Ho letto con sorpresa un endorsement di Hans Kung verso Papa Bergoglio , queste sue affermazioni mi ricordano quanto avevo già letto sempre dallo stesso teologo a seguito del famoso incontro tra Kung e Benedetto XVI.
Per quanto in prima battuta , l'appoggio di Kung a Bergoglio sembri di cattivo auspicio per il pontificato di Francesco (visto il sostegno di Kung ci aspettiamo un progressista) , non dobbiamo preoccuparci , perchè questa "manfrina" il professor Kung la fece anche verso Papa Benedetto.
Vediamo cosa scrisse sul NYTimes a seguito dell'incontro nel 2006 con Benedetto XVI
A UN ANNO DALL'ELEZIONE, RATZINGER PUO' REALIZZARE RIFORME CHE PER UN PAPA PROGRESSISTA SAREBBERO MOLTO PIU' DIFFICILI
Benedetto XVI, le soprese di un conservatore
13/4/2006 - di Hans Küng
Non ho mai nascosto il mio fortissimo disappunto per il Conclave
Papa Benedetto XVI durante la processione della domenica delle Palme che ha scelto come Papa il cardinale Joseph Ratzinger, capo della Congregazione per la Dottrina della fede, che una volta si chiamava Inquisizione. Cionondimeno, Benedetto XVI merita una chance. Quindi, nonostante il mio scetticismo ho sospeso il giudizio e ho chiesto un’udienza personale al nuovo Papa.
Per 27 lunghi anni avevo atteso invano una risposta alle mie lettere a Giovanni Paolo II, perciò si può intuire quanto fossi sorpreso e felice allorché, avendo scritto a Benedetto il 30 maggio 2005, ho ricevuto una sua amichevole risposta già il 15 giugno: il nuovo Papa era pronto a una «amichevole conversazione» con me.
La conversazione ebbe luogo il 24 settembre nella residenza estiva papale di Castel Gandolfo e durò quattro ore intere. Per molte persone in tutto il mondo fu un segno di speranza, perché noi due, pur avendo preso strade diverse e adottato punti di vista differenti, continuavamo ad avere qualcosa di decisivo in comune: entrambi cristiani, al servizio della stessa Chiesa, e nonostante le controversie ci rispettavamo l’un l’altro.
A nascondere le divergenze non abbiamo nemmeno provato. Volevo illustrargli le preoccupazioni di una grande e importante parte della Chiesa cattolica. Al messaggio che gli avevo spedito avevo allegato la mia «Lettera aperta ai cardinali» pubblicata poco prima del Conclave e intesa a rendere note le mie opinioni sul corso futuro della Chiesa e a stilare un programma complessivo di riforme. Tuttavia non mi sembrava che avesse senso dedicare la nostra conversazione personale ai dettagli di tali riforme, visto che su di esse io e papa Benedetto abbiamo idee completamente differenti.
Parlando in generale, i miei auspici non andavano a un altro Papa da mass media ma a un Papa pastore orientato all’ecumenismo. E qui vedo segni di speranza. Il nuovo Papa è uno studioso posato e riflessivo, non è costantemente impegnato in grandi apparizioni pubbliche, inoltre ha ridotto sia il numero dei viaggi all’estero sia quello delle udienze a Roma.
È il supremo pastore che procede per passi più lenti e più brevi, si prende il suo tempo e preferisce promuovere piccoli cambiamenti che ne provocano altri più grandi. Brevi occasioni di libera discussione nell’ultimo Sinodo dei vescovi e il suo invito ai cardinali a esprimere le loro opinioni liberamente hanno offerto come minimo un avvio di collegialità. In breve, Benedetto è un conservatore con qualche apertura. Comunque non è il tipo del conservatore rigido e può riservare al mondo qualche sorpresa, come ha fatto quando mi ha rapidamente concesso un colloquio.
So che molti osservatori sono scettici su questo pontificato e si chiedono: «Può un leopardo cambiare le sue macchie?». Io resto un realista, ma non voglio rinunciare alla speranza. Le cose vanno di rado come uno spera, ma è altrettanto raro che vadano così male come uno teme. E allora, dove sta portando la Chiesa Benedetto XVI? La domanda è di portata politica mondiale, non solo per i cattolici e per gli altri cristiani ma anche per chi si riconosce in altre fedi e per gli uomini e le donne secolari attivi in politica, nell’economia e nel mondo accademico.
