Certamente molti ricorderanno le
proteste per la visita di Benedetto XVI all’Università de “la Sapienza”
qualche anno fa. I 67 docenti firmatari del documento contro l’invito al
Papa fecero riferimento ad un discorso pronunciato nel 1990 dall’allora
cardinale Ratzinger, in cui, parlando del Caso Galilei, il futuro papa
citò alcune parole del celebre filosofo della scienza Paul Feyerabend
(1924-1994) –anarchico e ateo, quindi al di sopra di ogni sospetto- in
cui si affermava che nel processo allo Scienziato pisano la ragione era
dalla parte della Chiesa.
E infatti va precisato che ciò che
capitò a Galilei (1564-1642) non fu causato dalla sua negazione della
concezione geocentrica (il Sole che gira intorno alla Terra) quanto dal
fatto che la sua posizione si faceva sostenitrice di un nuovo modo di
concepire la scienza, un modo in cui la scienza stessa sarebbe potuta
divenire l’unica ed esclusiva lettura della realtà. Titus Burckhardt
(1908-1984) nel suo Scienza moderna e saggezza tradizionale (1968)
scrive a pagina 134: «La Chiesa, esigendo da Galileo di presentare le
proprie tesi sul moto della terra e del sole non come verità assoluta ma
come ipotesi, aveva le sue buone ragioni. (…). L’esaltazione letteraria
di Galileo ha fatto nascere in svariati dignitari ecclesiastici una
sorta di coscienza di colpa che li rende stranamente impotenti dinanzi
alle teorie scientifiche moderne, quand’anche queste siano in palese
contraddizione con le verità della fede e della ragione. La Chiesa, si
suol dire, non avrebbe dovuto immischiarsi nei problemi scientifici.
Eppure lo stesso caso di Galileo dimostra che, accampando la pretesa di
possedere la verità assoluta, la nuova scienza razionalista del
Rinascimento si presentava alla guisa di una seconda religione».
Dunque, la scienza come una sorta di “nuova religione”, ovvero il
passaggio dalla scienza allo scientismo. Ma su questo ritorneremo tra
pochissimo.Iniziamo a sfatare alcuni luoghi comuni sul “caso Galilei”. Ci sono sette verità importanti da ribadire. Per quanto riguarda la bibliografia abbiamo attinto soprattutto da un prezioso e documentato testo di Enrico Zoffoli, Galileo, Roma 1990.
Prima verità
La Chiesa non aveva paura della teoria eliocentrica
A differenza di quanto si dice, Galilei non ebbe i suoi problemi per
la teoria eliocentrica (la Terra ruota intorno al Sole), per il semplice
fatto che questa teoria non faceva paura alla Chiesa. Già quattro
secoli prima di Galilei, san Tommaso d’Aquino (1225-1274) disse che la
concezione tolemaica, proprio perché non suffragata da prove, non poteva
considerarsi definitiva. Copernico (1473-1543), astronomo polacco e
perfino sacerdote cattolico, morto ventuno anni prima di Galilei, aveva
sostenuto la concezione eliocentrica; e molti contemporanei, perfino
esponenti della gerarchia ecclesiastica (tra questi anche pontefici come
Leone X e Clemente VII) si mostrarono aperti alle sue tesi.
Nella celebre Università di Salamanca,
proprio negli anni di Galilei, si studiava e si insegnava anche la
concezione copernicana. Lo stesso Galilei era a conoscenza del fatto che
la Chiesa non aveva nulla da ridire sull’ipotesi di Copernico. Così
scrisse a Cristina di Lorena: «(Il trattato di Copernico) è stato
ricevuto dalla santa Chiesa, letto e studiato per tutto il mondo, senza
che mai si sia presa ombra di scrupolo nella sua dottrina (...)».
Piuttosto era nel mondo protestante che l’eliocentrismo faceva paura.
Riferendosi a Copernico, Martin Lutero scrisse: «Cadde un giorno il
discorso sopra un astrologo moderno il quale voleva dimostrare che la
Terra si muove e non già il cielo o il firmamento col Sole e con la
Luna, (…) Ma le cose adesso vanno così: chi vuole apparire savio e dotto
non deve approvare quello che fanno gli altri, ma deve fare alcunché di
singolare e tale che a suo credere nessun altro sia capace di fare. Il
pazzo vuole rovesciare tutta l’arte astronomica».
