Intervista
con il patriarca di Antiochia Grégoire III Laham di Gianni Valente
Grégoire III
Laham, patriarca di Antiochia dei Greco-Melchiti dal novembre del 2000, non è
certo sfornito dell’energica irruenza che rappresenta il tratto distintivo di
tanti patriarchi e vescovi della Chiesa cui appartiene. La stessa mostrata già
dal suo predecessore Maximos IV Saigh, che infiammava il Concilio Vaticano II
coi suoi interventi contro la “papolatria” a nome della “causa orientale”
all’interno della Chiesa cattolica. Anche gli interventi di Grégoire III al
Sinodo dei vescovi sull’Eucaristia, soprattutto durante l’ora di discussione
libera, non sono passati inosservati.
Il suo intervento al Sinodo è stato insolito. Lei ha parlato a nome della «Chiesa degli arabi».
GRÉGOIRE III LAHAM: Il vescovo melchita Edelby, che partecipò da protagonista al Concilio Vaticano II, ripeteva sempre: noi siamo arabi non musulmani, orientali non ortodossi, cattolici non latini. Io aggiungo: noi siamo la Chiesa dell’islam.
È la stessa espressione che lei ha usato nel suo intervento. Voleva scandalizzare qualcuno?
GRÉGOIRE III: L’islam è il nostro ambiente, il contesto in cui viviamo e con cui siamo storicamente solidali. Abbiamo vissuto 1400 anni in mezzo a loro. Capiamo l’islam dall’interno. Quando sento un versetto del Corano, per me non si tratta di una cosa estranea. È un’espressione della civiltà cui appartengo.
Perché al Sinodo sull’Eucaristia ha parlato di questo?
GRÉGOIRE III: Secondo me, dopo l’11 settembre, c’è un complotto per eliminare dal mondo arabo tutte le minoranze cristiane.
E perché?
GRÉGOIRE III: La nostra semplice esistenza fa saltare le equazioni per cui gli arabi non possono che essere musulmani, e i cristiani non possono che essere occidentali.
E questo a chi darebbe fastidio?
GRÉGOIRE III: Se vanno via i caldei, gli assiri, gli ortodossi, i cattolici latini, se il Medio Oriente viene ripulito di tutti i cristiani arabi, rimarranno uno davanti all’altro il mondo arabo musulmano e un mondo occidentale cosiddetto cristiano. Sarà più facile scatenare lo scontro e giustificarlo con la religione. Per questo a luglio ho scritto una lettera a tutti governanti arabi, per spiegare quanto sia importante che questa piccola presenza, 15 milioni di arabi cristiani sparsi tra 260 milioni di musulmani, non venga spazzata via.
Ma gli attacchi e le vessazioni ai cristiani vengono dagli integralisti islamici.
GRÉGOIRE III: La guerra in Iraq e la situazione in Terra Santa sono colpi mortali per i cristiani in Medio Oriente. Volenti o nolenti, finiamo etichettati come quinta colonna dell’Occidente. Ma la forza del fondamentalismo sta nella debolezza del cosiddetto Occidente cristiano. Il fondamentalismo è una malattia che si scatena e prende piede davanti al vuoto della modernità occidentale, che usa il cristianesimo solo come copertura ideologica. Se l’islam avesse davvero davanti a sé una cristianità reale, accogliente, limpida, forte, capace di testimonianza, se l’Occidente fosse davvero animato dalla forza spirituale cristiana, il rapporto con l’islam sarebbe un’interazione, un dialogo, una convivenza leale.
Insomma, secondo lei non è l’islam il nuovo impero del male.
GRÉGOIRE III: In quello che sta succedendo in Medio Oriente, a partire dall’Iraq, tante cose rimangono oscure. Ci sono in azione forze che lavorano per farci precipitare tutti nell’apocalisse. Ha fatto bene papa Benedetto quando a Colonia ha detto che cristiani e musulmani debbono stare insieme davanti a questi gruppi scatenati che ideano e programmano il terrorismo per avvelenare i nostri rapporti.