Dopotutto, col suo miliardo e passa di fedeli attivi o nominali, la Chiesa cattolica è il più grande corpo religioso multinazionale del mondo, dotato di un’organizzazione interna abbastanza stretta da farne un efficiente protagonista globale, a dispetto di tante sue debolezze. Capi di Stato e di governo di tutto il mondo sono convenuti a San Pietro per i funerali di Giovanni Paolo, e non lo hanno fatto solo per ragioni di devozione.
Quasi indipendentemente dalla sua persona, il Papa è una potenza spirituale e per moltissimi giovani e vecchi è una credibile figura morale in cui identificarsi. Pertanto la direzione che prenderà la Chiesa cattolica è di importanza globale, e sono globali le questioni che io e Benedetto abbiamo discusso a Castel Gandolfo. In particolare riguardo a tre aree problematiche per le quali io spero in qualche progresso dal nuovo papato.
Innanzitutto c’è la relazione fra la fede cristiana e la scienza (e le discipline secolari in genere). La razionalità della fede è sempre stata importante per il Ratzinger teologo, e nel comunicato congiunto seguente al nostro incontro il Papa ha «condiviso la preoccupazione del professor Küng sulla necessità di riavviare il dialogo tra fede e scienza».
Però io non conosco la portata di tale condivisione. È limitata a questioni fisiche, biologiche e teologiche sull’origine del cosmo, della vita e dell’umanità, o può essere estesa a una discussione razionale su temi di biologia e di medicina, quali la ricerca sugli embrioni, il controllo delle nascite e l’inseminazione artificiale?
Poi abbiamo discusso del dialogo fra le religioni. Benedetto si è espresso in varie occasioni contro l’idea dello «scontro di civiltà». Inoltre è convinto che non ci sarà pace fra le nazioni senza pace fra le religioni, e nessuna pace fra queste senza dialogo fra loro. Perciò nel comunicato stampa ho potuto esprimere la mia «approvazione per l’interesse del Papa nei confronti del dialogo fra le religioni e i vari gruppi sociali del mondo moderno».
Anche su questo, tuttavia, mi è rimasta una domanda: dati i difetti della cristianità e i tratti positivi delle altre fedi, questo Papa sarà capace di rendere compatibile la convinzione della verità della sua propria fede con il rispetto della verità delle altre fedi?
Terzo e ultimo punto, abbiamo parlato dell’importanza di un’etica umana condivisa. Benedetto comprende che «il progetto etico globale non è una costruzione intellettuale», semmai si tratta di mettere in luce «i valori morali sui quali le grandi religioni del mondo convergono, a dispetto di tutte le loro differenze. Con questa loro ricchezza di significato, tali religioni possono mostrarsi capaci di fornire criteri validi anche per la ragione secolare».
Ma anche qui si pone una domanda: al prossimo meeting interreligioso, di Assisi o altrove, ci saranno solo preghiere o sarà possibile definire gli standard etici condivisi dalle religioni? Naturalmente non nutrivo alcuna illusione di intesa fra Benedetto e me. Di comune accordo ci siamo concentrati su questioni di politica «estera» della Chiesa, toccando solo di passaggio quelle di politica «interna». Ma la Chiesa cattolica si trova in una crisi così seria, radicata in questioni «interne», che nessun Papa può pensare ragionevolmente di mettere tali questioni da parte indefinitamente.
Benedetto deve scegliere fra un’ulteriore ritirata nel mondo premoderno e pre-Riforma del Medioevo, oppure può optare per una strategia lungimirante che porti la Chiesa nell’universo postmoderno in cui il resto del mondo è entrato già da tempo.
