BOGOTÀ-ADISTA. «Quando l’aborto è stato depenalizzato in questi tre casi, io ho detto: “Bene”». Era il 13 novembre scorso quando mons. Rubén Salazar Gomez,
arcivescovo di Bogotà e presidente della Conferenza episcopale del suo
Paese, faceva, in un’intervista al quotidiano colombiano El Tiempo,
questa affermazione. Incauta, tanto più che stava per essere “creato”
cardinale (cerimonia avvenuta il 25 novembre, ad un mese dalla nomina).
Tanto incauta da spingerlo ad una precisazione, essendosi reso conto che
le sue parole, «hanno potuto suscitare serie inquietudini» e che perciò
sia «necessario (…) correggere qualche ambiguità alle quali esse hanno
potuto da luogo». Il sospetto che si tratti però di “obbedienza dovuta” –
ovvero che la precisazione gli sia stata comandata dal Vaticano e
magari richiesta anche da suoi confratelli – scatta nel momento in cui
si va a guardare la data della precisazione: 22 novembre. Era più di una
settimana che circolava l’intervista, creando sconcerto, per quel che
se ne sa, solo nelle associazioni “pro-vita” latinoamericane. E qui
bisogna precisare quali sono “questi tre casi” in cui la legge in
Colombia – a seguito di una sentenza della Corte Costituzionale del 2012
– “depenalizza” l’aborto: quando «la continuazione della gravidanza
costituisce pericolo per la vita o la salute della donna», «quando si
accerti nel feto una grave malformazione che possa risultargli fatale»,
«quando la gravidanza è frutto di violenza carnale o di inseminazione
artificiale senza il consenso della donna o di incesto». Con ciò la
legislazione colombiana, lungi dal definire l’aborto un diritto, si
limita ad evitare che le donne siano considerate – non può che essere
d’accordo Rubén Salazar – meno che fattrici.
Tre sono anche i punti precisati dal neocardinale (peraltro noto per posizioni ecclesiali fedelissime al magistero “romano”). Due di essi riguardano l’interruzione della gravidanza: «L’aborto è un crimine abominevole. Pertanto la sua depenalizzazione non è accettabile in nessun caso, tanto meno considerarlo e dichiararlo un diritto. Ancora un volta ripeto chiaramente il mio rifiuto nei confronti della sentenza della Corte Costituzionale che lo ha depenalizzato in alcuni casi»; «l’embrione ha vita propria», «è distinto dalla donna», «va trattato con tutto il dovuto rispetto in ogni fase del suo sviluppo».
L’ultimo punto ha per oggetto l’eutanasia, esistendo in Colombia un progetto di legge che potrebbe dare al medico potere decisionale in merito. Ma «se l’eutanasia fosse una scelta esclusivamente della persona» in sofferenza?, domandava El Tiempo. «Potremmo pensare di guardare le cose con maggiore ampiezza», rispondeva il card. Salazar. «Del progetto di legge in discussione mi pare terribile che possa essere il medico a dire l’ultima parola, magari perché l’ospedale ha bisogno di un letto libero».
Marcia indietro nel comunicato del 22 novembre: «In nessun momento, per nessun motivo, l’essere umano – dichiara – può disporre della propria vita né di quella degli altri (…). Ratifico nuovamente il mio rifiuto di quasiasi legge dello Stato che pretenda di legalizzare simili pratiche». Tanto doveva.
Sgarbi diplomatici
Al concistoro del 25 novembre per la creazione di 6 nuovi cardinali, Rubén Salazar è stato “lasciato solo”. Lo denuncia p. Pedro Mercado, incaricato delle relazioni fra la Conferenza episcopale e lo Stato. Era presente sì l’ambasciatore colombiano presso la Santa Sede, Germán Cardona, ma non una delegazione ufficiale governativa, come usa e come fatto anche questa volta dagli altri cinque Paesi. Sconcerto e sorpresa esprime il religioso, secondo il quale la gaffe diplomatica, per la quale sarà presentata protesta ufficiale, «evidenzia una certa mancanza di attenzione alla sensibilità cattolica del nostro popolo e ai grandi avvenimenti della Chiesa».