Torniamo al Sinodo. Quando il cardinale Scola ha detto che il celibato sacerdotale ha un fondamento teologico, lei ha avuto da ridire.
GRÉGOIRE III: Il celibato sacerdotale ha un valore spirituale straordinario che nessuno mette in dubbio. Esprime una donazione perfetta al Signore e ha dato frutti formidabili in Oriente come in Occidente. Dirò di più: non mi convince nemmeno il discorso di chi ne chiede l’abolizione prendendo a pretesto la carenza di sacerdoti. Anche in Oriente, coi sacerdoti sposati, soffriamo della stessa penuria di clero. Detto questo, continuo a ritenere che il celibato ecclesiastico sia una questione di disciplina e non di dogma.
Ma secondo lei l’ipotesi di ordinare sacerdoti degli uomini sposati anche nella Chiesa latina va presa in considerazione?
GRÉGOIRE III: Secondo me bisogna prendersi tutto il tempo che serve per confrontare i pro e i contro. Ma la questione non si può accantonare a priori. E va presa in esame come una possibilità nuova di servizio nella Chiesa, evitando di misurare la figura del sacerdote sposato con il metro del sacerdote celibe, e senza tirare in ballo la scarsità di vocazioni. In Oriente questa prassi ha dato frutto. Occorre vedere se conviene riproporla oggi in Occidente.
Il cardinale Husar ha proposto di dedicare il prossimo Sinodo alle Chiese orientali cattoliche. Lei è d’accordo?
GRÉGOIRE III: Sarebbe una buona occasione per affrontare da una prospettiva nuova tanti argomenti importanti, come la comunione dei bambini, o lo stesso primato. E per verificare se le nostre tradizioni possono rappresentare una ricchezza di soluzioni anche per la Chiesa latina.
Per esempio?
GRÉGOIRE III: Per esempio, alcuni anche in Occidente vorrebbero che nella scelta dei vescovi fossero più coinvolte le Chiese locali. Si potrebbe verificare se nelle nostre pratiche tradizionali ci sono elementi adattabili con la struttura socio-culturale della Chiesa latina.
Ma proprio riguardo alle nomine dei vescovi, da parte delle Chiese orientali si registra talvolta un certo malessere.
GRÉGOIRE III: Per centocinquant’anni abbiamo eletto i nostri vescovi senza interferenze di Roma, benché nessuno avesse mai negato a Roma il diritto di intervenire, e a noi il diritto di ricorrere a Roma. Semplicemente, Roma non interveniva de facto. Per tutto quel tempo abbiamo eletto vescovi buoni. Non capisco perché adesso non possiamo farlo.
E quando è cambiato tutto questo?
GRÉGOIRE III: La prassi è cambiata dal Vaticano II. Questo è davvero strano. È strano che dopo il Vaticano II, invece di esserci più libertà e autonomia per le Chiese orientali, si siano ristretti gli spazi.
Il suo intervento al Sinodo è stato insolito. Lei ha parlato a nome della «Chiesa degli arabi».
GRÉGOIRE III LAHAM: Il vescovo melchita Edelby, che partecipò da protagonista al Concilio Vaticano II, ripeteva sempre: noi siamo arabi non musulmani, orientali non ortodossi, cattolici non latini. Io aggiungo: noi siamo la Chiesa dell’islam.
È la stessa espressione che lei ha usato nel suo intervento. Voleva scandalizzare qualcuno?
GRÉGOIRE III: L’islam è il nostro ambiente, il contesto in cui viviamo e con cui siamo storicamente solidali. Abbiamo vissuto 1400 anni in mezzo a loro. Capiamo l’islam dall’interno. Quando sento un versetto del Corano, per me non si tratta di una cosa estranea. È un’espressione della civiltà cui appartengo.
Perché al Sinodo sull’Eucaristia ha parlato di questo?
GRÉGOIRE III: Secondo me, dopo l’11 settembre, c’è un complotto per eliminare dal mondo arabo tutte le minoranze cristiane.
E perché?