Il Papa può decidere di ritirarsi - ma non credo che lo farà. Oppure può decidere si stare fermo dov’è - ma limitarsi a celebrare il papato, anziché aiutare la Chiesa nelle sue necessità, equivarrebbe a fare passi indietro. O infine può decidere di andare avanti, e questo è quel che io e innumerevoli altre persone dentro e fuori la Chiesa cattolica ci auguriamo che faccia. Il Papa si rende conto che la situazione della Chiesa è seria. Giovanni Paolo II non è riuscito a convertire molte persone ai suoi punti di vista rigorosi, soprattutto in materia di morale sessuale, nonostante tutti i suoi discorsi e i suoi viaggi. Tali sue visioni sono rigettate dalla schiacciante maggioranza dei cattolici e dei parlamenti nazionali, persino nella natìa Polonia. Tutte le sue encicliche e il suo catechismo, i suoi decreti e le sue sanzioni disciplinari, tutte le pressioni vaticane, palesi o occulte, sui suoi oppositori non hanno sortito praticamente nulla. Forse Benedetto percepisce che la campagna di ri-evangelizzazione dell’Europa ha suscitato paure di imperialismo spirituale romano e hanno contribuito al rigetto della menzione di Dio e della cristianità nel preambolo della Costituzione europea. Le messe oceaniche del precedente Papa, per quanto bene organizzate ed efficaci sui media, non sono riuscite a nascondere il fatto che le cose non vanno bene per la Chiesa. C’è un profondo divario fra quello che la gerarchia comanda e quello in cui i membri della Chiesa credono davvero, un divario che si riflette sulla maniera in cui essi vivono. La frequentazione delle chiese è in declino, al pari dei matrimoni religiosi. La pratica della confessione è scomparsa nella maggior parte dei Paesi occidentali. I ranghi del sacerdozio si assottigliano e mancano i rimpiazzi, in parte anche perché la credibilità dei preti è stata scossa dagli scandali di pedofilia che dagli Stati Uniti e dall’Irlanda si sono estesi fino all’Austria e alla Polonia.
Fino a quando perseguirà il primato assoluto di Roma, il Papa avrà la maggioranza della cristianità contro di sé. Solo se abbraccerà il modello di Giovanni XXIII e cercherà di praticare un primato pastorale di servizio, rinnovato alla luce del Vangelo e dell’impegno per la libertà, potrà essere garanzia di apertura nella Chiesa e fare da bussola morale per il mondo.
Se Benedetto XVI saprà guidare la Chiesa fuori da questa crisi di fiducia e di speranza, porterà quella che Karl Rahner ha definito la «Chiesa dell’inverno» a una nuova primavera. Egli conosce la Curia e l’episcopato meglio di chiunque altro, e a differenza del suo predecessore è anche un buon amministratore e un valente studioso. Uno dei suoi rivali al Conclave mi ha detto che, se volesse, Benedetto potrebbe realizzare le riforme che un Papa più progressista avrebbe più difficoltà a fare.
Tante persone dentro e fuori della Chiesa cattolica aspettano che si rompa lo stallo delle riforme durato per un quarto di secolo. Desiderano che i problemi strutturali di lungo termine della Chiesa vengano discussi apertamente, e vogliono che vengano trovate delle soluzioni, sia che ciò venga fatto dal nuovo Papa personalmente o dal Sinodo dei vescovi o da un Terzo Concilio Vaticano.
Per quanto in prima battuta , l'appoggio di Kung a Bergoglio sembri di cattivo auspicio per il pontificato di Francesco (visto il sostegno di Kung ci aspettiamo un progressista) , non dobbiamo preoccuparci , perchè questa "manfrina" il professor Kung la fece anche verso Papa Benedetto.
Vediamo cosa scrisse sul NYTimes a seguito dell'incontro nel 2006 con Benedetto XVI
A UN ANNO DALL'ELEZIONE, RATZINGER PUO' REALIZZARE RIFORME CHE PER UN PAPA PROGRESSISTA SAREBBERO MOLTO PIU' DIFFICILI
Benedetto XVI, le soprese di un conservatore
13/4/2006 - di Hans Küng
Non ho mai nascosto il mio fortissimo disappunto per il Conclave
Papa Benedetto XVI durante la processione della domenica delle Palme che ha scelto come Papa il cardinale Joseph Ratzinger, capo della Congregazione per la Dottrina della fede, che una volta si chiamava Inquisizione. Cionondimeno, Benedetto XVI merita una chance. Quindi, nonostante il mio scetticismo ho sospeso il giudizio e ho chiesto un’udienza personale al nuovo Papa.
