Si invita ad una lettura attenta di questa relazione , per notare come la Chiesa debba necessariamente valutare sull'idoneità fisica e psichica del candidato.
“DISCERNIMENTO D’IDONEITA’ AGLI ORDINI
SACRI”
RELAZIONE DI S.E.
REV.MA
MONS. CELSO MORGA
IRUZUBIETA, ARCIVESCOVO
SEGRETARIO DELLA
CONGREGAZIONE PER IL CLERO
Nel salutare tutti Voi qui presenti e nel
ringraziare per il cordiale invito in modo particolare il Rev. Prof. Eduardo
Baura, Direttore del Centro di formazione sacerdotale presso questa Pontificia
Università della Santa Croce, vorrei iniziare questo mio intervento sul Discernimento d’idoneità agli ordini sacri
con alcune citazioni del beato Papa Giovanni Paolo II dall’Esortazione
apostolica post-sinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992): «Ogni
vocazione cristiana viene da Dio, è dono di Dio. Essa però non viene mai
elargita fuori o indipendentemente dalla Chiesa, ma passa sempre nella Chiesa e
mediante la Chiesa (...) luminoso e vivo riflesso del mistero della Trinità
santissima» (PDV n. 35b-c).
La Chiesa, «generatrice ed educatrice di
vocazioni» (PDV n. 35d), ha il compito di discernere la vocazione e l'idoneità
dei candidati al ministero sacerdotale. Infatti, «la chiamata interiore
dello Spirito Santo ha bisogno di essere riconosciuta come autentica chiamata
dal vescovo» (PDV n. 65d).
Nel promuovere tale discernimento e
nell'intera formazione al ministero, la Chiesa è mossa da una duplice
attenzione: salvaguardare il bene della propria missione e, allo stesso tempo,
quello dei candidati. Come ogni vocazione cristiana, la vocazione al
sacerdozio, infatti, unitamente alla dimensione cristologica, ha un'essenziale
dimensione ecclesiale: «non solo essa deriva “dalla” Chiesa e dalla sua
mediazione, non solo si fa riconoscere e si compie “nella” Chiesa, ma si
configura — nel fondamentale servizio a Dio — anche e necessariamente come
servizio “alla” Chiesa. La vocazione cristiana, in ogni sua forma, è un dono
destinato all'edificazione della Chiesa, alla crescita del Regno di Dio nel
mondo» (PDV n. 35e).
Quindi, il bene della Chiesa e quello del
candidato non sono tra loro contrapposti, bensì convergenti. I responsabili
della formazione sono impegnati ad armonizzarli tra loro, considerandoli sempre
simultaneamente nella loro dinamica interdipendenza: è, questo, un aspetto
essenziale della grande responsabilità del loro servizio alla Chiesa e alle
persone (cfr. PDV nn. 66-67).
Il ministero sacerdotale, inteso e vissuto come
conformazione a Cristo Sposo, Buon Pastore, richiede doti nonché virtù morali e
teologali, sostenute da equilibrio umano e psichico, particolarmente affettivo,
così da permettere al soggetto di essere adeguatamente predisposto a una
donazione di sé veramente libera nella relazione con i fedeli in una vita
celibataria (cfr. PDV nn. 43-44; Codex
Iuris Canonici, cann. 1029 e 1041, § 1).
Can.
1029 - Siano promossi agli ordini soltanto quelli che, per prudente giudizio
del Vescovo proprio o del Superiore maggiore competente, tenuto conto di tutte
le circostanze, hanno fede integra, sono mossi da retta intenzione, posseggono
la scienza debita, godono buona stima, sono di integri costumi e di provate
virtù e sono dotati di tutte quelle altre qualità fisiche e psichiche
congruenti con l'ordine che deve essere ricevuto.
Can.
1041 - Sono irregolari a ricevere gli ordini: §1 chi è affetto da qualche forma
di pazzia o da altra infermità psichica, per la quale, consultati i periti,
viene giudicato inabile a svolgere nel modo appropriato il ministero;
Tale normativa, essendo per la Chiesa cattolica sparsa nel mondo intero,
presuppone una diversità di caratteri, di provenienze culturali ecc. Parliamo
della Chiesa universale e, quindi, di culture ed estrazioni sociali molto
diverse, anche se a causa della globalizzazione tutto sembra uniformarsi. Nonostante
tale complessità mi urge sin dall’inizio rilevare che il Signore – se i
formatori sono attenti e loro stessi centrati sulla propria vocazione – offre
sempre segnali sufficienti per giudicare - non con assoluta sicurezza, che non
esiste in questo ambito, ma con sufficiente certezza morale (“prudente
giudizio”) - sulla vocazione del candidato affidato alle loro cure.