GRÉGOIRE III: La nostra semplice esistenza fa saltare le equazioni per cui gli arabi non possono che essere musulmani, e i cristiani non possono che essere occidentali.
E questo a chi darebbe fastidio?
GRÉGOIRE III: Se vanno via i caldei, gli assiri, gli ortodossi, i cattolici latini, se il Medio Oriente viene ripulito di tutti i cristiani arabi, rimarranno uno davanti all’altro il mondo arabo musulmano e un mondo occidentale cosiddetto cristiano. Sarà più facile scatenare lo scontro e giustificarlo con la religione. Per questo a luglio ho scritto una lettera a tutti governanti arabi, per spiegare quanto sia importante che questa piccola presenza, 15 milioni di arabi cristiani sparsi tra 260 milioni di musulmani, non venga spazzata via.
Ma gli attacchi e le vessazioni ai cristiani vengono dagli integralisti islamici.
GRÉGOIRE III: La guerra in Iraq e la situazione in Terra Santa sono colpi mortali per i cristiani in Medio Oriente. Volenti o nolenti, finiamo etichettati come quinta colonna dell’Occidente. Ma la forza del fondamentalismo sta nella debolezza del cosiddetto Occidente cristiano. Il fondamentalismo è una malattia che si scatena e prende piede davanti al vuoto della modernità occidentale, che usa il cristianesimo solo come copertura ideologica. Se l’islam avesse davvero davanti a sé una cristianità reale, accogliente, limpida, forte, capace di testimonianza, se l’Occidente fosse davvero animato dalla forza spirituale cristiana, il rapporto con l’islam sarebbe un’interazione, un dialogo, una convivenza leale.
Insomma, secondo lei non è l’islam il nuovo impero del male.
GRÉGOIRE III: In quello che sta succedendo in Medio Oriente, a partire dall’Iraq, tante cose rimangono oscure. Ci sono in azione forze che lavorano per farci precipitare tutti nell’apocalisse. Ha fatto bene papa Benedetto quando a Colonia ha detto che cristiani e musulmani debbono stare insieme davanti a questi gruppi scatenati che ideano e programmano il terrorismo per avvelenare i nostri rapporti.
Torniamo al Sinodo. Quando il cardinale Scola ha detto che il celibato sacerdotale ha un fondamento teologico, lei ha avuto da ridire.
GRÉGOIRE III: Il celibato sacerdotale ha un valore spirituale straordinario che nessuno mette in dubbio. Esprime una donazione perfetta al Signore e ha dato frutti formidabili in Oriente come in Occidente. Dirò di più: non mi convince nemmeno il discorso di chi ne chiede l’abolizione prendendo a pretesto la carenza di sacerdoti. Anche in Oriente, coi sacerdoti sposati, soffriamo della stessa penuria di clero. Detto questo, continuo a ritenere che il celibato ecclesiastico sia una questione di disciplina e non di dogma.
Ma secondo lei l’ipotesi di ordinare sacerdoti degli uomini sposati anche nella Chiesa latina va presa in considerazione?
GRÉGOIRE III: Secondo me bisogna prendersi tutto il tempo che serve per confrontare i pro e i contro. Ma la questione non si può accantonare a priori. E va presa in esame come una possibilità nuova di servizio nella Chiesa, evitando di misurare la figura del sacerdote sposato con il metro del sacerdote celibe, e senza tirare in ballo la scarsità di vocazioni. In Oriente questa prassi ha dato frutto. Occorre vedere se conviene riproporla oggi in Occidente.
Il cardinale Husar ha proposto di dedicare il prossimo Sinodo alle Chiese orientali cattoliche. Lei è d’accordo?
GRÉGOIRE III: Sarebbe una buona occasione per affrontare da una prospettiva nuova tanti argomenti importanti, come la comunione dei bambini, o lo stesso primato. E per verificare se le nostre tradizioni possono rappresentare una ricchezza di soluzioni anche per la Chiesa latina.
Per esempio?