Per 27 lunghi anni avevo atteso invano una risposta alle mie lettere a Giovanni Paolo II, perciò si può intuire quanto fossi sorpreso e felice allorché, avendo scritto a Benedetto il 30 maggio 2005, ho ricevuto una sua amichevole risposta già il 15 giugno: il nuovo Papa era pronto a una «amichevole conversazione» con me.
La conversazione ebbe luogo il 24 settembre nella residenza estiva papale di Castel Gandolfo e durò quattro ore intere. Per molte persone in tutto il mondo fu un segno di speranza, perché noi due, pur avendo preso strade diverse e adottato punti di vista differenti, continuavamo ad avere qualcosa di decisivo in comune: entrambi cristiani, al servizio della stessa Chiesa, e nonostante le controversie ci rispettavamo l’un l’altro.
A nascondere le divergenze non abbiamo nemmeno provato. Volevo illustrargli le preoccupazioni di una grande e importante parte della Chiesa cattolica. Al messaggio che gli avevo spedito avevo allegato la mia «Lettera aperta ai cardinali» pubblicata poco prima del Conclave e intesa a rendere note le mie opinioni sul corso futuro della Chiesa e a stilare un programma complessivo di riforme. Tuttavia non mi sembrava che avesse senso dedicare la nostra conversazione personale ai dettagli di tali riforme, visto che su di esse io e papa Benedetto abbiamo idee completamente differenti.
Parlando in generale, i miei auspici non andavano a un altro Papa da mass media ma a un Papa pastore orientato all’ecumenismo. E qui vedo segni di speranza. Il nuovo Papa è uno studioso posato e riflessivo, non è costantemente impegnato in grandi apparizioni pubbliche, inoltre ha ridotto sia il numero dei viaggi all’estero sia quello delle udienze a Roma.
È il supremo pastore che procede per passi più lenti e più brevi, si prende il suo tempo e preferisce promuovere piccoli cambiamenti che ne provocano altri più grandi. Brevi occasioni di libera discussione nell’ultimo Sinodo dei vescovi e il suo invito ai cardinali a esprimere le loro opinioni liberamente hanno offerto come minimo un avvio di collegialità. In breve, Benedetto è un conservatore con qualche apertura. Comunque non è il tipo del conservatore rigido e può riservare al mondo qualche sorpresa, come ha fatto quando mi ha rapidamente concesso un colloquio.
So che molti osservatori sono scettici su questo pontificato e si chiedono: «Può un leopardo cambiare le sue macchie?». Io resto un realista, ma non voglio rinunciare alla speranza. Le cose vanno di rado come uno spera, ma è altrettanto raro che vadano così male come uno teme. E allora, dove sta portando la Chiesa Benedetto XVI? La domanda è di portata politica mondiale, non solo per i cattolici e per gli altri cristiani ma anche per chi si riconosce in altre fedi e per gli uomini e le donne secolari attivi in politica, nell’economia e nel mondo accademico.
Dopotutto, col suo miliardo e passa di fedeli attivi o nominali, la Chiesa cattolica è il più grande corpo religioso multinazionale del mondo, dotato di un’organizzazione interna abbastanza stretta da farne un efficiente protagonista globale, a dispetto di tante sue debolezze. Capi di Stato e di governo di tutto il mondo sono convenuti a San Pietro per i funerali di Giovanni Paolo, e non lo hanno fatto solo per ragioni di devozione.
Quasi indipendentemente dalla sua persona, il Papa è una potenza spirituale e per moltissimi giovani e vecchi è una credibile figura morale in cui identificarsi. Pertanto la direzione che prenderà la Chiesa cattolica è di importanza globale, e sono globali le questioni che io e Benedetto abbiamo discusso a Castel Gandolfo. In particolare riguardo a tre aree problematiche per le quali io spero in qualche progresso dal nuovo papato.
Innanzitutto c’è la relazione fra la fede cristiana e la scienza (e le discipline secolari in genere). La razionalità della fede è sempre stata importante per il Ratzinger teologo, e nel comunicato congiunto seguente al nostro incontro il Papa ha «condiviso la preoccupazione del professor Küng sulla necessità di riavviare il dialogo tra fede e scienza».
Però io non conosco la portata di tale condivisione. È limitata a questioni fisiche, biologiche e teologiche sull’origine del cosmo, della vita e dell’umanità, o può essere estesa a una discussione razionale su temi di biologia e di medicina, quali la ricerca sugli embrioni, il controllo delle nascite e l’inseminazione artificiale?
