Dal sito gesuit.it
La lectio consiste nel leggere e rileggere un brano biblico facendo emergere gli elementi più significativi e mettendo in rilievo gli elementi portanti del testo: il dinamismo, la struttura, i personaggi, gli aggettivi, i verbi, le azioni, la qualità delle azioni, i tempi delle azioni, il contesto prossimo e remoto, i testi affini.
E’ quindi un lavoro ampio che ha lo scopo di rispondere alla semplice domanda: che cosa dice questo brano? Molte volte ho notato, anche nella predicazione e nell’omiletica che si parte da una pagina della Sacra Scrittura ritenendola ovvia per esprimere qualche pensiero su di essa, saltando l’interrogativo fondamentale e assolutamente inevitabile: che cosa dice?
Esaminato così, un testo che magari ho letto e ho ascoltato centinaia e migliaia di volte, appare come nuovo.
E’ raccomandabile leggere il testo con la penna in mano, cominciando a sottolineare i soggetti, le azioni, i sentimenti, le qualità. Non è necessario l’armamentario – pure importante – dello strutturalismo, di tutto lo studio della retorica. Adagio adagio il testo acquista rilievo inaspettato. Talora la nostra meditazione della Scrittura è arida perché leggiamo cursivamente, affrettatamente, oppure perché la maggior preoccupazione è di andare in cerca subito di commenti, di spiegazioni, senza fare la fatica personale di leggere con attenzione.
Dopo aver analizzato il brano nei suoi elementi, si cercano altre pagine che riportino situazioni simili, nel Nuovo e nell’Antico Testamento. La lectio si allarga, vengono alla memoria avvenimenti o figure bibliche, il testo che stiamo leggendo è rischiarato da un atteggiamento di Gesù in un’altra occasione, o da una parola di s. Paolo. Il lavoro della lectio non è esegesi propriamente detta perché l’esegesi ha delle regole tecniche, precise a partire dai testi originali, studia la preistoria orale e scritta del brano. La lectio invece cerca il contatto con il testo.
La meditatio è il secondo gradino e consiste nel ricercare i valori permanenti o i messaggi del testo. Risponde alla domanda: che cosa ci dice il testo?
Meditare vuol dire ruminare la pagina biblica attraverso delle domande o, in altre parole, considerando i valori permanenti. Da quello che Gesù ha detto duemila anni fa o da ciò che Abramo ha fatto 3500 anni fa, devo cogliere alcuni valori perenni: quali sono, perché sono importanti, che significano per l’oggi, che senso hanno per me. Si entra quindi in dialogo con la Parola di Dio; che cosa dici a me? Quale atteggiamento mi suggerisci attraverso questo testo? Da quale atteggiamento mi metti in guardia? Quale mistero di te mi riveli? Quale profondità del cuore umano scopri?
L’oratio è il quarto gradino, dove comincio a dialogare con il Signore Gesù, partendo dal testo, mediante la lode, il rendimento di grazie, la domanda. Viene alla mente ma semplicissima definizione di santa Teresa d’Avila:«L’orazione non è altro che un intimo rapporto di amicizia, un intrattenimento con Colui da cui sappiamo di essere amati». Ma solo a questo punto il colloquio con Gesù entra in movimento. Ad un certo punto della meditatio
La contemplatio è il quarto momento. E’ un passaggio delicatissimo: all’attività umana – certamente guidata dalla grazia se si vuole giungere alla preghiera – si sostituisce gradualmente l’azione di Dio. E’ il momento in cui ci mettiamo di fronte al mistero da cui è nato il brano biblico, al mistero di Dio amore, al mistero di Cristo e dello Spirito diffuso e operante nella storia. Allora il brano parla a me, per me, non è più soltanto un veicolo di messaggi generali. Dimenticando i particolari si contempla il mistero di Dio che è il cuore d’ogni pagina della Bibbia, il mistero della Trinità. Si contempla in un colloquio semplice che è adorazione, lode, offerta, ringraziamento, richiesta di grazie oppure anche umile sguardo. Non lo sguardo povero di chi guarda e non sa più cosa fare bensì sguardo arricchito da tutta la Parola che si è meditata, sguardo che è la risposta alla Parola.