È la seconda scortesia del Paese latinoamericano verso il Vaticano in pochi mesi. Il 19 maggio scorso il governo ha annunciato il nome del nuovo ambasciatore – il succitato Cardona – poi insediatosi a Roma il 4 settembre, ma senza seguire il protocollo, ovvero senza attendere il beneplacito della Santa Sede. Innervosendo non poco quest’ultima, anche perché il precedente ambasciatore, César Mauricio Velásquez, stava lavorando ad una visita in Colombia di Benedetto XVI nella stessa occasione del viaggio che il papa dovrebbe fare in Brasile – dove sembra che chiuderà la Giornata Mondiale della Gioventù 2013 (28 luglio) – e non è diplomaticamente corretto cambiare i negoziatori in corso d’opera. (eletta cucuzza)
Tre sono anche i punti precisati dal neocardinale (peraltro noto per posizioni ecclesiali fedelissime al magistero “romano”). Due di essi riguardano l’interruzione della gravidanza: «L’aborto è un crimine abominevole. Pertanto la sua depenalizzazione non è accettabile in nessun caso, tanto meno considerarlo e dichiararlo un diritto. Ancora un volta ripeto chiaramente il mio rifiuto nei confronti della sentenza della Corte Costituzionale che lo ha depenalizzato in alcuni casi»; «l’embrione ha vita propria», «è distinto dalla donna», «va trattato con tutto il dovuto rispetto in ogni fase del suo sviluppo».
L’ultimo punto ha per oggetto l’eutanasia, esistendo in Colombia un progetto di legge che potrebbe dare al medico potere decisionale in merito. Ma «se l’eutanasia fosse una scelta esclusivamente della persona» in sofferenza?, domandava El Tiempo. «Potremmo pensare di guardare le cose con maggiore ampiezza», rispondeva il card. Salazar. «Del progetto di legge in discussione mi pare terribile che possa essere il medico a dire l’ultima parola, magari perché l’ospedale ha bisogno di un letto libero».
Marcia indietro nel comunicato del 22 novembre: «In nessun momento, per nessun motivo, l’essere umano – dichiara – può disporre della propria vita né di quella degli altri (…). Ratifico nuovamente il mio rifiuto di quasiasi legge dello Stato che pretenda di legalizzare simili pratiche». Tanto doveva.
Sgarbi diplomatici
Al concistoro del 25 novembre per la creazione di 6 nuovi cardinali, Rubén Salazar è stato “lasciato solo”. Lo denuncia p. Pedro Mercado, incaricato delle relazioni fra la Conferenza episcopale e lo Stato. Era presente sì l’ambasciatore colombiano presso la Santa Sede, Germán Cardona, ma non una delegazione ufficiale governativa, come usa e come fatto anche questa volta dagli altri cinque Paesi. Sconcerto e sorpresa esprime il religioso, secondo il quale la gaffe diplomatica, per la quale sarà presentata protesta ufficiale, «evidenzia una certa mancanza di attenzione alla sensibilità cattolica del nostro popolo e ai grandi avvenimenti della Chiesa».
È la seconda scortesia del Paese latinoamericano verso il Vaticano in pochi mesi. Il 19 maggio scorso il governo ha annunciato il nome del nuovo ambasciatore – il succitato Cardona – poi insediatosi a Roma il 4 settembre, ma senza seguire il protocollo, ovvero senza attendere il beneplacito della Santa Sede. Innervosendo non poco quest’ultima, anche perché il precedente ambasciatore, César Mauricio Velásquez, stava lavorando ad una visita in Colombia di Benedetto XVI nella stessa occasione del viaggio che il papa dovrebbe fare in Brasile – dove sembra che chiuderà la Giornata Mondiale della Gioventù 2013 (28 luglio) – e non è diplomaticamente corretto cambiare i negoziatori in corso d’opera. (eletta cucuzza)