Poi abbiamo discusso del dialogo fra le religioni. Benedetto si è espresso in varie occasioni contro l’idea dello «scontro di civiltà». Inoltre è convinto che non ci sarà pace fra le nazioni senza pace fra le religioni, e nessuna pace fra queste senza dialogo fra loro. Perciò nel comunicato stampa ho potuto esprimere la mia «approvazione per l’interesse del Papa nei confronti del dialogo fra le religioni e i vari gruppi sociali del mondo moderno».
Anche su questo, tuttavia, mi è rimasta una domanda: dati i difetti della cristianità e i tratti positivi delle altre fedi, questo Papa sarà capace di rendere compatibile la convinzione della verità della sua propria fede con il rispetto della verità delle altre fedi?
Terzo e ultimo punto, abbiamo parlato dell’importanza di un’etica umana condivisa. Benedetto comprende che «il progetto etico globale non è una costruzione intellettuale», semmai si tratta di mettere in luce «i valori morali sui quali le grandi religioni del mondo convergono, a dispetto di tutte le loro differenze. Con questa loro ricchezza di significato, tali religioni possono mostrarsi capaci di fornire criteri validi anche per la ragione secolare».
Ma anche qui si pone una domanda: al prossimo meeting interreligioso, di Assisi o altrove, ci saranno solo preghiere o sarà possibile definire gli standard etici condivisi dalle religioni? Naturalmente non nutrivo alcuna illusione di intesa fra Benedetto e me. Di comune accordo ci siamo concentrati su questioni di politica «estera» della Chiesa, toccando solo di passaggio quelle di politica «interna». Ma la Chiesa cattolica si trova in una crisi così seria, radicata in questioni «interne», che nessun Papa può pensare ragionevolmente di mettere tali questioni da parte indefinitamente.
Benedetto deve scegliere fra un’ulteriore ritirata nel mondo premoderno e pre-Riforma del Medioevo, oppure può optare per una strategia lungimirante che porti la Chiesa nell’universo postmoderno in cui il resto del mondo è entrato già da tempo.
Il Papa può decidere di ritirarsi - ma non credo che lo farà. Oppure può decidere si stare fermo dov’è - ma limitarsi a celebrare il papato, anziché aiutare la Chiesa nelle sue necessità, equivarrebbe a fare passi indietro. O infine può decidere di andare avanti, e questo è quel che io e innumerevoli altre persone dentro e fuori la Chiesa cattolica ci auguriamo che faccia. Il Papa si rende conto che la situazione della Chiesa è seria. Giovanni Paolo II non è riuscito a convertire molte persone ai suoi punti di vista rigorosi, soprattutto in materia di morale sessuale, nonostante tutti i suoi discorsi e i suoi viaggi. Tali sue visioni sono rigettate dalla schiacciante maggioranza dei cattolici e dei parlamenti nazionali, persino nella natìa Polonia. Tutte le sue encicliche e il suo catechismo, i suoi decreti e le sue sanzioni disciplinari, tutte le pressioni vaticane, palesi o occulte, sui suoi oppositori non hanno sortito praticamente nulla. Forse Benedetto percepisce che la campagna di ri-evangelizzazione dell’Europa ha suscitato paure di imperialismo spirituale romano e hanno contribuito al rigetto della menzione di Dio e della cristianità nel preambolo della Costituzione europea. Le messe oceaniche del precedente Papa, per quanto bene organizzate ed efficaci sui media, non sono riuscite a nascondere il fatto che le cose non vanno bene per la Chiesa. C’è un profondo divario fra quello che la gerarchia comanda e quello in cui i membri della Chiesa credono davvero, un divario che si riflette sulla maniera in cui essi vivono. La frequentazione delle chiese è in declino, al pari dei matrimoni religiosi. La pratica della confessione è scomparsa nella maggior parte dei Paesi occidentali. I ranghi del sacerdozio si assottigliano e mancano i rimpiazzi, in parte anche perché la credibilità dei preti è stata scossa dagli scandali di pedofilia che dagli Stati Uniti e dall’Irlanda si sono estesi fino all’Austria e alla Polonia.