Dopo tale precisazione. bisogna tener presente il principio stabilito,
con tutta la tradizione ecclesiale, dal Decreto conciliare Optatam totius n.2, e cioè, che la vocazione al sacerdozio non
precede la libera scelta del superiore ecclesiastico. Per questo, il can. 1030,
CIC, stabilisce una norma sorprendente e, cioè, che il vescovo proprio o il superiore
competente può interdire l’accesso al presbiterato incluso ai diaconi, anche
per una causa canonica occulta, salvo il
ricorso a norma di diritto. Questo principio è di un’enorme responsabilità
per i formatori e, in ultima istanza, per il vescovo o equiparati, ma anche una
esigenza molto forte per la sincerità piena del candidato. In caso di dubbio, è
meglio seguire la via “tutior”, la
via più sicura che, in questo caso, è procrastinare l’ordinazione, cercando il
bene della Chiesa e la felicità del propria candidato. I canoni attinenti al
tema sono fondamentalmente i cc. 1029; 1031; 1034; 1036; 1037; per gli
impedimenti, 1041 (che al termine tratteremo).
Risulta facile giudicare circa l’idoneità alla luce degli eventi accaduti;
ma la difficoltà estrema consiste nel giudicare correttamente tale idoneità
prima dell’ordinazione, quando ancora la persona non ha vissuto o sperimentato
il ministero sacerdotale.
Un aspetto importantissimo dell’idoneità per il presbiterato nella Chiesa
latina, come dopo specificheremo con le parole della PDV, è il giudicare la retta,
e dottrinalmente ineccepibile, ricezione del carisma della continenza perpetua
e perfetta per il Regno dei cieli che fondamenta la legge del celibato (can.277
§1, CIC): un dono particolare di Dio per aderire più facilmente a Cristo con
cuore indiviso e dedicarsi più liberamente al servizio di Dio e degli uomini.
La Chiesa è decisa a preservare immutata la disciplina del celibato sacerdotale
quale bene prezioso per l’intera Chiesa e per il nesso esistente tra celibato
sacerdotale ed Eucaristia (Esort. ap. Sacramentum
Caritatis, n.24).
Il dono del sacro celibato è forza per un ministero sacerdotale fecondo –
tante figure sacerdotali, anche del nostro tempo, lo dimostrano (San Josemaria
Escrivà; il beato Giovanni Paolo II) – ma, allo stesso tempo, è un tesoro “in vasi di argilla” e, quindi, da
custodire con la grazia di Dio e cercando di evitare situazioni di scandalo.
(cfr. l’episodio biblico di Gedeone dove il Signore fa toccare con mano che non
è la forza militare e numerica dei combattenti quella che darà la vittoria, ma
il Suo aiuto – Jc 7).
Nella lunga esperienza a servizio della Santa Sede, osservando le
defezioni del Clero posso attestare che se si abbassa l’esigenza di una vita
interiore autentica (l’orazione, la S.Messa, l’Ufficio divino, la confessione e
la direzione spirituale, la devozione a Maria…) il processo è quasi
infallibile: compensazioni affettive, innamoramenti vari, relazioni sessuali,
nascita di prole, matrimonio civile, richiesta di dispensa.
Quindi i formatori alla luce delle diverse
dimensioni della formazione sacerdotale — umana, spirituale, intellettuale,
pastorale —, prima di soffermarsi su quella spirituale, «elemento di massima
importanza nell'educazione sacerdotale» (PDV n. 45c) - in quanto essa, «per
ogni presbitero (...) costituisce il cuore che unifica e vivifica il suo essere
prete e il suo fare il prete» -, considerino che la dimensione umana è il fondamento
dell'intera formazione. Essa elenca una serie di virtù umane e di capacità
relazionali che sono richieste al sacerdote affinché la sua personalità sia
«ponte e non ostacolo per gli altri nell'incontro con Gesù Cristo Redentore
dell'uomo» (PDV n. 43). Esse vanno dall'equilibrio generale della personalità
alla capacità di portare il peso delle responsabilità pastorali, dalla
conoscenza profonda dell'animo umano al senso della giustizia e della lealtà
(ib.).
Alcune di queste qualità meritano particolare
attenzione: il senso positivo e stabile della propria identità virile e la
capacità di relazionarsi in modo maturo con altre persone o gruppi di persone;
un solido senso di appartenenza, fondamento della futura comunione con il
presbiterio e di una responsabile collaborazione al ministero del vescovo (PDV n.
