La delegittimazione di chi non è d'accordo
di Lucetta Scaraffia
La decisione della Corte suprema statunitense di accettare i matrimoni omosessuali non è solo una sconfitta per una gran parte di americani -- basti ricordare che il matrimonio gay è accettato in soli dodici Stati -- ma si accompagna a una martellante campagna mediatica. Il coro di commenti che circonda queste “vittorie della libertà” gronda infatti ideologia ed è poco rispettoso delle opinioni diverse. Con le parole «ha vinto l'uguaglianza», forse non volendo, il presidente degli Stati Uniti ha toccato un punto centrale, quello cioè che considera uguali realtà che non lo sono, cioè maschio e femmina. È infatti proprio la differenza sessuale a garantire la generazione e a fondare il matrimonio: con quello omosessuale si nega che questa differenza esista e abbia valore costitutivo, e si vuole affermare che la differenza, se riconosciuta, significa obbligatoriamente disuguaglianza. Si può invece garantire dignità e libertà uguali a donne e uomini, omosessuali ed eterosessuali, pur rispettando la realtà, e cioè la differenza. Si sostiene in questo modo implicitamente un'altra affermazione non fondata: che il matrimonio faccia parte dei diritti umani, mettendo in secondo piano che esso è primariamente un'istituzione sociale e antropologica che richiede delle condizioni. Ma tutto questo serve a confermare l'interpretazione corrente delle leggi che legalizzano il matrimonio per gli omosessuali: che si tratti di un progresso, di passi avanti verso la dignità e la libertà. Che da una parte, quella del matrimonio gay, ci sia la libertà e l'uguaglianza, e dall'altra, quella di chi lo nega, ci sia solo la vergogna per gli omosessuali. È una forzatura tendenziosa, che ha una funzione ben precisa: quella di negare ogni dignità al punto di vista di coloro che si schierano contro il matrimonio omosessuale, in modo da scoraggiarli dall'intervenire nel dibattito e lasciare quindi sola la Chiesa cattolica a difendere questa posizione, al massimo con il supporto di altre confessioni religiose. In modo da relegare tutto alla rubrica “fondamentalismi religiosi”. Per questo numerosissimi laici che sono contrari a questa legalizzazione per la massima parte tacciono, per evitare di essere accusati di omofobia. In questo clima di nuove “libertà”, chi paga un prezzo altissimo e ingiusto è infatti chi vorrebbe anche solo aprire una discussione, chi è consapevole che si sta trasformando uno dei fondamenti antropologici di ogni società umana, e proprio per questo pensa che sarebbe il caso di discuterne con calma, serietà e coraggio. Delegittimando gli avversari -- proprio perché hanno buone, anzi buonissime ragioni per opporsi -- si ottiene certo il risultato di condizionare nel senso voluto l'opinione pubblica, ma ci si priva di ogni possibilità di riflettere sulla società che si vuole creare per il futuro. E questo silenzio è un prezzo troppo alto da pagare, per qualsiasi società e per qualsiasi popolo.
(©L'Osservatore Romano 28 giugno 2013)
di Lucetta Scaraffia
La decisione della Corte suprema statunitense di accettare i matrimoni omosessuali non è solo una sconfitta per una gran parte di americani -- basti ricordare che il matrimonio gay è accettato in soli dodici Stati -- ma si accompagna a una martellante campagna mediatica. Il coro di commenti che circonda queste “vittorie della libertà” gronda infatti ideologia ed è poco rispettoso delle opinioni diverse. Con le parole «ha vinto l'uguaglianza», forse non volendo, il presidente degli Stati Uniti ha toccato un punto centrale, quello cioè che considera uguali realtà che non lo sono, cioè maschio e femmina. È infatti proprio la differenza sessuale a garantire la generazione e a fondare il matrimonio: con quello omosessuale si nega che questa differenza esista e abbia valore costitutivo, e si vuole affermare che la differenza, se riconosciuta, significa obbligatoriamente disuguaglianza. Si può invece garantire dignità e libertà uguali a donne e uomini, omosessuali ed eterosessuali, pur rispettando la realtà, e cioè la differenza. Si sostiene in questo modo implicitamente un'altra affermazione non fondata: che il matrimonio faccia parte dei diritti umani, mettendo in secondo piano che esso è primariamente un'istituzione sociale e antropologica che richiede delle condizioni. Ma tutto questo serve a confermare l'interpretazione corrente delle leggi che legalizzano il matrimonio per gli omosessuali: che si tratti di un progresso, di passi avanti verso la dignità e la libertà. Che da una parte, quella del matrimonio gay, ci sia la libertà e l'uguaglianza, e dall'altra, quella di chi lo nega, ci sia solo la vergogna per gli omosessuali. È una forzatura tendenziosa, che ha una funzione ben precisa: quella di negare ogni dignità al punto di vista di coloro che si schierano contro il matrimonio omosessuale, in modo da scoraggiarli dall'intervenire nel dibattito e lasciare quindi sola la Chiesa cattolica a difendere questa posizione, al massimo con il supporto di altre confessioni religiose. In modo da relegare tutto alla rubrica “fondamentalismi religiosi”. Per questo numerosissimi laici che sono contrari a questa legalizzazione per la massima parte tacciono, per evitare di essere accusati di omofobia. In questo clima di nuove “libertà”, chi paga un prezzo altissimo e ingiusto è infatti chi vorrebbe anche solo aprire una discussione, chi è consapevole che si sta trasformando uno dei fondamenti antropologici di ogni società umana, e proprio per questo pensa che sarebbe il caso di discuterne con calma, serietà e coraggio. Delegittimando gli avversari -- proprio perché hanno buone, anzi buonissime ragioni per opporsi -- si ottiene certo il risultato di condizionare nel senso voluto l'opinione pubblica, ma ci si priva di ogni possibilità di riflettere sulla società che si vuole creare per il futuro. E questo silenzio è un prezzo troppo alto da pagare, per qualsiasi società e per qualsiasi popolo.
(©L'Osservatore Romano 28 giugno 2013)