. Chi d’altronde brama la carne della propria moglie più di quanto prescriva il limite (ossia il fine di mettere al mondo dei figli), agisce in contrasto con le tavole in base alle quali ha preso in moglie la donna. Le tavole vengono lette, e lette al cospetto di tutti quelli presenti al rito; iniziano: “Allo scopo di procreare figli” e si chiamano “Tavole matrimoniali”. Supponiamo che le donne fossero date e ricevute in mogli per uno scopo diverso; chi darebbe, senza vergogna, la propria figlia in preda alla sensualità d’un individuo? Vengono dunque lette le tavole matrimoniali perché i genitori non debbano arrossire quando danno una figlia in matrimonio, perché siano suoceri e non mezzani. Che si legge dunque nelle tavole? “Allo scopo di procreare figli”. A sentire le parole delle tavole la faccia del padre si rischiara e si rasserena. Osserviamo la faccia del marito che prende la donna in moglie. Anche il marito dovrebbe arrossire di prenderla con altro scopo, se arrossisce il padre di darla per uno scopo diverso. Se però non riescono a contenersi, esigano il debito (l’abbiamo già detto una volta); ma non si spingano più in là del proprio debitore. Sia la moglie che il marito aiutino a vicenda la propria debolezza. Egli non vada con un’altra né lei con un altro (cosa questa da cui deriva il termine “adulterio”, come per dire: “con un altro”). Anche se si oltrepassano i limiti del contratto matrimoniale, non si oltrepassino i limiti del letto coniugale. Non è forse peccato esigere dal coniuge il debito in misura superiore all’esigenza di procreare figli? È certo un peccato, ma un peccato veniale. L’Apostolo afferma: “Questo però ve lo dico per condiscendenza. Parlando poi di questo problema, dice: Non rifiutatevi l’un l’altro se non di mutuo accordo e per un certo tempo al fine di dedicarvi alla preghiera, e poi tornate a stare insieme, affinché Satana non vi tenti a causa della vostra incontinenza”. Paolo inoltre, perché non avesse l’aria di comandare ciò che diceva solo per condiscendenza (una cosa è infatti comandare alla virtù e un’altra condiscendere alla debolezza), soggiunge subito: “Questo però lo dico per condiscendenza, non per comando”. Poiché vorrei che tutti fossero come sono io. Come se dicesse: “Non vi comando di farlo, ma sarò indulgente verso di voi se lo farete” (Discorso 51).
Di solito si accusa Agostino di guardare solo alla dimensione procreativa del matrimonio. Riportiamo dunque una serie di testi relativi alla sessualità nel matrimonio, dai quali emerge un’immagine di Agostino del tutto diversa da quella che Eva Cantarella e altri cercano di divulgare. Il testo seguente è tratto da “I costumi dei Manichei”, 18-65 e l’insistenza sulla sessualità da parte di Agostine nasce dalla necessità di rispondere agli errori dei Manichei, che considerando il corpo un prodotto del demonio, ritenevano malvagia la procreazione, ovvero la produzione di ulteriori corpi. Il matrimonio era quindi giustificabile, secondo i Manichei, al solo fine dell’attività sessuale senza scopi procreativi. Sant’Agostino risponde invece che la bontà del matrimonio sta proprio nel fine di generare figli:
«Resta il sigillo del seno, a proposito del quale la vostra castità è molto dubbia. Infatti proibite non l’accoppiamento, ma, come molto tempo fa ha detto l’Apostolo, proprio il matrimonio, che è la sola onesta giustificazione dell’accoppiamento. Al riguardo non dubito che voi griderete e mi renderete odioso col dire che raccomandate e lodate in modo particolare la castità perfetta, ma che non per questo proibite il matrimonio. Ai vostri uditori, che occupano tra voi il secondo grado, infatti è consentito di prendere moglie e di tenerla con sé. Ma dopo che avrete dette queste cose a gran voce e con grande sdegno, vi rivolgerò più benevolmente questa domanda: non siete voi a ritenere che generare i figli, per cui le anime si legano alla carne, è un peccato più grave dello stesso accoppiamento? Non siete voi che solevate raccomandarci di fare attenzione, per quanto è possibile, al tempo nel quale la donna, dopo le mestruazioni, fosse atta a concepire e durante questo tempo di astenerci dall’accoppiamento perché l’anima non si mescolasse con la carne? Da ciò segue che, secondo il vostro pensiero, la moglie va presa non per la procreazione dei figli, ma per saziare la libidine. Ma le nozze, come proclamano le stesse tavole nuziali, uniscono l’uomo e la donna per la procreazione dei figli. Chi pertanto dice che è peccato più grave procreare i figli che accoppiarsi, proibisce senz’altro le nozze e fa della donna non la moglie, ma la meretrice, che, per certe compensazioni che ne riceve, si congiunge all’uomo per soddisfare la sua libidine. Dove c’è una moglie, infatti c’è matrimonio; invece non c’è matrimonio dove si cerca di impedire che ci sia la madre e dunque la moglie. Perciò voi vietate le nozze, e di questa colpa, che un giorno lo Spirito Santo predisse di voi, non vi difendete con nessun argomento. (“I costumi dei Manichei”, 18-65)
Ma soprattutto è nello scritto “Sulla dignità del matrimonio” che Sant’Agostino espone delle idee diametralmente opposte a quelle che la Cantarella cerca di attribuirgli. Il testo meriterebbe di essere letto per intero (lo si può scaricare dal questo link), qui ci limiteremo a riportare solo le parti che hanno maggior attinenza con la sessualità:
«Ciò che vogliamo dire ora, riferendoci a questa condizione di nascita e di morte che conosciamo e nella quale siamo stati creati, è che il connubio del maschio e della femmina è un bene. E tale unione è approvata a tal punto dalla divina Scrittura che non è consentito di passare a nuove nozze a una donna ripudiata dal marito, finché il marito vive, né è consentito di risposarsi all’uomo respinto dalla moglie, finché non sia morta quella che lo ha abbandonato. Se dunque il matrimonio è un bene, come viene confermato anche nel Vangelo, quando il Signore proibisce di ripudiare la moglie se non per fornicazione, e quando accoglie l’invito a partecipare a una cerimonia nuziale, ciò che giustamente si ricerca è per quali motivi sia un bene. E mi sembra che sia tale non solo per la procreazione dei figli, ma anche perché stringe una società naturale fra i due sessi. Altrimenti non continuerebbe a chiamarsi matrimonio anche nei vecchi, specie quando avessero perduto i figli, o non li avessero avuti affatto. Ora invece in un matrimonio riuscito, anche dopo molti anni, per quanto sia appassita l’attrazione giovanile tra il maschio e la femmina, rimane una viva disposizione d’affetto tra il marito e la moglie. Anzi, quanto migliori sono i coniugi, tanto più presto cominceranno ad astenersi di reciproco accordo dall’unione della carne: in tal modo non diventa in seguito inevitabile non potere più ciò che ancora si vorrebbe, ma si acquista il merito di aver rinunciato fin da prima a ciò che ancora si poteva. Se dunque ci si mantiene fedeli al rispetto e alla stima che un sesso deve all’altro, anche quando ormai il corpo di entrambi è stremato e quasi cadavere, rimane, tanto più sincera quanto più è sperimentata e tanto più accetta quanto più è dolce, la castità degli animi congiunti dal sacro rito. Hanno anche questo vantaggio i matrimoni, che l’intemperanza della carne o dell’età giovanile, anche se in sé è da riprovare, viene rivolta all’onesto scopo di propagare la prole, cosicché l’unione coniugale dal male della libidine produce un bene. Inoltre così la concupiscenza carnale viene frenata e in un certo qual modo arde più pudicamente, perché la mitiga il sentimento della paternità. Si frappone infatti una specie di dignità nell’ardore del piacere, se nel momento in cui l’uomo e la donna sono congiunti l’uno con l’altro, pensano di essere padre e madre» (“Sulla dignità del matrimonio”, 3.3)