17); la libertà di entusiasmarsi per grandi ideali e la coerenza nel
realizzarli nell'azione d'ogni giorno; il coraggio di prendere decisioni e di
restarvi fedeli; la conoscenza di sé, delle proprie doti e limiti integrandoli
in una visione positiva di sé di fronte a Dio; la capacità di correggersi; il
gusto per la bellezza intesa come «splendore di verità» e l'arte di
riconoscerla; la fiducia che nasce dalla stima per l'altro e che porta
all'accoglienza; la capacità del candidato di integrare, secondo la visione
cristiana, la propria sessualità, anche in considerazione dell'obbligo del
celibato (cfr. Sacerdotalis cælibatus , nn. 63-64).
Tali disposizioni interiori devono essere
plasmate nel cammino di formazione del futuro presbitero, il quale, uomo di Dio
e della Chiesa, è chiamato a edificare la comunità ecclesiale. Egli, innamorato
dell'Eterno, è proteso all'autentica e integrale valorizzazione dell'uomo e a
vivere sempre più la ricchezza della propria affettività nel dono di sé al Dio
uno e trino e ai fratelli, particolarmente a quelli che soffrono.
Si tratta, ovviamente, di obiettivi che si possono
raggiungere soltanto attraverso la diuturna corrispondenza del candidato
all'opera della grazia in lui e che sono acquisiti con un graduale, lungo e non
sempre lineare cammino di formazione.
Consapevole del mirabile e impegnativo
intreccio delle dinamiche umane e spirituali nella vocazione, il candidato non
può che trarre vantaggio da un attento e responsabile discernimento
vocazionale, teso a individuare cammini personalizzati di formazione e a
superare con gradualità eventuali carenze sul piano spirituale e umano. È
dovere della Chiesa fornire ai candidati un'efficace integrazione delle
dimensioni umana e morale, alla luce della dimensione spirituale a cui esse si
aprono e in cui si completano (PDV n. 45a).
Ogni formatore (e qui lo
vogliamo intendere in senso ampio: ossia animatore/educatore, rettore e vescovo
anche) dovrebbe essere buon conoscitore della persona umana, dei suoi ritmi di
crescita, delle sue potenzialità e debolezze e del suo modo di vivere il
rapporto con Dio. I formatori hanno bisogno di adeguata preparazione per
operare un discernimento che permetta, nel pieno rispetto della dottrina della
Chiesa circa la vocazione sacerdotale, sia di decidere in modo ragionevolmente
sicuro in ordine all'ammissione in seminario o alla casa di formazione del
clero religioso, ovvero alla dimissione da essi per motivi di non idoneità, sia
di accompagnare il candidato verso l'acquisizione di quelle virtù morali e
teologali necessarie per vivere in coerenza e libertà interiore la donazione
totale della propria vita per essere «servitore della Chiesa comunione» (PDV n.
16e).
Il prezioso documento Orientamenti
educativi per la formazione al celibato sacerdotale (11 aprile 1974), della
Congregazione per l'Educazione Cattolica, riconosce che «gli errori di
discernimento delle vocazioni non sono rari, e troppe inettitudini psichiche,
più o meno patologiche, si rendono manifeste soltanto dopo l'ordinazione
sacerdotale. Il discernerle in tempo permetterà di evitare tanti drammi» (n.
38). Ciò esige che ogni formatore abbia la sensibilità e la preparazione
psicologica adeguate (PDV n. 66c) per essere in grado, per quanto possibile, di
percepire le reali motivazioni del candidato, di discernere gli ostacoli
nell'integrazione tra maturità umana e cristiana e le eventuali psicopatologie.
Egli deve ponderare accuratamente e con molta prudenza la storia del candidato.
Da sola, però, essa non può costituire il criterio decisivo, sufficiente per
giudicare l'ammissione o la dimissione dalla formazione. Il formatore deve
saper valutare sia la persona nella sua globalità e progressività di sviluppo —
con i suoi punti di forza e i suoi punti deboli — sia la consapevolezza che
essa ha dei suoi problemi, sia la sua capacità di controllare responsabilmente
e liberamente il proprio comportamento. Per questo, voi qui presenti formatori
opportunamente vi state preparando, anche con questo corso specifico, alla più
profonda comprensione della persona umana e delle esigenze della sua formazione
al ministero ordinato.