Se la lectio è un ascolto attivo, la contemplatio è il momento passivo dell’intimità. Ed è importante perché, di fatto, soltanto a livello di quest’intimità noi cominciamo a conoscere Dio nell’esperienza, nel cuore, e non soltanto nell’intelletto. Il Signore può certamente chiamare alla contemplazione senza passare per la parola della Scrittura, però ordinariamente è la Scrittura che suscita in noi la fede nella Parola e, dalla fede, la contemplazione.
Dall’oratio nasce la consolatio, termine che richiederebbe una lunga spiegazione. Lo uso nel senso di paraklesis neotestamentaria: si sperimenta nel cuore gioia e affinità con gli atteggiamenti evangelici proposti dal messaggio del testo, si avverte il tocco di Dio. Consolatio è quindi un termine neotestamentario e vuol dire una profonda gioia interiore, gusto delle cose di Dio, gusto di Dio come Dio, gusto della verità, della castità, del sacrificio, dell’amore. E’ il gusto dei frutti dello Spirito Santo, una specie di istintiva connaturalità con i valori evangelici che la lectio ci ha fatto scoprire, che la contemplatio ci ha proposto nella persona di Gesù e ora, nel momento della consolazione, si integrano nella nostra persona. E’ per questa consolatio che i santi compiono tante opere, sostengono tante fatiche apostoliche, che i martiri affrontano le persecuzioni.
Alla consolatio segue quell’atteggiamento specifico del Nuovo Testamento che si chiama discretio, il discernimento. Consiste nel cogliere con chiarezza la differenza tra valori e disvalori, valori evangelici e contraffazioni. Qui il tocco di Dio è più forte. Il discernimento è la capacità di percepire dove opera lo Spirito di Dio, lo spirito evangelico, lo Spirito di Cristo: nelle situazioni, nelle decisioni, negli avvenimenti, nei problemi. E di percepire dove invece opera lo spirito di Satana, lo spirito di menzogna, lo spirito di inganno, lo spirito di amarezza, lo spirito di confusione. Il discernimento, quando ci è dato attraverso una sensibilità spirituale, quasi istintiva e permanente, è chiamato il dono del discernimento degli spiriti per il quale s. Paolo prega affinché sia dato ai suoi, ed è indispensabile per chi ha delle responsabilità. Chi ha poche scelte da fare (un bambino, un ragazzo, una persona che ha una vita piuttosto ristretta) ha già le sue scelte, e se le vive in obbedienza e in umiltà si santifica. Chi deve fare delle scelte pastorali, apostoliche, ha un grandissimo bisogno di questo discernimento per capire dove opera lo Spirito di Cristo e dove inganna lo spirito di Satana: qui c’è del giusto, qui c’è sacrificio evangelico, qui c’è santità, qui c’è obbedienza sincera: qui invece c’è falsità, furbizia, qui c’è apparenza, prosopopea, qui c’è millantato credito, qui ci sono cose che sembrano buone, ma in realtà suonano male.
La Deliberatio è il gradino successivo alla discretio e indica una scelta evangelica concreta. Ogni grande scelta cristiana, in particolare le scelte religiose – povertà, castità, obbedienza – nascono dalla conformità spirituale con l’essere di Cristo.
L’ultimo passo è l’Actio, l’agire evangelico, che consegue alla scelta, alla deliberatio: si compie concretamente un’azione che cambia il cuore, converte la vita.
Gli otto momenti si potrebbero riassumere con altre parole: il momento della salita (lectio, meditatio, oratio), la vetta (contemplatio), la discesa (consolatio, discretio, actio). Qui è risolto il famoso dilemma preghiera-azione. Non sono affatto due realtà parallele o contrapposte, perché l’agire evangelico nasce dalla preghiera evangelica della Scrittura. Sono due momenti di un unico movimento, che è l’uniformarsi al movimento di Cristo verso l’uomo, alle scelte e all’agire di Cristo.