Ancora dallo scritto “Sulla dignità del matrimonio”, riportiamo un passo dove Agostino chiarisce che anche il piacere associato all’attività sessuale è cosa buona e non va confuso con la libidine sregolata:
«Quello che infatti è il cibo per la conservazione dell’individuo, questo è l’unione carnale per la conservazione del genere umano; ed entrambe le cose non sono prive di piacere fisico. Ma questo piacere regolato e disciplinato dalla temperanza secondo l’uso della natura, non può essere libidine. Ciò che è nel sostentare la vita un cibo illecito, questo è nella ricerca della prole un rapporto di fornicazione o di adulterio. E ciò che è un cibo non permesso nella ghiottoneria, questo è un rapporto illecito nella libidine senza la ricerca della prole. E all’avidità eccessiva che alcuni hanno per un cibo consentito, corrisponde nel matrimonio il rapporto non gravemente colpevole. Come dunque è meglio morire di fame, che cibarsi di cibi sacrificali; così è meglio morire senza figli, che cercare discendenza da un’unione illecita. Però in qualunque maniera questi figli vengano al mondo, se non seguono i vizi dei genitori e onorano Dio rettamente potranno essere onesti e raggiungere la salvezza. Infatti il seme dell’uomo, da qualsiasi individuo provenga, è creazione di Dio: per chi lo usa male diverrà un male, ma non potrà mai essere un male in se stesso. Come i figli virtuosi degli adùlteri non costituiscono affatto una giustificazione per l’adulterio; così i figli malvagi dei coniugati non costituiscono affatto una colpa per il matrimonio. Perciò i Padri del tempo della Nuova Alleanza che prendevano cibo per doverosa preoccupazione, malgrado il naturale piacere fisico che ne potevano derivare, in nessun modo erano paragonabili a quelli che mangiavano la carne di vittime sacrificali o a quelli che prendevano alimenti sia pure leciti, ma in quantità eccessiva. Così i Padri dell’Antico Testamento compivano l’atto coniugale per la preoccupazione di compiere un dovere, ma quel piacere naturale, che mai poteva arrivare a una libidine irragionevole e colpevole, non dev’esser paragonato alla depravazione nell’adulterio o all’intemperanza nel matrimonio. Senza dubbio, per la stessa madre nostra Gerusalemme, allora bisognava propagare la prole secondo la carne, come ora secondo lo spirito, ma la sorgente della carità era la stessa: solo la diversità dei tempi rendeva diverso il loro operare. Allo stesso modo i Profeti, sebbene non dediti alla carne, dovevano unirsi carnalmente; e si nutrivano carnalmente gli Apostoli, senza essere carnali» (“Sulla dignità del matrimonio” 16.18)

 
6) La teologa Uta Ranke-Heinemann da parte sua, in un suo saggio assai citato su siti anticlericali scrive: «Già Agostino aveva scritto che ogni disgrazia dell’umanità ha avuto inizio in certo qual modo con la donna, cioè con Eva, per colpa della quale ebbe luogo la cacciata dal paradiso [...]. “Perché il demonio non si è rivolto ad Adamo, ma ad Eva?” Si domanda. Cosi suona la risposta di Agostino: egli si rivolse dapprima alla “parte inferiore della prima coppia umana”, pensando: “L’uomo non è così credulone e potrebbe più facilmente essere ingannato cedendo all’errore di un altro [l'errore di Eva] piuttosto che cadere in un errore proprio”. Agostino riconosce ad Adamo circostanze attenuanti: “L’uomo ha ceduto alla sua donna [...] costrettovi da uno stretto legame, senza tener per vere le sue parole [...]. Mentre la donna accetta come verità le parole del serpente, egli voleva restate legato alla sua compagna, anche nella comunanza del peccato” (De Civitate Dei 14,11). L’amore per la donna trascina l’uomo alla rovina».