In quanto frutto di un
particolare dono di Dio, la vocazione al sacerdozio e il suo discernimento
esulano dalle strette competenze della psicologia. Tuttavia, per una
valutazione più sicura della situazione psichica del candidato, delle sue
attitudini umane a rispondere alla chiamata divina, e per un ulteriore aiuto
nella sua crescita umana, in alcuni casi può essere utile il ricorso a esperti
nelle scienze psicologiche. Essi possono offrire ai formatori non solo un
parere circa la diagnosi e l'eventuale terapia di disturbi psichici, ma anche
un contributo nel sostegno allo sviluppo delle qualità umane e relazionali
richieste dall'esercizio del ministero (Optatam totius, n. 11),
suggerendo utili itinerari da seguire per favorire una risposta vocazionale più
libera. Anche la formazione al sacerdozio deve fare i conti sia con le
molteplici manifestazioni di quello squilibrio che è radicato nel cuore
dell'uomo (cfr. Gaudium et spes, n. 10) — e che ha una sua particolare
manifestazione nelle contraddizioni tra l'ideale di oblatività, cui
coscientemente il candidato aspira, e la sua vita concreta — sia con le
difficoltà proprie di un progressivo sviluppo delle virtù umane e relazionali.
L'aiuto del padre spirituale e del confessore è fondamentale e imprescindibile
per superarle con la grazia di Dio. In alcuni casi, tuttavia, lo sviluppo di
queste qualità umane e relazionali può essere ostacolato da particolari ferite
del passato non ancora risolte. Infatti, coloro che oggi chiedono di entrare in
seminario riflettono, in modo più o meno accentuato, il disagio di un'emergente
mentalità caratterizzata da consumismo, da instabilità nelle relazioni
familiari e sociali, da relativismo morale, da visioni errate della sessualità,
da precarietà delle scelte, da una sistematica opera di negazione dei valori,
soprattutto da parte dei mass-media. Tra i candidati si possono trovare alcuni
che provengono da particolari esperienze — umane, familiari, professionali,
intellettuali, affettive — che in vario modo hanno lasciato ferite non ancora
guarite e che provocano disturbi, sconosciuti nella loro reale portata allo
stesso candidato e spesso da lui attribuiti erroneamente a cause esterne a sé,
senza avere, quindi, la possibilità di affrontarli adeguatamente. È evidente
che tutto ciò può condizionare la capacità di progredire nel cammino formativo
verso il sacerdozio. In casi
eccezionali che presentano particolari difficoltà, il ricorso a esperti nelle
scienze psicologiche, sia prima dell'ammissione al seminario sia durante il
cammino formativo, può aiutare il candidato nel superamento di quelle ferite,
in vista di una sempre più stabile e profonda interiorizzazione dello stile di
vita di Gesù Buon Pastore, Capo e Sposo della Chiesa (PDV n. 29d). È utile che
il rettore e gli altri formatori possano contare sulla collaborazione di
esperti nelle scienze psicologiche, che comunque non possono fare parte
dell'équipe dei formatori. Essi dovranno aver acquisito competenza specifica in
campo vocazionale e, alla professionalità, unire la sapienza dello Spirito.
Precisata tale urgente ed
attuale necessità, è oltremodo opportuno, fin dal momento in cui il candidato
si presenta per essere accolto in seminario, che il formatore possa conoscerne
accuratamente la personalità, le attitudini, le disposizioni, le risorse, le
potenzialità e i diversi eventuali tipi di ferite, valutandone la natura e
l'intensità. Non bisogna dimenticare la possibile tendenza di alcuni candidati
a minimizzare o a negare le proprie debolezze: essi non parlano ai formatori di
alcune loro gravi difficoltà, temendo di poter non essere capiti e di non
essere accettati. Coltivano così attese poco realistiche nei confronti del
proprio futuro. Al contrario, vi sono candidati che tendono a enfatizzare le
loro difficoltà, considerandole ostacolo insormontabile per il cammino
vocazionale.
Il discernimento tempestivo degli eventuali
problemi che ostacolassero il cammino vocazionale — quali l'eccessiva
dipendenza affettiva, l'aggressività sproporzionata, l'insufficiente capacità
di essere fedele agli impegni assunti e di stabilire rapporti sereni di
apertura, fiducia e collaborazione fraterna e con l'autorità, l'identità
sessuale confusa o non ancora ben definita — non può che essere di grande
beneficio per la persona, per le istituzioni vocazionali e per la Chiesa.
Nella valutazione della possibilità di vivere, in fedeltà e
gioia, il carisma del celibato, quale dono totale della propria vita a immagine
di Cristo Capo e Pastore della Chiesa, si tenga presente che non basta
accertarsi della capacità di astenersi dall'esercizio della genitalità, ma è
necessario anche valutare l'orientamento sessuale. La castità per il Regno,
infatti, è molto di più della semplice mancanza di relazioni sessuali.