La lectio consiste nel leggere e rileggere un brano biblico facendo emergere gli elementi più significativi e mettendo in rilievo gli elementi portanti del testo: il dinamismo, la struttura, i personaggi, gli aggettivi, i verbi, le azioni, la qualità delle azioni, i tempi delle azioni, il contesto prossimo e remoto, i testi affini.
E’ quindi un lavoro ampio che ha lo scopo di rispondere alla semplice domanda: che cosa dice questo brano? Molte volte ho notato, anche nella predicazione e nell’omiletica che si parte da una pagina della Sacra Scrittura ritenendola ovvia per esprimere qualche pensiero su di essa, saltando l’interrogativo fondamentale e assolutamente inevitabile: che cosa dice?
Esaminato così, un testo che magari ho letto e ho ascoltato centinaia e migliaia di volte, appare come nuovo.
E’ raccomandabile leggere il testo con la penna in mano, cominciando a sottolineare i soggetti, le azioni, i sentimenti, le qualità. Non è necessario l’armamentario – pure importante – dello strutturalismo, di tutto lo studio della retorica. Adagio adagio il testo acquista rilievo inaspettato. Talora la nostra meditazione della Scrittura è arida perché leggiamo cursivamente, affrettatamente, oppure perché la maggior preoccupazione è di andare in cerca subito di commenti, di spiegazioni, senza fare la fatica personale di leggere con attenzione.
Dopo aver analizzato il brano nei suoi elementi, si cercano altre pagine che riportino situazioni simili, nel Nuovo e nell’Antico Testamento. La lectio si allarga, vengono alla memoria avvenimenti o figure bibliche, il testo che stiamo leggendo è rischiarato da un atteggiamento di Gesù in un’altra occasione, o da una parola di s. Paolo. Il lavoro della lectio non è esegesi propriamente detta perché l’esegesi ha delle regole tecniche, precise a partire dai testi originali, studia la preistoria orale e scritta del brano. La lectio invece cerca il contatto con il testo.
La meditatio è il secondo gradino e consiste nel ricercare i valori permanenti o i messaggi del testo. Risponde alla domanda: che cosa ci dice il testo?
Meditare vuol dire ruminare la pagina biblica attraverso delle domande o, in altre parole, considerando i valori permanenti. Da quello che Gesù ha detto duemila anni fa o da ciò che Abramo ha fatto 3500 anni fa, devo cogliere alcuni valori perenni: quali sono, perché sono importanti, che significano per l’oggi, che senso hanno per me. Si entra quindi in dialogo con la Parola di Dio; che cosa dici a me? Quale atteggiamento mi suggerisci attraverso questo testo? Da quale atteggiamento mi metti in guardia? Quale mistero di te mi riveli? Quale profondità del cuore umano scopri?
L’oratio è il quarto gradino, dove comincio a dialogare con il Signore Gesù, partendo dal testo, mediante la lode, il rendimento di grazie, la domanda. Viene alla mente ma semplicissima definizione di santa Teresa d’Avila:«L’orazione non è altro che un intimo rapporto di amicizia, un intrattenimento con Colui da cui sappiamo di essere amati». Ma solo a questo punto il colloquio con Gesù entra in movimento. Ad un certo punto della meditatio
La contemplatio è il quarto momento. E’ un passaggio delicatissimo: all’attività umana – certamente guidata dalla grazia se si vuole giungere alla preghiera – si sostituisce gradualmente l’azione di Dio. E’ il momento in cui ci mettiamo di fronte al mistero da cui è nato il brano biblico, al mistero di Dio amore, al mistero di Cristo e dello Spirito diffuso e operante nella storia. Allora il brano parla a me, per me, non è più soltanto un veicolo di messaggi generali. Dimenticando i particolari si contempla il mistero di Dio che è il cuore d’ogni pagina della Bibbia, il mistero della Trinità. Si contempla in un colloquio semplice che è adorazione, lode, offerta, ringraziamento, richiesta di grazie oppure anche umile sguardo. Non lo sguardo povero di chi guarda e non sa più cosa fare bensì sguardo arricchito da tutta la Parola che si è meditata, sguardo che è la risposta alla Parola.