Facciamo notare che questa teologa prima era protestante, poi si è convertita al cattolicesimo, e di questo poi ha finito per contestare tutti i dogmi, fino al punto di essere scomunicata. Si tratta quindi chiaramente di una persona dalle idee confuse, e il suo utilizzo dei testi non è da meno. La Ranke-Heinemann, infatti, citando solo degli spezzoni del “De Civitate Dei” XIV, 11.2 sostiene che Agostino avrebbe accusato del primo peccato la sola donna, ma basta leggere il testo completo per vedere che non è così. Infatti, benché la disobbedienza all’ordine di Dio di non mangiare del frutto dell’albero proibito sia avvenuta in circostante diverse, la donna ingannata dal serpente e l’uomo convinto dalla donna, Agostino spiega comunque che il peccato è stato commesso volontariamente da entrambi e con la stessa gravità:
«Egli (l’angelo superbo) con la furberia del cattivo consigliere propose di insinuarsi nella coscienza dell’uomo che invidiava perché era rimasto in piedi mentre egli era caduto. Quindi nel paradiso del corpo, ove con i due individui umani, maschio e femmina, soggiornavano altri animali terrestri sottomessi e innocui, scelse il serpente, animale viscido che si muove con spire tortuose, perché adatto al suo intento di comunicare con l’uomo. Avendolo sottomesso mediante la presenza angelica e la superiorità della natura, con la perversità propria di un essere spirituale e giovandosene come di uno strumento, con inganno rivolse la parola alla donna, cominciando cioè dalla parte più debole della coppia umana per giungere gradualmente all’intero. Riteneva infatti che l’uomo non credesse facilmente e che non potesse essere tratto in inganno con un proprio errore ma soltanto nel consentire all’altrui errore. Egualmente Aronne non accondiscese al popolo in errore costruendo l’idolo perché convinto ma si adattò perché costretto, né si deve credere che Salomone ritenne per errore di dover prestare culto agli idoli ma fu spinto a quelle profanazioni dalle moine delle donne. Così si deve ammettere che nel trasgredire il comando di Dio, il primo uomo, per lo stretto legame del rapporto, accondiscese alla sua donna, uno solo a una sola, una creatura umana a una creatura umana, il marito alla moglie, e non perché ingannato credette che lei dicesse il vero. Opportunamente ha detto l’Apostolo: “Adamo non fu ingannato, ma la donna”. Essa infatti ritenne vere le parole del serpente, egli invece non volle anche nella partecipazione al peccato disgiungersi dall’unico legame che aveva, però non è meno colpevole se ha peccato con consapevolezza e discernimento. L’Apostolo non ha detto: “Non ha peccato”, ma: “Non fu ingannato”. Esprime il medesimo concetto con le parole: “Per colpa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo”, e poco dopo più palesemente: “Con una trasgressione simile a quella di Adamo”. Ha voluto far capire che possono ingannarsi quelli i quali non ritengono peccato le loro azioni, ma egli lo sapeva. Altrimenti non avrebbe senso la frase: “Adamo non fu ingannato”. Ma non avendo sperimentato la severità divina poté ingannarsi nel ritenere passibile di perdono la colpa commessa. Quindi non è stato ingannato nel senso in cui fu ingannata la donna, ma s’illuse sul modo con cui sarebbe stata giudicata la sua discolpa: “Me ne ha dato la donna che mi hai posto vicino, proprio essa, e ne ho mangiato”. Non c’è altro da aggiungere. Sebbene non siano stati ingannati tutti e due nel prestar fede, nondimeno col peccare tutti e due sono stati abbindolati e accalappiati nei tranelli del diavolo». (De Civitate Dei 11.2)
La disonestà intellettuale della Ranke-Heinemann diventa poi evidente quando sostiene che «Agostino riconosce ad Adamo circostanze attenuanti», quando in realtà, leggendo il testo precedente si vede che è esattamente il contrario. La donna infatti, dice Agostino, fu ingannata, mentre Adamo sembra abbia peccato in piena consapevolezza. Riportiamo ancora, per chiarezza, la parte specifica:
«Essa infatti ritenne vere le parole del serpente, egli invece non volle anche nella partecipazione al peccato disgiungersi dall’unico legame che aveva, però non è meno colpevole se ha peccato con consapevolezza e discernimento».