Seconda verità
Galilei ebbe problemi per motivi legati alla filosofia della scienza
Il motivo per cui Galilei ebbe problemi non fu dunque legato alla teoria eliocentrica ma a ragioni di filosofia della scienza.
Galilei, pretendendo presentare
l’eliocentrismo non come ipotesi ma come una tesi comprovata,
rappresentava un atteggiamento scientista e non scientifico. Mentre
l’atteggiamento autenticamente scientifico si serve delle prove (parte
sì da un’intuizione, ma sottopone questa intuizione a verifica);
l’atteggiamento cosiddetto scientista è il contrario, cioè fa
dell’intuizione scientifica, indipendentemente dalla verifica,
l’intuizione per eccellenza da preferirsi a qualsiasi altra intuizione,
tanto a quella della tradizione quanto a quella del senso comune.
Galilei, avendo solo delle intuizioni e non delle prove, pretendeva che
la mentalità scientifica, solo perché “scientifica”, potesse essere
“giudice” della Rivelazione. Ma la Fede, se può e deve dialogare con la
scienza, non può certo dialogare con lo scientismo, che è un’ideologia e
che fa della scienza una “seconda religione” secondo la definizione del
citato Burckhardt.
Terza verità
Galilei doveva limitarsi a presentare le sue teorie come semplici ipotesi
San Roberto Bellarmino (1542-1621), che
svolse un ruolo importante nel processo a Galilei, non pretendeva che lo
scienziato pisano rinunciasse alla convinzione eliocentrica bensì che
ne parlasse per quello che effettivamente era, cioè un’ipotesi. Così
scrive in una lettera del 12 aprile del 1615 al padre carmelitano Paolo
Antonio Foscarini che appoggiava Galilei: «Dico che il Venerabile Padre
e il signor Galileo facciano prudentemente a contentarsi di parlare “ex
suppositione” e non “assolutamente”, come io ho sempre creduto che
abbia parlato il Copernico. (...) Dico che quando ci fusse “vera
dimostrazione” che il Sole stia nel centro del mondo e la Terra nel
terzo cielo, e che il Sole non circonda la Terra, ma la Terra circonda
il Sole, all’hora bisogneria andar con molta consideratione in esplicare
le Scritture che paiono contrarie, ed è meglio dire che non le
intendiamo, piuttosto che dire che sia falso quello che si dimostra».
Che poi il Bellarmino dica queste cose non improvvisando né formulando
“novità”, è dimostrato dal fatto che egli nel 1571 (cinquant’anni prima)
scriveva nelle sue Praelectiones Lovanienses: «Non spetta ai teologi
investigare diligentemente queste cose (...). Possiamo scegliere la
spiegazione che ci sembra più conforme alle SS. Scritture (...). Se però
in futuro sarà provato con evidenza che le stelle si muovono con moto
del cielo e non per loro conto, allora dovrà vedersi come debbano
intendersi le Scritture affinchè non contrastino con una verità
acquisita. È certo, infatti, che il vero senso della Scrittura non può
contrastare con nessun’altra verità sia filosofica come astronomica
(...)».
Quarta verità
Galilei non portava vere prove
Galilei non portava prove convincenti per suffragare la sua ipotesi.Una prova in realtà la portava, ma era sbagliata. Inviò una lettera al cardinale Orsini dove affermava che la rotazione della Terra intorno al Sole sarebbe provata dalle maree, cioè, secondo lui, il movimento della Terra provocherebbe scuotimento e quindi le alte e basse maree. I giudici però contestarono questa “prova” e dissero giustamente che le cause delle maree dovevano ricercarsi in altro.
Ecco perché il già citato Paul Feyerabend, pur essendo ateo ed anarchico, ha affermato che nel processo a Galilei il rigore scientifico fu più dalla parte della Chiesa che non da quella dello Scienziato pisano.
Quinta verità
Galilei non subì nulla di eclatante, anzi…
Galilei non subì nulla di eclatante a
differenza di quanto molti pensano. Alcuni sondaggi dicono che la
stragrande maggioranza degli studenti italiani credono che Galilei subì
torture e che fu addirittura arso vivo. I nostri docenti di scuola e di
università invece che fare tanta cagnara dovrebbero riflettere sulla
scientificità dei loro insegnamenti.