Il cammino formativo dovrà essere interrotto
nel caso in cui il candidato, nonostante il suo impegno, il sostegno eventuale
di un terapeuta, continuasse a manifestare incapacità ad affrontare
realisticamente, sia pure con la gradualità di ogni crescita umana, le proprie
gravi immaturità (forti dipendenze affettive, notevole mancanza di libertà
nelle relazioni, eccessiva rigidità di carattere, mancanza di lealtà, identità
sessuale incerta, tendenze omosessuali fortemente radicate, e così via).
Lo stesso deve valere anche nel caso in cui risultasse
evidente la difficoltà a vivere la castità nel celibato, vissuto come un
obbligo così pesante da compromettere l'equilibrio affettivo e relazionale.
A volte tale apparente durezza nel dimettere un candidato,
non vuole altro che manifestare il fatto che spetta alla Chiesa scegliere le
persone che ritiene adatte al ministero pastorale ed è suo diritto e dovere
verificare la presenza delle qualità richieste in coloro che essa ammette al
ministero sacro (Codex Iuris Canonici,
cann. 1025, 1051 e 1052). Il canone 1051 § 1 del Codice di Diritto Canonico
prevede che per lo scrutinio delle qualità richieste in vista dell'ordinazione
si provveda, tra l'altro, all'indagine sullo stato di salute fisica e psichica
del candidato (Codex Iuris Canonici,
cann. 1029, 1031 § 1 e 1041). Il canone 1052 stabilisce che il vescovo, per
poter procedere all'ordinazione, deve avere la certezza morale sull'idoneità
del candidato, «provata con argomenti positivi» (§ 1) e che, nel caso di un
dubbio fondato, non deve procedere all'ordinazione (cfr. § 3). Da ciò deriva
che la Chiesa ha il diritto di verificare l'idoneità dei futuri presbiteri.
Infatti, è proprio del vescovo o del superiore competente non solo sottoporre a
esame l'idoneità del candidato, ma anche riconoscerla. Il candidato al
presbiterato non può imporre le proprie personali condizioni, ma deve accettare
con umiltà e gratitudine le norme e le condizioni che la Chiesa stessa, per la
sua parte di responsabilità, pone (PDV n. 35g). Per cui, in casi di dubbio
circa l'idoneità, l'ammissione al seminario o alla casa di formazione sarà
possibile, talvolta, soltanto dopo una attenta valutazione onnicomprensiva
della personalità. Il diritto e il dovere dell'istituzione formativa di
acquisire le conoscenze necessarie per un giudizio prudenzialmente certo
sull'idoneità del candidato non possono ledere il diritto alla buona fama di
cui la persona gode, né il diritto a difendere la propria intimità, come
prescritto dal canone 220 del Codice di Diritto Canonico. Ciò significa che si
potrà procedere solo dopo esplicito, informato e libero consenso del candidato.
I formatori assicurino un'atmosfera di fiducia, così che il candidato possa
aprirsi e partecipare con convinzione all'opera di discernimento e di
accompagnamento, offrendo «la sua personale convinta e cordiale collaborazione»
(PDV n. 69b). A lui è richiesta un'apertura sincera e fiduciosa con i propri
formatori. Solo facendosi sinceramente conoscere da loro può essere aiutato in
quel cammino spirituale che egli stesso cerca entrando in seminario. Importanti,
e spesso determinanti per superare eventuali incomprensioni, saranno sia il
clima educativo tra alunni e formatori — contrassegnato da apertura e
trasparenza — sia le motivazioni e le modalità con cui i formatori
presenteranno al candidato eventuali suggerimenti per migliorare, cercando di
evitare di dare l'impressione che tale suggerimento significhi preludio di un'inevitabile
dimissione dal seminario o dalla casa di formazione.
Al padre spirituale spetta un compito non
lieve nel discernimento della vocazione, sia pure nell'ambito della coscienza. Fermo
restando che la direzione spirituale non può in alcun modo essere scambiata per
o sostituita da forme di analisi o di aiuto psicoanalitico e che la vita
spirituale di per sé favorisce una crescita nelle virtù umane, il padre
spirituale è chiamato a procedere con saggezza nel discernimento e nell'accompagnamento
spirituale. Potrà essere utile che i direttori spirituali dei seminari possano
attingere sapienza dal Sussidio per Confessori e Direttori spirituali che la
Congregazione per il Clero, di cui sono Segretario, ha l’anno scorso pubblicato
come frutto dell’Anno sacerdotale.
