....Nel Cristo Dio fatto uomo , troviamo il sostegno per la nostra debolezza e le risorse per raggiungere la perfezione. L'umanità di Cristo ci rimette in piedi , la sua condiscendenza ci prende per mano , la sua divinità ci fa giungere alla méta....


S.Agostino

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mercoledì 17 ottobre 2012

La traduzione dei testi liturgici tenga seriamente conto della diversità delle origini culturali

16 ottobre 2012


- S. E. R. Mons. Ignatius SUHARYO HARDJOATMODJO, Arcivescovo di Jakarta, Ordinario militare per l'Indonesia (INDONESIA)

Vorrei raccontarvi una semplice esperienza che ho vissuto quando, durante una visita in una parrocchia, ho incontrato un catechista locale. Gli ho chiesto: “Quanti catecumeni hai?”. Sono rimasto sorpreso nell’apprendere che ne aveva più di novanta. Erano moltissimi. Gli ho quindi domandato: “Hai mai chiesto ai tuoi catecumeni perché desiderano essere battezzati nella Chiesa cattolica?”. E mi ha risposto: “Molti di loro hanno detto di essere rimasti colpiti dal modo in cui i cattolici pregano negli eventi pubblici, come i matrimoni o i funerali”. Le preghiere colpiscono così tanto il loro cuore perché in quelle occasioni le invocazioni e le benedizioni vengono fatte nella loro lingua madre, sicché ne capiscono facilmente il contenuto, mentre prima di solito ascoltavano preghiere recitate in una lingua straniera, poiché i musulmani pregano in arabo.
L’attività evangelizzatrice della Chiesa è, come tutti sappiamo, un atto di comunicazione che comprende due componenti fondamentali, vale a dire la comunicazione del contenuto o del messaggio - la rivelazione di Dio e la fede in Gesù Cristo - è lo strumento della comunicazione - il mezzo e la lingua - nel contesto di una comunità di fede. Per quanto riguarda la lingua, tradurre un testo liturgico in un’altra lingua - e questo vale per qualsiasi altro testo - spesso ci porta ad affrontare delicate sfide o perfino problemi. Da un lato c’è l’esigenza di una traduzione letterale. Dall’altro, tutti noi comprendiamo che la traduzione letterale non è sempre possibile vista la diversità e la complessità delle lingue. Per esempio, quando il sacerdote dice alla gente “Dominus vobiscum” e la gente deve rispondere “Et cum spiritu tuo”, la parola “spiritus”, che nella nostra lingua si traduce “roh”, potrebbe facilmente evocare l’idea di uno “spirito maligno”, e quindi per alcune comunità “et cum spiritu tuo” significa “con il tuo spirito maligno”.
Il mio auspicio - e spero di non essere solo in questo - è che la traduzione dei testi liturgici non debba sempre essere letterale, ma tenga seriamente conto della diversità delle origini culturali. Potrebbe forse essere applicato il principio di sussidiarietà al compito della traduzione e anche in altri ambiti della vita della Chiesa locale, essendo la sussidiarietà lo spirito del Vaticano II? In questo modo manteniamo la nostra “fedeltà a un messaggio, del quale noi siamo i servitori, e alle persone a cui noi dobbiamo trasmetterlo” (Evangelii nuntiandi, n. 4). Specialmente per quanto riguarda i giovani, che vivono in una cultura massmediatica, la Chiesa deve cercare di trasmettere il suo messaggio in un linguaggio che colpisca i loro cuori.
In tal modo, la Chiesa locale diventerà più comunicativa ed espressiva, e di conseguenza la fede delle persone riceverà più energia e avrà un maggiore rilievo nella loro vita e nel loro impegno cattolico nella Chiesa e nel mondo.