Ecco cosa davvero subì Galilei.
Nel febbraio del 1632 lo Scienziato
pisano pubblicò a Firenze il famoso Dialogo sopra i massimi sistemi del
mondo… e nell’agosto dello stesso anno, a Roma, se ne proibì la
diffusione. Il 16 giugno del 1633 il Sant’Uffizio condannò l’autore. Il
22 giugno dello stesso anno Galilei abiurò e fu condannato a recitare
una volta alla settimana i sette salmi penitenziali e al carcere, ma
questo fu subito commutato in domicilio coatto. Prima nel Giardino di
Trinità dei Monti (alloggio con cinque camere, vista sui giardini
vaticani e cameriere personale); poi nella splendida Villa dei Medici al
Pincio; quindi a Siena presso l’amico e arcivescovo Ascanio
Piccolomini, in seguito a Firenze nella sua casa di Costa San Giorgio e,
infine, nella Villa di Arcetri, presso il Monastero delle Clarisse di
San Matteo dove vivevano le sue due figlie suore. Di tortura neanche a
parlarne.
Lo stesso Galilei fu consapevole della mitezza della pena, tanto che
ringraziò i giudici e confessò di aver fatto di tutto per indisporli.
La stessa scelta dell’affezionatissima
figlia Virginia di farsi suora (suor Celeste) dimostra la mitezza della
pena. Lei che era così attaccata al padre, qualora Galilei fosse stato
maltrattato dalla Chiesa, avrebbe avuto il desiderio di consacrarsi?
Galilei, malgrado la condanna, poté
continuare a pubblicare e a curare l’amicizia di vescovi e scienziati; e
proprio dopo la condanna pubblicò l’opera più importante, Discorsi e
dimostrazioni sopra due nuove scienze.
Morì ad Arcetri l’8 gennaio del 1642,
assistito da discepoli come Vincenzo Viviani ed Evangelista Torricelli;
morì con i conforti religiosi e finanche con l’indulgenza plenaria e la
benedizione del Papa.
Sesta verità
Il processo a Galilei deve essere collocato nel clima del XVII secolo
Il processo a Galilei si può capire solo
collocandolo all’interno del XVII secolo; secolo tutt’altro che facile.
Verrebbe da dire che se lo Scienziato pisano fosse vissuto in pieno
XIII secolo non avrebbe avuto i problemi che ebbe.
Iniziamo col considerare che nel XVII
secolo il riferimento ad Aristotele non era un riferimento critico,
capace cioè di selezionare e discernere (come invece riuscì a fare il
vertice della Scolastica e in particolar modo san Tommaso), bensì
pedissequo: Aristotele doveva essere accettato integralmente, anche per
quanto riguardava la sua visione cosmica.
Inoltre, c’era stato da poco (meno di un
secolo) lo scoppio del Protestantesimo, imperversavano le guerre di
religione… e il mondo protestante accusava quello cattolico di non amare
la Bibbia, di leggerla poco, di non rispettarla. Tutto questo portò,
per reazione, anche alcuni ambienti cattolici ad un atteggiamento di
protezione letteralistica della Bibbia stessa. Per finire, durante la
Guerra dei Trent’anni si erano diffusi i manifesti dei Rosa-Croce, che
(come ha ampiamente dimostrato la storica inglese Frances Yeats) furono
scritti per riproporre una visione ermetica e magica del reale collegata
alla prisca philosophia, da contrapporre alla visione cattolica fatta
propria dalla parte asburgica. Ora, la visione ermetica e magica si
fonda sul monismo e sulla identificazione del creato con il creatore
(panteismo) per cui il concepire la Terra non più al centro poteva,
secondo alcuni, avvalorare una concezione infinita e divina
dell’universo stesso.
Settima verità
L’uso strumentale del “caso Galilei”
E per finire… la famosa frase che
campeggia su buona parte dei libri scolastici, e cioè che Galilei
avrebbe detto “eppur si muove”, in realtà non fu mai pronunciata. Fu
inventata da un giornalista italiano, Giuseppe Baretti, a Londra nel
1757.
Una frase ad effetto, che doveva servire
per creare il mito di una chiesa arroccata nel suo oscurantismo e
quindi incapace ad aprirsi al progresso delle conoscenze scientifiche.
Insomma, un uso strumentale del “caso Galilei”.