Dopo di ciò ritengo conveniente soffermarmi a questo punto ancora sul
can. 1029, CIC, che come abbiamo già sopra considerato, in generale stabilisce
l’identità che la Chiesa desidera per i suoi presbiteri. Nella formulazione
però tale norma canonica avverte di «tener
conto di tutte le circostanze (omnibus perpensis)». Sembra questo un inciso
senza importanza, ma vorrei con voi soffermarmi su queste “circostanze” alla luce dell’esperienza nel lavoro ordinario della
Congregazione per il Clero. In particolari credo si
possano distinguere tra queste circostanze dei fattori esterni e fattori
interni alla persona:
A) Fattori esterni alla persona che devono essere ben ponderati dai formatori e, in ultima
istanza, dal Vescovo:
1) Ambiente sociale che ha circondato e circonda il
candidato: paese natale, parrocchia, amici e conoscenti; oggi è frequente lo
spostamento delle vocazioni da paese a paese, da regione a regione e facilmente
tale aspetto si dimentica.
Il pericolo dell’aspettativa; è tutto pronto per l’ordinazione. Non si
vuole deludere le aspettative (buone e sante), ma si deve considerare che
possono influenzare fortemente l’animo di un adulto-giovane (non dimentichiamo
che parliamo oggi di uomini con 25-30 anni). Questa situazione è maggiormente
propria dei paesi emergenti, recentemente evangelizzati e con una fede
entusiasta e contagiosa;
2) Ambiente familiare: Soprattutto
le famiglie di modeste o molto povere condizioni economiche, dove i genitori e
i fratelli possono vedere un membro della famiglia sacerdote come un riscatto
sociale ed economico; penso alle vocazioni nei paesi in via di sviluppo. Non
dico che un fedele che proviene da una famiglia povera non possa avere la
vocazione; anzi sappiamo che il Signore predilige i poveri anche in quest’ambito
della grazia della vocazione. Parliamo di fattori che devono essere ben
valutati dai formatori.
D’altro canto, può sembrare sorprendente – pero in non pochi casi è
cosi – che possono influenzare la vocazione famiglie in crisi: Un ambiente familiare
poco sereno o violento, per esempio a causa dell’alcolismo o delle assunzioni
di droghe da parte di qualche suo membro, o a causa di separazioni e divorzi,
dove il padre o la madre si sono “risposati”… può essere un fattore influente
perché il candidato cerchi un ambiente in alternativa sereno, che spesso trova
in parrocchia e dopo in seminario. Queste famiglie in crisi creano un profondo
bisogno di sicurezza e di protezione. Si cerca inconsciamente una situazione
strutturale protettiva per la propria esistenza, per il futuro. Viviamo in una
società che adora la sicurezza, le “assicurazioni”, profondamente
“individualista”, dove ognuno cerca queste sicurezze per il futuro incerto.
Alcuni cercano quest’ambiente sicuro nell’istituzione ecclesiastica. Sono situazioni
che in seguito sono comprese e definite come messa in atto di una compensazione
di ciò che non si è avuto nell’infanzia e nella fanciullezza.
Ancora, famiglie dove altri membri hanno già seguito la via del
sacerdozio o della vita religiosa. Altri fratelli in seminario; uno zio
sacerdote o vescovo ecc. Certamente che è una cosa positiva (nella mia stessa
famiglia succede così e nelle famiglie di tanti sacerdoti e membri d’istituti
religiosi). Questo particolare deve essere valutato bene dai formatori perché
il sacerdozio cristiano non è ereditario, giacché la vocazione è sempre una
chiamata personale.
3) Ambiente all’interno della
struttura educativa (seminario o casa di formazione) dove il candidato si
sente trascurato; non ha fiducia dei superiori, neppure con il direttore
spirituale, al quale non si apre. Si tratta di situazioni che dovranno essere
valutate bene. Alle volte hanno cause oggettive; altre volte, sono dovute a
caratteri chiusi o difficili. Non è motivo per un’esclusione a priori, ma è motivo
per una valutazione attenta e serena e anche con l’aiuto di un buon
professionista in psicologia, che abbia e viva la fede cattolica.
Alle volte queste incomprensioni fra formatori e seminaristi possono
venire per una linea “teologica” o “pastorale” diversa. Il seminario deve
essere aperto a tutti i movimenti, linee di vita spirituale ecc. approvate
dalla Chiesa. Sotto la parola “programmi pastorali” o qualcosa di simile si
possono nascondere “ideologie” pastorali come criterio quasi “decisivo” per valutare
l’idoneità del candidato o per far violenza morale sui candidati. Ci sono
sensibilità e caratteri più portati alla vita di preghiera, d’intimità con Dio
senza escludere il servizio del prossimo; altri più portati al servizio del
prossimo senza escludere l’intimità con Dio. C’è in quest’ambito ancora un
grande cammino da percorrere mediante una lettura ed attuazione del Concilio
Ecumenico Vaticano II in sintonia con il Magistero e secondo una ermeneutica
della continuità con la tradizione e non della rottura. Le lotte che si sonno
vissute nella Chiesa in questi anni non si possono riversare sulla formazione
sacerdotale, ambito che esige un ambiente sereno e di piena comunione con il
Magistero della Chiesa.
