Benedetto XVI ha indetto un anno della fede. Lo aveva già fatto Paolo VI nel 1967. A quel tempo, sia lei che Joseph Ratzinger eravate due giovani teologi nel fiore degli anni. Come ricorda quella scelta di papa Montini?
WALTER KASPER: Erano gli anni subito dopo il Concilio. Passato il grande entusiasmo, nella Chiesa sembrava di vivere una specie di collasso. Sembrava che la fede stesse venendo meno, proprio mentre negli ambienti ecclesiastici si stava discutendo delle riforme necessarie nella Chiesa per riproporre l’annuncio cristiano nella realtà di questo tempo. Ratzinger in quel tempo scrisse Introduzione al cristianesimo. Io ho scritto Introduzione alla fede. In quel contesto, Paolo VI ebbe l’intuizione di indire l’anno della fede, che si concluse con la proclamazione del Credo del popolo di Dio. Voleva indicare a tutti che il cuore di tutto è la fede. Anche le riforme sono utili e necessarie quando favoriscono la vita di fede e la salvezza di tutti i fedeli. Negli ultimi giorni ho riletto Bernardo di Chiaravalle: anche la sua grande riforma era solo una ripartenza nella fede. Come scriveva Yves Congar, «le riforme riuscite nella Chiesa sono quelle fatte in funzione dei bisogni concreti delle anime».
Perché indire un anno della fede proprio adesso?
C’è una crisi. Lo si vede soprattutto in Europa. È evidente in Germania. Ma se parlo coi vescovi italiani, mi raccontano le stesse cose. Soprattutto tra i giovani, molti non hanno alcun contatto reale con la vita della Chiesa e coi sacramenti. Se si parla di nuova evangelizzazione, non si può che prendere atto di questo. Altrimenti si finisce per far cose accademiche.
Eppure, Benedetto XVI inizia la Lettera di indizione di questo anno speciale dicendo che «la porta della fede è sempre aperta per noi». Cosa indica questo incipit?
È Dio che tiene aperta la porta della fede, per noi e per tutti. Non siamo noi che possiamo o dobbiamo agitarci per aprirla. Per questo l’inizio della fede è sempre possibile. Non si tratta di una nostra conquista. La fede ha il carattere di un dono che sopravviene, non si può dedurre, non si può “produrre”. Anche per questo è stato importante l’invito rivolto dal Papa agli agnostici nella recente giornata di Assisi. Nella secolarizzazione, Dio ha le sue vie per toccare i cuori di ogni uomo. Di quelli che cercano e anche di quelli che non cercano. E sono vie che noi non conosciamo.
Ad Assisi Benedetto XVI ha parlato proprio degli agnostici in termini non certo di contrapposizione.
Il Papa ha detto che gli agnostici aiutano i credenti «a non considerare Dio loro proprietà». Dio non è un possesso di chi crede. Della fede non si può dire: io la possiedo, altri no… Anche i credenti che hanno ricevuto il dono della fede sono in pellegrinaggio. E non si può mai pretendere di anticipare tale dono come comprensione posseduta di un sapere concettuale. A volte, nella Chiesa, proprio davanti all’incredulità e all’agnosticismo ci si arrocca e si dà l’impressione di considerare la fede come un possesso. Come se il problema fosse fare dispute e battaglie con chi non crede… Quasi si perde di vista che Cristo è morto per tutti.................
SEGUE ARTICOLO QUI
WALTER KASPER: Erano gli anni subito dopo il Concilio. Passato il grande entusiasmo, nella Chiesa sembrava di vivere una specie di collasso. Sembrava che la fede stesse venendo meno, proprio mentre negli ambienti ecclesiastici si stava discutendo delle riforme necessarie nella Chiesa per riproporre l’annuncio cristiano nella realtà di questo tempo. Ratzinger in quel tempo scrisse Introduzione al cristianesimo. Io ho scritto Introduzione alla fede. In quel contesto, Paolo VI ebbe l’intuizione di indire l’anno della fede, che si concluse con la proclamazione del Credo del popolo di Dio. Voleva indicare a tutti che il cuore di tutto è la fede. Anche le riforme sono utili e necessarie quando favoriscono la vita di fede e la salvezza di tutti i fedeli. Negli ultimi giorni ho riletto Bernardo di Chiaravalle: anche la sua grande riforma era solo una ripartenza nella fede. Come scriveva Yves Congar, «le riforme riuscite nella Chiesa sono quelle fatte in funzione dei bisogni concreti delle anime».
Perché indire un anno della fede proprio adesso?
C’è una crisi. Lo si vede soprattutto in Europa. È evidente in Germania. Ma se parlo coi vescovi italiani, mi raccontano le stesse cose. Soprattutto tra i giovani, molti non hanno alcun contatto reale con la vita della Chiesa e coi sacramenti. Se si parla di nuova evangelizzazione, non si può che prendere atto di questo. Altrimenti si finisce per far cose accademiche.
Eppure, Benedetto XVI inizia la Lettera di indizione di questo anno speciale dicendo che «la porta della fede è sempre aperta per noi». Cosa indica questo incipit?
È Dio che tiene aperta la porta della fede, per noi e per tutti. Non siamo noi che possiamo o dobbiamo agitarci per aprirla. Per questo l’inizio della fede è sempre possibile. Non si tratta di una nostra conquista. La fede ha il carattere di un dono che sopravviene, non si può dedurre, non si può “produrre”. Anche per questo è stato importante l’invito rivolto dal Papa agli agnostici nella recente giornata di Assisi. Nella secolarizzazione, Dio ha le sue vie per toccare i cuori di ogni uomo. Di quelli che cercano e anche di quelli che non cercano. E sono vie che noi non conosciamo.
Ad Assisi Benedetto XVI ha parlato proprio degli agnostici in termini non certo di contrapposizione.
Il Papa ha detto che gli agnostici aiutano i credenti «a non considerare Dio loro proprietà». Dio non è un possesso di chi crede. Della fede non si può dire: io la possiedo, altri no… Anche i credenti che hanno ricevuto il dono della fede sono in pellegrinaggio. E non si può mai pretendere di anticipare tale dono come comprensione posseduta di un sapere concettuale. A volte, nella Chiesa, proprio davanti all’incredulità e all’agnosticismo ci si arrocca e si dà l’impressione di considerare la fede come un possesso. Come se il problema fosse fare dispute e battaglie con chi non crede… Quasi si perde di vista che Cristo è morto per tutti.................
SEGUE ARTICOLO QUI