Se la lectio è un ascolto attivo, la contemplatio è il momento passivo dell’intimità. Ed è importante perché, di fatto, soltanto a livello di quest’intimità noi cominciamo a conoscere Dio nell’esperienza, nel cuore, e non soltanto nell’intelletto. Il Signore può certamente chiamare alla contemplazione senza passare per la parola della Scrittura, però ordinariamente è la Scrittura che suscita in noi la fede nella Parola e, dalla fede, la contemplazione.
Dall’oratio nasce la consolatio, termine che richiederebbe una lunga spiegazione. Lo uso nel senso di paraklesis neotestamentaria: si sperimenta nel cuore gioia e affinità con gli atteggiamenti evangelici proposti dal messaggio del testo, si avverte il tocco di Dio. Consolatio è quindi un termine neotestamentario e vuol dire una profonda gioia interiore, gusto delle cose di Dio, gusto di Dio come Dio, gusto della verità, della castità, del sacrificio, dell’amore. E’ il gusto dei frutti dello Spirito Santo, una specie di istintiva connaturalità con i valori evangelici che la lectio ci ha fatto scoprire, che la contemplatio ci ha proposto nella persona di Gesù e ora, nel momento della consolazione, si integrano nella nostra persona. E’ per questa consolatio che i santi compiono tante opere, sostengono tante fatiche apostoliche, che i martiri affrontano le persecuzioni.
Alla consolatio segue quell’atteggiamento specifico del Nuovo Testamento che si chiama discretio, il discernimento. Consiste nel cogliere con chiarezza la differenza tra valori e disvalori, valori evangelici e contraffazioni. Qui il tocco di Dio è più forte. Il discernimento è la capacità di percepire dove opera lo Spirito di Dio, lo spirito evangelico, lo Spirito di Cristo: nelle situazioni, nelle decisioni, negli avvenimenti, nei problemi. E di percepire dove invece opera lo spirito di Satana, lo spirito di menzogna, lo spirito di inganno, lo spirito di amarezza, lo spirito di confusione. Il discernimento, quando ci è dato attraverso una sensibilità spirituale, quasi istintiva e permanente, è chiamato il dono del discernimento degli spiriti per il quale s. Paolo prega affinché sia dato ai suoi, ed è indispensabile per chi ha delle responsabilità. Chi ha poche scelte da fare (un bambino, un ragazzo, una persona che ha una vita piuttosto ristretta) ha già le sue scelte, e se le vive in obbedienza e in umiltà si santifica. Chi deve fare delle scelte pastorali, apostoliche, ha un grandissimo bisogno di questo discernimento per capire dove opera lo Spirito di Cristo e dove inganna lo spirito di Satana: qui c’è del giusto, qui c’è sacrificio evangelico, qui c’è santità, qui c’è obbedienza sincera: qui invece c’è falsità, furbizia, qui c’è apparenza, prosopopea, qui c’è millantato credito, qui ci sono cose che sembrano buone, ma in realtà suonano male.
La Deliberatio è il gradino successivo alla discretio e indica una scelta evangelica concreta. Ogni grande scelta cristiana, in particolare le scelte religiose – povertà, castità, obbedienza – nascono dalla conformità spirituale con l’essere di Cristo.
L’ultimo passo è l’Actio, l’agire evangelico, che consegue alla scelta, alla deliberatio: si compie concretamente un’azione che cambia il cuore, converte la vita.
Gli otto momenti si potrebbero riassumere con altre parole: il momento della salita (lectio, meditatio, oratio), la vetta (contemplatio), la discesa (consolatio, discretio, actio). Qui è risolto il famoso dilemma preghiera-azione. Non sono affatto due realtà parallele o contrapposte, perché l’agire evangelico nasce dalla preghiera evangelica della Scrittura. Sono due momenti di un unico movimento, che è l’uniformarsi al movimento di Cristo verso l’uomo, alle scelte e all’agire di Cristo.