Quando anche le agenzie di stampa della CEI lodano la teologia della liberazione , significa che nonostante ci si sprechi a parlare di continuità , il vento alla fine è cambiato.
Da SIR
A
quarant’anni dalla sua comparsa, la teologia della liberazione vive una
stagione nuova. Ne parlano insieme Gustavo Gutierrez, sacerdote e
teologo peruviano, considerato il padre della teologia della
liberazione, e Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per
la dottrina della fede, l’organismo vaticano, che in passato si è dovuto
occupare di alcuni eccessi dei teologi che la sostenevano. “Dalla parte
dei poveri. Teologia della liberazione, teologia della Chiesa” (2013)
presenta il punto della situazione su questo movimento teologico, il
quale offre ancora oggi sfide e contenuti all’intera riflessione
teologica. Nata come teologia regionale in un contesto preciso, quello
dell’America Latina e dei Caraibi, ha contribuito a rimettere al centro
della teologia cattolica alcuni elementi irrinunciabili.
Intanto, un’importante precisazione: l’impulso originario della teologia della liberazione non consiste nell’indicare che cosa fare di fronte alle ingiustizie, alle sopraffazioni, alle povertà, a ciò che lede gravemente la dignità umana. Se l’interesse, legittimo e doveroso, fosse stato solo su questo piano, non occorreva pensare alcuna forma di teologia, perché esisteva già la dottrina sociale della Chiesa, cioè quella riflessione pratica che orienta il comportamento del credente nel campo del bene comune. L’impulso originario è stato un altro e ruota - secondo Müller - intorno a questo interrogativo: “Come si può parlare di Dio, di Cristo, dello Spirito Santo, della Chiesa, dei sacramenti, della grazia e della vita eterna a fronte della miseria, dello sfruttamento e dell’oppressione degli esseri umani nel terzo mondo, e tenendo presente il fatto che noi riteniamo l’uomo un essere creato a immagine di Dio, per il quale Cristo è morto affinché egli sperimenti Dio come salvezza e vita in tutti gli ambiti della sua esistenza?” (pag. 79). La domanda di fondo è assolutamente corretta e appartiene alla teologia, che da sempre si interroga su come parlare di Dio.
Inoltre, tiene conto del fatto che - nota Gutierrez - l’America Latina è “un continente abitato da una popolazione che è al tempo stesso povera e credente, come diciamo da decenni nel contesto della teologia della liberazione; si tratta di coloro che vivono la propria fede in mezzo alla povertà, il che ha come conseguenza che ognuna di queste condizioni lasci la propria orma nell’altra” (pag. 53). La povertà, causata dal divario sempre più ampio tra gli strati ricchi della società e quelli poveri, è ormai divenuta un’autentica sfida alla comprensione della fede e di Dio. Qualcuno potrebbe dire che tutto questo va bene, ma riguarda solo una parte dell’umanità. Non saremmo noi europei in un’altra situazione? Perché nel nostro continente interessarsi della teologia della liberazione?
Le questioni poste da questa teologia toccano un aspetto imprescindibile per ogni teologia, come quello dell’annuncio dell’azione liberante, inaugurata da Dio nella storia e continuante nell’oggi. Questo è oggetto della teologia in quanto tale, ma rischia, talvolta, di essere dimenticato. Non si è forse molto insistito sulla salvezza divina nella sua dimensione ultraterrena, dimenticando che Dio opera ogni giorno la liberazione dell’uomo? Non solo: coloro che sono già liberati nella fede, diventano essi stessi parte attiva nel processo di liberazione dei fratelli. Così il credente riceve dalla teologia l’annuncio della compassione di Dio per l’uomo che vive oggi nella storia, si interroga su quale prassi intraprendere alla luce del Vangelo ed opera, finalmente, il cambiamento della realtà.
Intanto, un’importante precisazione: l’impulso originario della teologia della liberazione non consiste nell’indicare che cosa fare di fronte alle ingiustizie, alle sopraffazioni, alle povertà, a ciò che lede gravemente la dignità umana. Se l’interesse, legittimo e doveroso, fosse stato solo su questo piano, non occorreva pensare alcuna forma di teologia, perché esisteva già la dottrina sociale della Chiesa, cioè quella riflessione pratica che orienta il comportamento del credente nel campo del bene comune. L’impulso originario è stato un altro e ruota - secondo Müller - intorno a questo interrogativo: “Come si può parlare di Dio, di Cristo, dello Spirito Santo, della Chiesa, dei sacramenti, della grazia e della vita eterna a fronte della miseria, dello sfruttamento e dell’oppressione degli esseri umani nel terzo mondo, e tenendo presente il fatto che noi riteniamo l’uomo un essere creato a immagine di Dio, per il quale Cristo è morto affinché egli sperimenti Dio come salvezza e vita in tutti gli ambiti della sua esistenza?” (pag. 79). La domanda di fondo è assolutamente corretta e appartiene alla teologia, che da sempre si interroga su come parlare di Dio.
Inoltre, tiene conto del fatto che - nota Gutierrez - l’America Latina è “un continente abitato da una popolazione che è al tempo stesso povera e credente, come diciamo da decenni nel contesto della teologia della liberazione; si tratta di coloro che vivono la propria fede in mezzo alla povertà, il che ha come conseguenza che ognuna di queste condizioni lasci la propria orma nell’altra” (pag. 53). La povertà, causata dal divario sempre più ampio tra gli strati ricchi della società e quelli poveri, è ormai divenuta un’autentica sfida alla comprensione della fede e di Dio. Qualcuno potrebbe dire che tutto questo va bene, ma riguarda solo una parte dell’umanità. Non saremmo noi europei in un’altra situazione? Perché nel nostro continente interessarsi della teologia della liberazione?
Le questioni poste da questa teologia toccano un aspetto imprescindibile per ogni teologia, come quello dell’annuncio dell’azione liberante, inaugurata da Dio nella storia e continuante nell’oggi. Questo è oggetto della teologia in quanto tale, ma rischia, talvolta, di essere dimenticato. Non si è forse molto insistito sulla salvezza divina nella sua dimensione ultraterrena, dimenticando che Dio opera ogni giorno la liberazione dell’uomo? Non solo: coloro che sono già liberati nella fede, diventano essi stessi parte attiva nel processo di liberazione dei fratelli. Così il credente riceve dalla teologia l’annuncio della compassione di Dio per l’uomo che vive oggi nella storia, si interroga su quale prassi intraprendere alla luce del Vangelo ed opera, finalmente, il cambiamento della realtà.