GRÉGOIRE III: Per esempio, alcuni anche in Occidente vorrebbero che nella scelta dei vescovi fossero più coinvolte le Chiese locali. Si potrebbe verificare se nelle nostre pratiche tradizionali ci sono elementi adattabili con la struttura socio-culturale della Chiesa latina.
Ma proprio riguardo alle nomine dei vescovi, da parte delle Chiese orientali si registra talvolta un certo malessere.
GRÉGOIRE III: Per centocinquant’anni abbiamo eletto i nostri vescovi senza interferenze di Roma, benché nessuno avesse mai negato a Roma il diritto di intervenire, e a noi il diritto di ricorrere a Roma. Semplicemente, Roma non interveniva de facto. Per tutto quel tempo abbiamo eletto vescovi buoni. Non capisco perché adesso non possiamo farlo.
E quando è cambiato tutto questo?
GRÉGOIRE III: La prassi è cambiata dal Vaticano II. Questo è davvero strano. È strano che dopo il Vaticano II, invece di esserci più libertà e autonomia per le Chiese orientali, si siano ristretti gli spazi.
Il patriarca
di Antiochia Grégoire III Laham
Lei una
volta ha detto: «Con tutto il rispetto per il ministero petrino, il ministero
patriarcale è uguale a esso».
GRÉGOIRE III: Veramente io dico sempre: sono cum Petro ma non sub Petro. Se fossi sub Petro, sarei sottomesso, e non potrei avere una vera comunione franca, sincera, forte e libera col Papa. Quando abbracci un amico, non stai “sotto”. Lo abbracci stando alla stessa altezza, se no non sarebbe un vero abbraccio. Unita manent, le cose unite rimangono.
Ma vuol dire che il legame con la Chiesa di Roma vi sta un po’ stretto?
GRÉGOIRE III: Macché! Il papato, a partire da Giovanni XXIII, è l’autorità più aperta del mondo. Non c’è in nessuna altra Chiesa una apertura e una prassi così democratica come nella Chiesa di Roma. Ma poi ci sono quelli che vogliono apparire come i super-cattolici, e allora insistono sempre e solo sul sub Petro e sub Roma. E così, secondo me, contraddicono il senso veridico del papato stesso, il suo ministero di confermare i fratelli nella fede. Noi abbiamo sofferto per la comunione con Roma. Per centocinquant’anni abbiamo detto messa nelle catacombe, a Damasco, perché ci era proibito farlo in pubblico per la nostra comunione col vescovo di Roma. Siamo più romani dei romani! Per questo vogliamo avvalerci di questa comunione come di una ricchezza, un dono, un aiuto per la nostra fede. Come dice san Giovanni, è la nostra fede la nostra sola vittoria.
GRÉGOIRE III: Veramente io dico sempre: sono cum Petro ma non sub Petro. Se fossi sub Petro, sarei sottomesso, e non potrei avere una vera comunione franca, sincera, forte e libera col Papa. Quando abbracci un amico, non stai “sotto”. Lo abbracci stando alla stessa altezza, se no non sarebbe un vero abbraccio. Unita manent, le cose unite rimangono.
Ma vuol dire che il legame con la Chiesa di Roma vi sta un po’ stretto?
GRÉGOIRE III: Macché! Il papato, a partire da Giovanni XXIII, è l’autorità più aperta del mondo. Non c’è in nessuna altra Chiesa una apertura e una prassi così democratica come nella Chiesa di Roma. Ma poi ci sono quelli che vogliono apparire come i super-cattolici, e allora insistono sempre e solo sul sub Petro e sub Roma. E così, secondo me, contraddicono il senso veridico del papato stesso, il suo ministero di confermare i fratelli nella fede. Noi abbiamo sofferto per la comunione con Roma. Per centocinquant’anni abbiamo detto messa nelle catacombe, a Damasco, perché ci era proibito farlo in pubblico per la nostra comunione col vescovo di Roma. Siamo più romani dei romani! Per questo vogliamo avvalerci di questa comunione come di una ricchezza, un dono, un aiuto per la nostra fede. Come dice san Giovanni, è la nostra fede la nostra sola vittoria.