B) Fattori interni alla persona:
I) arrivare al sacerdozio a causa di una conversione repentina
(incontro con una personalità carismatica forte o movimenti cappeggiati da
“veggenti”) e, speso, dopo una vita sregolata (droghe, sesso, alcool). Queste
“personalità”, in questo nostro tempo d’insicurezza e mancanza di riferimenti
chiari, possono influire gravemente sulle persone (“se non fai così, la tua
vita sarà rovinata, incompiuta, minacciando anche con la rovina eterna”).
Bisogna aver conto anche dei paesi o zone del mondo cattolico dove si è passati
in un secolo o pochi decenni da “religioni tradizionali”, animiste o culto agli
ante nati, alla fede cristiana cattolica, con una gerarchia ben strutturata. In
tanti posti dell’Africa o del Sudest asiatico la maggioranza delle diocesi sono
state create nel ottocento o agli inizi
del novecento; e sono Diocesi con molte vocazioni;
II) malattie psicologiche; problemi gravi di salute;
III) “curriculum” degli studi non riuscito o disinganno amoroso;
IV) periodo formativo molto frammentato (diversi posti; incluso diversi
paesi). Nessuno ha seguito davvero il percorso formativo del seminarista.
Questo si da soprattutto fra i religiosi.
V) persone di carattere molto estroverso, generose, simpatiche, molto
impegnate nella pastorale, “leader”, molto sicure di se stesse, però dopo
alcuni anni si comincia a sentire insoddisfazione. La sicurezza in se stessi
comincia a scricchiolare. L’attività frenetica ha dimenticato la preghiera e la
necessità della grazia. Si comincia a cercare la compensazione in donne forse anch’esse
con difficoltà matrimoniali, che cercano l’appoggio nel sacerdote. La donna
rimane incinta e il sacerdote – onesto – decide di lasciare il sacro ministero.
Dopo arrivano il matrimonio civile e la domanda di dispensa al Santo Padre.
Altri decidono di lottare affinché la Chiesa cambi. Altri passano ad altre
confessioni cristiane (America del Nord, America latina) che accettino la loro
situazione e li integrino nelle loro comunità.
VI) Persone con gravi difficoltà nel campo della sessualità (pratica della
masturbazione non superata; relazioni amorose nascoste…). Non si possono
risolvere questi problemi attribuendoli soltanto a tentazioni diaboliche e
costringendo in pratica a rimanere nel seminario o nella casa di formazione
religiosa.
VII) E’ molto indicativo per valutare la mancanza di vocazione la
contestazione della dottrina cattolica sulla vera identità del sacerdozio
cattolico e sulla dottrina morale, soprattutto nell’ambito morale della
sessualità. E’ di solito sintomo chiaro di crisi personale in quell’ambito e
quindi di crisi vocazionale.
VIII) Personalità “normali” (apparentemente), però con seri problemi
caratteriali (fasi alterne di umore, periodi prolungati di chiusura,
atteggiamenti reattivi e ipercritici, ma soprattutto rigidità nei rapporti con
gli altri, individualismo esacerbato, unilateralità nel modo di valutare i
fatti, forti e incontrollate reazioni emotive). In sostanza, personalità non
equilibrata ed armonica, profondamente egocentrica, segnata da particolare
ansia per apparire, essere accettata e in vista dell’attenzione generale. In
definitiva, “discrasia” tra ciò che
si vive a livello vocazionale e ciò che si sente nel profondo della propria
persona: disagio interiore che porta a scontentezza frequente e prolungata de
fronte alle esigenze della vocazione e alla vita in comune e non è manifestata
ai formatori.
IX) Persone che affidano la vocazione alla sorte o a eventi esterni ai
quali considerano come la voce e la volontà di Dio.
I primi anni sono particolarmente delicati e di questo i formatori ne
devono essere coscienti. Tante vite sacerdotali si perdono in questo primo
periodo, soprattutto a motivo di destinazioni inappropriate (parrocchie isolate
con poco lavoro pastorale, cambiamenti estremi, soprattutto fra i religiosi). Questo
crea problemi di depressione e mancanza di senso per la propria vita; stati
d’animo che si ripercuotono sul fisico. Devono essere pure motivo d’attenzione
i pellegrinaggi, o viaggi e vacanze esotiche poco consone ad uno stile di vita
clericale.