Fino a quando perseguirà il primato assoluto di Roma, il Papa avrà la maggioranza della cristianità contro di sé. Solo se abbraccerà il modello di Giovanni XXIII e cercherà di praticare un primato pastorale di servizio, rinnovato alla luce del Vangelo e dell’impegno per la libertà, potrà essere garanzia di apertura nella Chiesa e fare da bussola morale per il mondo.
Se Benedetto XVI saprà guidare la Chiesa fuori da questa crisi di fiducia e di speranza, porterà quella che Karl Rahner ha definito la «Chiesa dell’inverno» a una nuova primavera. Egli conosce la Curia e l’episcopato meglio di chiunque altro, e a differenza del suo predecessore è anche un buon amministratore e un valente studioso. Uno dei suoi rivali al Conclave mi ha detto che, se volesse, Benedetto potrebbe realizzare le riforme che un Papa più progressista avrebbe più difficoltà a fare.
Tante persone dentro e fuori della Chiesa cattolica aspettano che si rompa lo stallo delle riforme durato per un quarto di secolo. Desiderano che i problemi strutturali di lungo termine della Chiesa vengano discussi apertamente, e vogliono che vengano trovate delle soluzioni, sia che ciò venga fatto dal nuovo Papa personalmente o dal Sinodo dei vescovi o da un Terzo Concilio Vaticano.
Vediamo ora cosa Kung ha detto in occasione dell'elezione di Papa Francesco
“Ci colleghiamo con Tübingen, con il noto teologo e professore Hans Küng, benvenuto su euronews.Lo spettacolo mediatico gigantesco che si è svolto a Roma, si è concluso con una elezione sorpresa. Sarà un Papa di transizione, viste le condizioni di salute?”
Hans Küng:
“Non mi preoccupo per questo. Non sarà un papa di transizione. Giovanni XXIII è stato in carica solo 5 anni, ed ha cambiato la Chiesa più di chiunque altro nei 500 anni precedenti.
Il nuovo Papa ha già mostrato di saper incidere cambiando l’atmosfera con il suo atteggimaneto semplice e sobrio”.
euronews:
“Come dobbiamo interpretare questa scelta? Francesco sarà il papa dei poveri? Proviene da un paese a maggioranza cattolica e con molti problemi sociali”
Hans Küng:
“Non darà certo la priorità ai problemi tra oriente e occidente, come i due Pontefici precedenti. Più probabilmente a quello tra nord e sud, oltre che alla condizione dei poveri del mondo. Questa scelta ha molte implicazioni morali. Penso alla sovrappopolazione, al controllo delle nascite, che torneranno al centro del dibattito”.
euronews:
“Quale sarà il compito più urgente che dovrà svolgere questo nuovo Papa? Fare pulizia dopo gli scandali sugli abusi sessuali e Vatileaks?”
Hans Küng:
“Certo. Il nuovo Papa è l’unico a poter consultare i rapporti secretati che sono stati redatti per il suo predecessore, Papa Ratzinger. Si renderà conto di ciò che è accaduto e chi non è affidabile nella Curia.
La riforma di quest’ultima è la missione più importante, per poter definire come la Chiesa vada guidata. È importante la scelta del giusto Segretario di stato, che non confermi i capi esistenti dei ministeri, portandovi persone competenti per poter davvero riformare la Chiesa. La cosa più urgente è la riforma della Curia romana, che deve funzionare davvero, non fare ostruzionismo”.
euronews:
“Quanto bisogno di Chiesa c‘è al giorno d’oggi? Che cosa ci aspettiamo dalla Chiesa oggi?”
Hans Küng:
“La Chiesa può diventare un’autorità morale se funziona correttamente. Ma per diventarlo bisogna bandire i comportamenti farisaici. Non puntare il dito contro con moralismo, ma mostrare comprensione per le difficoltà della gente e anche essere solidali con le altre chiese cristiane e le altre religioni del mondo. Deve impegnarsi per la pace nel mondo. Sono compiti giganteschi e spero davvero che questo Papa faccia di più per il rinnovamento della Chiesa, di più per l’ecumenismo, di più per la pace e per il benessere del mondo rispetto ai suoi due predecessori.
Diffidare dalle imitazioni , diffidare da Kung , fidarsi del Papa Francesco come si è fatto per Benedetto XVI