Avviandomi alla conclusione vorrei ancora
dire due brevi considerazioni più tecniche
Una prima sulla documentazione richiesta per
l’ammissione agli ordini sacri, documenti che deve possedere chi concede le
lettere dimissorie oppure il vescovo che conferisce l’ordinazione iure proprio. Ci lasciamo guidare dal
Codice di Diritto canonico:
can. 1024: parla di ricezione ad validitatem della sacra ordinazione soltanto per un battezzato
di sesso maschile; quindi irrinunciabile l’attestazione del battesimo ricevuto,
mentre il can. 1033 fa riferimento ad
liceitatem anche al sacramento della confermazione.
Can. 1026: parla della debita libertà di colui che deve
essere ordinato; quindi necessaria è una domanda indirizzata all’Ordinario
diocesano sulla libertà ed anche sull’assunzione degli impegni che tale
ordinazione comporta (senso di responsabilità!).
Can. 1031: fa riferimento all’età per la promozione al
presbiterato (25 anni); quindi si abbia la necessaria documentazione anche
anagrafica sul candidato.
Can. 1032 delinea il curriculum
studiorum di chi si prepara al sacerdozio, comprendente minimo un biennio
di studi filosofici ed un quadriennio di studi teologici, anche se è
sufficiente aver concluso il terzo anno di teologia per essere ammesso al
diaconato; quindi è necessaria un’attestazione scritta dell’Ente canonico che
ne ha seguito la formazione intellettuale.
Cann. 1050-1051, 1° confermano quanto già detto ed
aggiungono sull’importanza dello scrutinio “vi sia l'attestato del
rettore del seminario o della casa di formazione, sulle qualità richieste per
ricevere l'ordine, vale a dire la sua retta dottrina, la pietà genuina, i buoni
costumi, l'attitudine ad esercitare il ministero; ed inoltre, dopo una
diligente indagine, un documento sul suo stato di salute sia fisica sia
psichica”.
Una seconda riflessione mi sia concessa sulle persone dimesse o che liberamente hanno
lasciato seminari o case di formazione. È contrario alle norme della
Chiesa ammettere al seminario o alla casa di formazione persone già uscite o, a
maggior ragione, dimesse da altri seminari o da case di formazione, senza
assumere prima le dovute informazioni dai loro rispettivi vescovi o superiori
maggiori, soprattutto circa le cause della dimissione o dell'uscita (Codex Iuris Canonici, can. 241, § 3). È
preciso dovere dei precedenti formatori fornire informazioni esatte ai nuovi
formatori. Si presti particolare attenzione al fatto che spesso i candidati
lasciano l'istituzione educativa di spontanea volontà per prevenire una
dimissione forzata. Nel caso di passaggio ad altro seminario o casa di
formazione, il candidato deve informare i nuovi formatori del cammino globale
precedentemente effettuato. In caso di perizie psicologiche fatte in
precedenza, si ricordi che solo con il libero consenso scritto del candidato, i
nuovi formatori potranno avere accesso alle comunicazioni dell'esperto che
aveva effettuato la consultazione.
Nel caso si ritenga di poter accogliere in
seminario un candidato che, dopo la precedente dimissione, si sia sottoposto a
trattamento psicologico, si verifichi prima, per quanto è possibile, con
accuratezza la sua condizione psichica, assumendo, tra l'altro, dopo aver
ottenuto il suo libero consenso scritto, le dovute informazioni presso
l'esperto che lo ha accompagnato.
Nel caso in cui un candidato chiede il
passaggio a un altro seminario o casa di formazione dopo essere ricorso a un
esperto in psicologia, senza voler accettare che la perizia sia a disposizione
dei nuovi formatori, si tenga presente che l'idoneità del candidato deve essere
provata con argomenti positivi, a norma del citato canone 1052, e quindi deve
essere escluso ogni ragionevole dubbio.
Tutti coloro che, a vario titolo, sono
coinvolti nella formazione offrano la loro convinta collaborazione, nel
rispetto delle specifiche competenze di ciascuno, affinché il discernimento e
l'accompagnamento vocazionale dei candidati siano adatti a «portare al
sacerdozio solo coloro che sono stati chiamati e di portarli adeguatamente
formati, ossia con una risposta cosciente e libera di adesione e di
coinvolgimento di tutta la loro persona a Gesù Cristo che chiama all'intimità
di vita con lui e alla condivisione della sua missione di salvezza» (PDV n.
42c).